L’impatto del cambiamento climatico sui copepodi avrà effetti a catena sull’intera rete alimentare e oltre
Anche per questi minuscoli animali non esistono pasti gratis
[31 Agosto 2021]
Gli oceani del mondo stanno diventando luoghi sempre più stressanti per la vita marina e gli esperti stanno lavorando per capire cosa significhi questo per il futuro. Temperature in aumento; acidificazione, cambiamenti delle correnti.. i problemi sono molti e crescenti, tanto da rendere difficili previsioni e proiezioni su quel che potrà succedere.
I copepodi sono piccoli animali marini abbondanti e diffusissimi che rappresentano una delle principali componenti strutturali della rete alimentare oceanica, lo studio “Rapid, but limited, zooplankton adaptation to simultaneous warming and acidification”, pubblicato su Nature Climate Change da un team di ricercatori delle università statunitensi del Connecticut e del Vermont e dell’università cinese di Jinan ha scoperto che una specie di copepode, l’Acartia tonsa può far fronte ai cambiamenti climatici, ma a un prezzo.
Il principale autore dello studio, Hans Dam del Department of marine sciences dell’università del Connecticut, sottolinea: «Abbiamo questo problema del cambiamento climatico e nell’oceano, è un problema multidimensionale perché non è solo il riscaldamento, l’oceano sta diventando più acido, mentre il pH sta scendendo mentre pompiamo più CO2 nell’atmosfera. Gli organismi devono cavarsela, sono più stressati e le cose stanno accadendo molto velocemente. Studi precedenti suggeriscono che alcuni animali saranno più sensibili di altri a cambiamenti come variazioni del pH».
Studi precedenti sui copepodi hanno dimostrato che non sono particolarmente sensibili ai cambiamenti del pH, ma Dam sottolinea che «Quegli studi sono stati fatti solo con una singola generazione, o poche generazioni, su un singolo fattore di stress e dimostrano la capacità di acclimatarsi piuttosto che di adattarsi. Questo nuovo studio non esamina solo l’adattamento in 25 generazioni, ma ha anche preso in considerazione sia il riscaldamento che l’acidificazione degli oceani (OWA), qualcosa che pochi studi hanno fatto fino ad ora. Se vuoi studiare gli effetti a lungo termine, devi prendere in considerazione il fatto che gli animali si adatteranno ai cambiamenti o allo stress nell’ambiente, ma per farlo devi fare gli esperimenti giusti. La maggior parte delle persone non fa quegli esperimenti con gli animali perché ci vuole molto tempo per studiare più generazioni».
I ricercatori hanno esaminato la forma fisica, o la capacità di una popolazione di riprodursi in una generazione e come la forma fisica sarebbe cambiata di generazione in generazione in condizioni OWA aumentate e Dam dice che «La prima generazione esposta alle nuove condizioni OWA ha subito riduzioni estreme di oltre il 50% della popolazione. Era come se l’OWA fosse un grosso martello che riduceva notevolmente l’idoneità della popolazione. Alla terza generazione, la popolazione sembrava essersi per lo più ripresa». Tuttavia, dalla 12esima generazione, i ricercatori hanno cominciato a vedere nuovamente dei cali e spiegano: «Sebbene i copepodi siano stati in grado di adattarsi, l’adattamento è stato limitato perché la forma fisica non è mai stata completamente recuperata» e sospettano che in gioco ci siano «Alcune interazioni antagoniste, che portano a una situazione di tiro alla fune tra l’adattamento al riscaldamento e all’acidificazione. Queste interazioni antagoniste complicano la previsione di quali risposte ci si possono aspettare».
Un altro autore dello studio, James deMayo, anche lui del Department of marine sciences dell’università del Connecticut, aggiunge: «Forse quel che è importante sottolineare con questo progetto è che gli effetti del riscaldamento combinato con l’acidificazione non sono gli stessi per ogni generazione o organismo che si sta adattando a quell’ambiente. Questo ci è suggerito dai dati e dal motivo per cui l’adattamento è limitato. Mentre all’interno delle generazioni intermedie, gli organismi potrebbero essere molto ben adattati, nelle generazioni successive, gli effetti del riscaldamento e dell’acidificazione iniziano a comportarsi in modo diverso sulla popolazione. Questa è una delle parti eccitanti della ricerca. Non è un risultato statico e atteso per il modo in cui gli organismi o le loro popolazioni continueranno a crescere o decadere. Ad esempio, se si prendessero individui delle generazioni successive che si erano adattati alle condizioni sperimentali dell’OWA e li si mettesse nelle condizioni dell’oceano di oggi, non se la caverebbero altrettanto bene. Questa è una conseguenza negativa del fatto che la capacità di non tollerare i cambiamenti ambientali è un costo e una conseguenza imprevista per l’adattamento evolutivo in molti sistemi, non solo nei copepodi».
I ricercatori sottolineano che «Gli studi che esaminano i singoli fattori di stress corrono il rischio di fare inferenze eccessivamente semplificate sulla capacità di adattamento di un organismo, una proposta particolarmente rischiosa quando si traggono conclusioni su un componente così integrale della rete alimentare come i copepodi».
Dam fa notare che «Soprattutto quando coinvolgi organismi viventi, ci sono complessità che non puoi prevedere. A priori, si potrebbero fare previsioni, ma non si ha la certezza che si svolgeranno in quel modo. In biologia queste sono chiamate “proprietà emergenti” o cose che non puoi prevedere da quel che sai in anticipo e questa ricerca ne è un buon esempio».
Ripensando all’esempio del martello, Dam dice che «Gli impatti sulla popolazione dei copepodi hanno effetti a catena attraverso l’intera catena alimentare e oltre. Se la forma fisica diminuisce, diciamo, del 10%, lungo il percorso avremo una diminuzione del 10% della dimensione della popolazione e poiché questi animali sono la principale fonte di cibo per i pesci, una diminuzione del 10% della pesca mondiale è piuttosto significativa. E questo è davvero lo scenario migliore poiché in laboratorio vivono essenzialmente in condizioni simili a quelle di un hotel, quindi il 10% non prende in considerazione altri fattori come la predazione o la malattia. Nel mondo reale potremmo vedere che il recupero della forma fisica è in realtà molto peggiore. Un’altra implicazione è che i copepodi stoccano la CO2 e la riduzione del loro numero riduce le capacità di sequestro del carbonio dell’oceano, cattive notizie in un momento in cui è necessario un maggiore sequestro del carbonio».
Sebbene lo studio ci offra la promessa di un rapido adattamento, ci ricorda che, come per molte cose in natura, c’è un problema e Dam conclude: «C’è una notizia positiva, che sì, c’è un recupero della forma fisica ma c’è anche una notizia che fa riflettere che il salvataggio evolutivo non è completo. Non esiste qualcosa come un pranzo gratis».