L’ineguale impatto sociale ed economico del cambiamento climatico si vede dallo spazio

Peggio in Asia e Africa, meglio in Sud America e Australia. Crisi alimentari e più rifugiati climatici

[30 Novembre 2020]

Oltre il 40% degli ecosistemi terrestri è arido, una percentuale che dovrebbe aumentare in modo significativo nel corso del XXI secolo. Alcune di queste aree, come quelle in Africa e in Australia, possono essere savane o deserti, dove le scarse precipitazioni sono state a lungo la norma. All’interno di questi biomi, la vegetazione e la fauna selvatica si sono adattate all’utilizzo delle loro scarse risorse idriche, ma sono anche straordinariamente vulnerabili ai cambiamenti climatici.

Lo studio “The human–environment nexus and vegetation–rainfall sensitivity in tropical drylands”, pubblicato su Nature Sustainability da un team di ricercatori danesi, olandesi e norvegesi  ha utilizzato le immagini scattate negli ultimi decenni dai satelliti che monitorano ogni giorno la Terra dallo spazio, per capire quali siano i trend e ha identificato una tendenza preoccupante:«Nei Paesi in via di sviluppo sta germogliando troppo poca vegetazione grazie all’acqua piovana, mentre le cose vanno nella direzione opposta in quelli più ricchi. Di conseguenza, il futuro potrebbe vedere carenze alimentari e un numero crescente di rifugiati climatici». Insomma, come sempre, piove sul bagnato.

Ogni giorno, i ricercatori della  Det Natur- og Biovidenskabelige Fakultet della Københavns Universitet hanno studiato l’evoluzione della vegetazione nelle regioni aride e la  loro conclusione è inequivocabile: «Osserviamo un chiaro trend delle aree aride che si sviluppa in una direzione negativa nei paesi economicamente più problematici. Qui, è evidente che la crescita della vegetazione è sempre più disaccoppiata dalle risorse idriche disponibili e che c’è semplicemente meno vegetazione in relazione alla quantità di pioggia. Nei Paesi ricchi è il contrario nei Paesi più ricchi», dice uno degli autori dello studio, Rasmus Fensholti.

Il team di ricercatori nordeuropei ha analizzato 15 anni di immagini satellitari della vegetazione e delle precipitazioni dal 2000 al 2015 e per confrontare l’evoluzione della vegetazione nelle regioni aride del mondo ha tolto i totali delle precipitazioni dall’equazione. In altre parole, hanno prodotto un calcolo che tiene conto del fatto che alcune regioni hanno ricevuto più piogge negli ultimi decenni, mentre altre hanno ricevuto meno. E’ bastato a fornire un quadro più accurato della salute dei diversi ecosistemi perché le influenze antropiche diventano più facili da identificare: «In altre parole – spiegano ancora all’università di Copenaghen – , se l’uso delle risorse è equilibrato o se le risorse di un ecosistema sono state sfruttate eccessivamente, con conseguenze potenzialmente fatali, poiché i sistemi squilibrati possono essere  irreparabili».

Christin Abel, anche lui dell’università di Copenaghen, aggiunge: «I nostri risultati dimostrano che nelle regioni aride, in particolare quelle in Africa e in Asia, cresce meno vegetazione per la quantità di acqua piovana che cade, mentre cresce più vegetazione nelle aree aride del Sud America e dell’Australia».

Secondo i ricercatori, potrebbero esserci diverse spiegazioni sul motivo per cui i cambiamenti climatici e l’aumento delle temperature globali stanno influenzando maggiormente la vegetazione nelle regioni aride dei Paesi più poveri del mondo: «Tra le più evidenti c’è la rapida crescita della popolazione, ad esempio in Africa, dove c’è una crescente necessità di sfruttare terreni altrimenti poco adatti all’agricoltura. In questo modo si ottengono rese inferiori e si collocano quantità crescenti di bestiame su terreni con poca erba in ecosistemi già fragili. Al contrario, la vegetazione nelle aree aride dei Paesi più ricchi del mondo sembra affrontare meglio i cambiamenti climatici. Ciò è probabilmente dovuto all’intensificazione e all’espansione di aziende agricole più grandi, dove maggiori risorse economiche consentono, tra le altre cose, l’irrigazione e la fertilizzazione».

Ma i risultati del cambiamento climatico, le tendenze future per le aree più povere del pianeta che sembrano solo peggiorare, avranno anche pesanti ricadute sui Paesi ricchi. Le previsioni indicano un’espansione delle attuali aree aride e che quindi costituiranno una quota sempre maggiore dei nostri ecosistemi globali e «Questo può comportare che sempre più persone rimangano senza cibo e che debbano migrare», avverte lo studio.

Fensholt ciondivide questo allarme: «Una conseguenza del declino della vegetazione nelle aree delle regioni aride più povere del mondo potrebbe essere un aumento dei rifugiati climatici provenienti da vari Paesi africani. Secondo quanto abbiamo visto in questo studio, non vi è alcuna indicazione che il problema diminuirà in futuro».

Per diversi anni, le immagini satellitari hanno consentito ai ricercatori di osservare che, nel complesso, sembrava in realtà che le regioni aride del mondo siano diventate più verdi. Ma quando i ricercatori hanno esaminato la quantità di vegetazione che le aree aride nei Paesi in via di sviluppo hanno in relazione alla quantità di precipitazioni, il quadro appare molto diverso.

Fensholt.conclude: «Siamo stati lieti di vedere che, per un certo numero di anni, la vegetazione ha registrato una tendenza al rialzo nelle regioni aride. Ma se scaviamo solo un po’ più a fondo e guardiamo come le precipitazioni si sono tradotte con successo in vegetazione, allora il cambiamento climatico sembra colpire in modo non uniforme, il che è preoccupante».