Per gli animali potrebbe non valere più la pena migrare a nord

I benefici della migrazione sono stati erosi dagli effetti del cambiamento climatico e dalla pressione umana

[22 Ottobre 2021]

Molti animali, inclusi mammiferi, uccelli e insetti, migrano per lunghe distanze verso nord per riprodursi, sfruttando l’abbondanza stagionale di cibo, un minor numero di parassiti e malattie e la relativa sicurezza dai predatori. Ma secondo lo studio “Animal migration to northern latitudes: environmental changes and increasing threats”, pubblicato su Trends in Ecology & Evolution da un team internazionale di ricercatori, «Gli animali che migrano a nord per riprodursi sono messi a rischio dai cambiamenti climatici in corso e dall’aumento della pressione umana, perdendo i precedenti vantaggi della migrazione, diminuendo di numero e cavandosela molto peggio delle loro controparti residenti» e in molti casi gli animali migratori hanno un minor successo riproduttivo e a una maggiore mortalità.

Il team di ricercatori delle università di Bath e Sheffield (regno Unito), Debreceni Egyetem (Ungheria), Jihočeská univerzita e Akademie věd České republiky (Repubblica Ceca) e Norsk Natursenter (Norvegia) avverte che «La riduzione dei vantaggi della migrazione a lunga distanza ha conseguenze potenzialmente gravi per la struttura e la funzione degli ecosistemi».

Sono giunti a questa conclusione dopo aver analizzato 25 studi recenti che descrivono come la migrazione stia diventando meno redditizia per diversi animali terrestri, tra i quali caribù, uccelli costieri e farfalle monarca, che migrano per oltre 1.000 km durante l’estate verso le regioni temperate e artiche settentrionali per riprodursi, tornando a sud in inverno. Percorrere distanze così lunghe è molto costoso in termini energetici, costi che però sono abbondantemente compensati dalla disponibilità di cibo e da meno malattie e predatori, ma ora i ricercatori dicono che per molte popolazioni di specie migratrici non è più così e ricordano che «Anche se alcuni animali potrebbero spostare le loro aree di riproduzione leggermente più a nord per compensare il cambiamento delle condizioni ambientali, gli animali migratori sono programmati per continuare il pericoloso viaggio ogni anno per riprodursi, nonostante la mancanza di benefici».

Il principale autore dello studio, Vojtěch Kubelka, ex ricercatore al Milner Center for Evolution dell’Università di Bath e che ora lavora per University of  Shieffield, Jihočeská univerzita, Debreceni Egyetem e Akademie věd České republiky, sottolinea che «Questi risultati sono allarmanti. Abbiamo vissuto con l’idea che i terreni di riproduzione del nord rappresentano porti sicuri per gli animali migratori. Al contrario, numerosi siti artici e temperati del Nord possono ora rappresentare trappole ecologiche o ambienti degradati ancora peggiori per diversi animali migratori, inclusi uccelli costieri, caribù o farfalle».

L’approvvigionamento e la disponibilità di cibo nel Nord possono essere climaticamente discordanti con la riproduzione degli animali migratori, portando a una maggiore mortalità della prole, come già descritto per molti uccelli migratori. Nell’Artico stanno anche emergendo nuovi parassiti e agenti patogeni, creando nuove pressioni e predatori più efficienti predano sempre più i nidi e mangiano uova e pulcini prima che abbiano la possibilità di involarsi.

Kubelka ricorda che «Lemming e arvicole erano la principale fonte di cibo per i predatori come le volpi nell’Artico, tuttavia gli inverni più miti possono far cadere la pioggia sulla neve e poi ricongelare, impedendo ai lemming di raggiungere il loro cibo. Con meno lemming e arvicole di cui nutrirsi, le volpi mangiano invece le uova e i pulcini degli uccelli migratori. Abbiamo visto che i tassi di predazione dei nidi degli uccelli costieri migratori artici sono triplicati negli ultimi 70 anni, in gran parte a causa dei cambiamenti climatici».

Gli autori dello studio evidenziano che «Le zone di riproduzione artiche e temperate settentrionali necessitano di una sostanziale attenzione per la conservazione, oltre a problemi ben noti nei siti di sosta e nelle aree di svernamento delle specie migratorie» e, accanto alle misure concrete di conservazione, propongono un semplice quadro su come mappare i fattori di stress per gli animali migratori nello spazio e nel tempo, aiutando a distinguere tra habitat adatti, naturalmente migliorati o protetti da un lato e trappole ecologiche o ambienti degradati con benefici ridotti o erosi per il comportamento migratorio dall’altro.

Kubelka aggiunge: «Il riconoscimento delle minacce emergenti e il quadro proposto per la classificazione della convenienza della migrazione contribuiranno a identificare le popolazioni e le regioni più a rischio, consentendo l’attuazione di misure di conservazione adeguate».

Un autore dello studio, Tamás Székely, della Debreceni Egyetem e Royal Society Wolfson Research Merit Award del Milner Centre for Evolution dell’università di Bath, sottolinea che «La migrazione degli animali dalle regioni equatoriali al nord temperato e all’Artico è uno dei più grandi spostamenti di biomassa nel mondo. Ma con la ridotta redditività del comportamento migratorio e il minor numero di figli che si uniscono alla popolazione, la tendenza negativa continuerà e sempre meno individui torneranno al Nord. La Terra è un ecosistema complesso: i cambiamenti nella redditività della migrazione influenzano le popolazioni di animali migratori che hanno come ricadute alterazioni della composizione delle specie, delle reti trofiche e del funzionamento dell’intero ecosistema. Questi modelli sono particolarmente minacciosi per gli animali migratori poiché un gran numero di queste specie è già influenzato negativamente al di fuori del periodo riproduttivo, nei siti di sosta e nei luoghi di svernamento, e molti in passato si sono affidati alle latitudini settentrionali per avere terreni di riproduzione relativamente sicuri».

Un altro autore, Rob Freckleton della School of Ecology and Evolutionary Biology dell’Università di Sheffield, conclude: «La nostra review evidenzia che esistono possibili minacce alle specie migratorie. C’è bisogno di più ricerca e il nostro studio evidenzia che le soluzioni sono davvero difficili a causa delle vaste aree coinvolte».