Vagabondi globali: l’evoluzione degli esseri umani è legata ai cambiamenti climatici del passato (VIDEO)

Siamo quello che siamo perché siamo riusciti ad adattarci nel corso dei millenni ai lenti cambiamenti climatici del passato

[14 Aprile 2022]

Lo studio “Climate effects on archaic human habitats and species successions”, pubblicato su Nature da un team internazionale di scienziati che comprendeva anche Pasquale Raia dell’università di Napoli Federico II e Alessandro Mondanaro dell’università di Firenze, «Fornisce prove evidenti di un legame tra il cambiamento climatico guidato dall’astronomia e l’evoluzione umana».

Mettendo insieme il più vasto database di resti fossili ben datati e reperti archeologici con un innovativo modello di supercomputer che simula la storia climatica terrestre degli ultimi 2 milioni di anni, il team di esperti in modellazione climatica, antropologia ed ecologia è stato in grado di determinare in base a quali condizioni ambientali potevano probabilmente sopravvivere gli esseri umani arcaici.

Al Center for climate physics dell’Institute for bassic science (ICCP) della Pusan National University (Corea del sud), che ha guidato lo studio, ricordano che «Si è sospettato a lungo dell’impatto del cambiamento climatico sull’evoluzione umana, ma era difficile da dimostrare a causa della scarsità di registrazioni climatiche vicino a siti di fossili umani. Per aggirare questo problema, il team ha invece studiato com’era il clima nella loro simulazione realistica al computer nei tempi e nei luoghi in cui vivevano gli umani, secondo la documentazione archeologica. Questo ha rivelato le condizioni ambientali preferite di diversi gruppi di ominidi». Infatti, lo studio prende in considerazione Homo sapiensHomo neanderthalensisHomo heidelbergensis (comprese le popolazioni africane ed eurasiatiche), Homo erectus e Homo africano primitivo (tra cui Homo ergaster e Homo habilis ).

Partendo da qui il team di ricercatori ha cercato tutti i luoghi e i periodi in cui si sono verificate le condizioni emerse nel modello, creando mappe in evoluzione temporale di potenziali habitat di ominidi.

Il principale autore dello studio, Axel Timmermann, direttore dell’ICCP, spiega: «Anche se diversi gruppi di umani arcaici preferivano ambienti climatici diversi, i loro habitat rispondevano tutti ai cambiamenti climatici causati dai cambiamenti astronomici nell’oscillazione, nell’inclinazione e nell’eccentricità orbitale dell’asse terrestre con scale temporali che andavano da 21 a 400 mila anni».

Per testare la solidità del legame tra clima e habitat umani, gli scienziati hanno ripetuto la loro analisi, ma hanno dovuto fare i conti con l’età dei fossili che, dicono «Era mischiata come un mazzo di carte. Se l’evoluzione passata delle variabili climatiche non avesse avuto un impatto su dove e quando vivevano gli esseri umani, allora entrambi i metodi avrebbero prodotto gli stessi habitat». Però, quando hanno utilizzato le età fossili mischiate e realistiche, gli scienziati  hanno trovato differenze significative nei modelli di habitat per i tre gruppi di ominidi più recenti (Homo sapiensHomo neanderthalensis  e  Homo heidelbergensis).

Timmermann evidenzia che «Questo risultato implica che almeno negli ultimi 500mila anni la reale sequenza degli eventi climatici passati, inclusi i cicli glaciali, ha svolto un ruolo centrale nel determinare dove vivevano i diversi gruppi di ominidi e dove sono stati trovati i loro resti».

Raia, che insieme al suo team di ricerca ha compilato il dataset di fossili umani e reperti archeologici utilizzati in questo studio, aggiunge: «La domanda successiva che ci siamo proposti di affrontare era se gli habitat delle diverse specie umane si sovrapponessero nello spazio e nel tempo. Le zone di contatto passate forniscono informazioni cruciali sulle potenziali successioni e mescolanze di specie»,

Dall’analisi della zona di contatto, i ricercatori hanno ricavato un albero genealogico degli ominidi, secondo il quale «I Neanderthal e i probabili Denisoviani derivavano dal clade eurasiatico di Homo heidelbergensis circa 500 – 400 mila anni fa, mentre le radici dell’Homo sapiens possono essere fatte risalire all’Africa meridionale, a popolazioni del tardo Homo heidelbergensis, circa 300 mila anni fa».

Uno degli autori dello studio Jiaoyang Ruan dell’ICCP, sottolinea che «La nostra ricostruzione dei lignaggi di ominidi basata sul clima è abbastanza simile alle recenti stime ottenute da dati genetici o dall’analisi delle differenze morfologiche nei fossili umani, il che aumenta la nostra fiducia nei risultati». .

Il nuovo studio è stato reso possibile grazie all’utilizzo di Aleph, uno dei supercomputer più veloci della Corea del Sud, ospitato nell’Institute for Basic Science a Daejeon de che, lavorando ininterrottamente per oltre 6 mesi, è riuscito a completare la più lunga simulazione del modello climatico completo esistente fino ad oggi. Kyung-Sook Yun dell’ICCP, che ha condotto gli esperimenti, evidenzia che «Il modello ha generato 500 terabyte di dati, sufficienti per riempire diverse centinaia di dischi rigidi. E’ la prima simulazione continua con un modello climatico all’avanguardia che copre la storia ambientale della Terra degli ultimi 2 milioni di anni, rappresentando le risposte climatiche all’aumento e al declino delle calotte glaciali, i cambiamenti nelle passate concentrazioni di gas serra, così come la marcata transizione nella frequenza dei cicli glaciali circa 1 milione di anni fa».

Un altro autore dello studio, l’antropologo svizzero Christoph Zollikofer dell’Universität Zürich, fa notare che «Finora, la comunità paleoantropologica non ha sfruttato appieno il potenziale di tali continue simulazioni di modelli paleoclimatici. Il nostro studio illustra chiaramente il valore di modelli climatici ben convalidati per affrontare questioni fondamentali sulle nostre origini umane».

Andando oltre la questione dei primi habitat umani e dei tempi e dei luoghi di origine delle specie umane, il team internazionale di ricerca ha ulteriormente approfondito il modo in cui gli esseri umani potrebbero essersi adattati alle diverse risorse alimentari negli ultimi 2 milioni di anni ed Elke Zeller, della Pusan ​​National University e coautore dello studio, spiega a sua volta: «Quando abbiamo esaminato i dati per i cinque principali gruppi di ominidi, abbiamo scoperto uno schema interessante. I primi ominidi africani circa 2 – 1 milioni di anni fa preferivano condizioni climatiche stabili. Questo li costrinse a vivere in corridoi abitabili relativamente stretti. A seguito di un’importante transizione climatica circa 800 mila anni fa, un gruppo noto con il termine generico di Homo heidelbergensis si è adattato a una gamma molto più ampia di risorse alimentari disponibili, il che ha permesso loro di diventare vagabondi globali, raggiungendo regioni remote dell’Europa e dell’Asia orientale».

Timmermann  conclude: «Il nostro studio documenta che il clima ha svolto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del nostro genere Homo. Siamo quello che siamo perché siamo riusciti ad adattarci nel corso dei millenni ai lenti cambiamenti climatici del passato».

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