L’emergenza coronavirus non cancella la crisi climatica: Cnr, inverno italiano a +2.03°C
«Si è appena concluso uno degli inverni più miti e secchi per l’Italia da quando abbiamo a disposizione osservazioni meteorologiche»
[10 Marzo 2020]
L’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Isac) ha raccolto i dati relativi all’inverno meteorologico appena trascorso – ovvero il trimestre gennaio-dicembre-febbraio –, documentando che si è trattato di «uno degli inverni più miti e secchi per l’Italia da quando abbiamo a disposizione osservazioni meteorologiche». L’anomalia rispetto alla media del trentennio di riferimento 1981-2010 è stata di +2.03°C, seconda solo all’inverno 2006/2007 (anomalia di +2.13°C).
Nello specifico, spiegano dal Cnr, il mese di dicembre ha fatto registrare un’anomalia di +1.91°C, il secondo più caldo dal 1800 ad oggi, e febbraio è risultato il più caldo da quando abbiamo a disposizione misure di temperatura, con un’anomalia di +2.76°C; gennaio, invece, chiude “solamente” al nono posto con un’anomalia di 1.42°C.
Quest’inverno, oltre che dal caldo record, è stato segnato anche «da precipitazioni pesantemente sotto media»: infatti, dopo un mese di dicembre nella media, le precipitazioni di gennaio e febbraio sono state piuttosto scarse (-68% a gennaio e -80% a febbraio) tanto che la cumulata sul trimestre invernale è risultata di poco al di sopra della metà di quello che piove di solito, facendo segnare un deficit del 43% rispetto alla precipitazione invernale media del trentennio di riferimento 1981-2010, chiudendo come l’ottavo inverno più secco dal 1800 ad oggi. Il deficit risulta più contenuta al nord (-25%) grazie alle precipitazioni delle prime decadi di dicembre, mentre sale a -55% al sud dove l’inverno appena concluso risulta il più secco da quando abbiamo a disposizione le misure.
Non a caso l’Anbi (l’associazione nazionale che riunisce i Consorzi di bonifica) spiega che anche l’arrivo delle piogge negli ultimi giorni «non ha sostanzialmente mutato la condizione delle riserve d’acqua, preoccupante nelle zone meridionali del Paese, dove le scarse precipitazioni si accompagnano a temperature miti, favorevoli ad un anticipo dei cicli colturali».
«Si conferma urgente la necessità di un Piano Nazionale Invasi – commenta Francesco Vincenzi, presidente Anbi – che permetta di programmare la distribuzione irrigua senza dipendere da un andamento climatico sempre più discontinuo». Investimenti che, approntati in una fase di contrazione economica, contribuirebbero anche a portare lavoro sul territorio.