Oltrepassare i punti di non ritorno aumenterebbe i costi economici del cambiamento climatico

I danni più gravi dalla dissociazione degli idrati di metano oceanico e dallo scongelamento del permafrost

[17 Agosto 2021]

Secondo lo studio “Economic impacts of tipping points in the climate system”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da Simon Dietz e Thomas Stoerk della London School of Economics and Political Science, James Rising dell’università del Delaware e Gernot Wagner della New York University, «il superamento dei punti di non ritorno nel sistema climatico potrebbe portare a un aumento misurabile degli impatti economici dei cambiamenti climatici».

Per stimare gli impatti economici dei punti di non ritorno climatici, come la disintegrazione della calotta glaciale della Groenlandia, il team di ricercatori ha creato un nuovo modello e, nello scenario principale, il rischio che si verifichino questi punti di non ritorno aumenta di circa il 25% il costo economico dei danni che possiamo aspettarci dal cambiamento climatico rispetto alle proiezioni precedenti.

Ma gli autori  dello studio sottolineano che «i risultati per il nostro scenario principale potrebbero essere prudenti, e i punti di non ritorno potrebbero aumentare i rischi di danni molto maggiori». Lo studio rileva che «esiste una probabilità del 10% che i punti di non ritorno raddoppino almeno i costi degli impatti del cambiamento climatico e una probabilità del 5% che triplichino i costi».

Lo studio prende in considerazione 8 punti di non ritorno descritti nella letteratura scientifica: lo scongelamento del permafrost porta al feedback del carbonio con conseguente ulteriore emissioni di anidride carbonica e metano, che ritornano nei cicli dell’anidride carbonica e metano. La dissociazione degli idrati di metano oceanico con conseguente emissioni aggiuntive di metano, che ritornano nel ciclo del metano. La perdita di ghiaccio marino artico (noto anche come “feedback dell’albedo superficiale”) con conseguente modifica del forzante radiativo, che influisce direttamente sul riscaldamento. Il deperimento della foresta pluviale amazzonica rilascia anidride carbonica, che rifluisce nel ciclo dell’anidride carbonica. La disintegrazione della calotta glaciale della Groenlandia aumenta l’innalzamento del livello del mare. La disintegrazione della calotta glaciale dell’Antartide occidentale aumenta l’innalzamento del livello del mare. Il rallentamento dell’Atlantic meridional overturning circulation che modula la relazione tra la temperatura superficiale media globale e la temperatura superficiale media nazionale. La variabilità del monsone estivo indiano che influenza direttamente il Pil pro capite in India.

Lo studio evidenzia che «le perdite economiche associate ai punti di non ritorno si verificherebbero quasi ovunque nel mondo. La dissociazione degli idrati di metano oceanico e lo scongelamento del permafrost creerebbero i maggiori impatti economici». Il modello include danni climatici a livello nazionale dovuti all’innalzamento delle temperature e del livello del mare per 180 paesi.

Gli autori ribadiscono che «la nostra valutazione degli impatti è probabilmente sottostimata, ma il nostro modello può essere aggiornato man mano che vengono scoperte maggiori informazioni sui tipping points».

Il principale autore dello studio, Dietz del Grantham Research Institute on climate change and the environment, ha concluso: «Gli scienziati del clima hanno a lungo sottolineato l’importanza dei punti di non ritorno climatici, come lo scongelamento del permafrost, la disintegrazione del ghiaccio della banchisa e i cambiamenti nella circolazione atmosferica. Tuttavia, a parte alcuni studi frammentari, l’economia climatica li ha ignorati o li ha rappresentati in modi fortemente stilizzati. Forniamo stime unificate degli impatti economici di tutti e 8 i punti di non ritorno sul clima trattati finora nella letteratura economica».