La triste destrizzazione della sinistra francese (pensando all’Italia)
Questo intervento è stato pubblicato su Le Monde online del 24 ottobre 2013 con il titolo "La triste droitisation du PS"
[25 Ottobre 2013]
Per la sinistra governativa il “realismo” si dimostra irrealista: il riallineamento al senso comune di destra attizza “l’insicurezza culturale” senza placare l’insicurezza economica. La quotazione di François Hollande nei sondaggi cala nella misura del progresso di quella di Manuel Valls (il ministro degli interni francese, ndt). Allo stesso modo, la demagogia sarkozysta si era rivelata impopolare: i “grands débats” sull’identità nazionale o l’islam non hanno evitato la disfatta del 2012. In breve, il “realismo” della sinistra e la “demagogia” della destra non pagano.
D’altronde, la disaffezione per la sinistra “realista” non va che poco a beneficio della sinistra di sinistra. Tuttavia, l’estrema destra prospera con il favore della deriva ideologica della destra. Questa è una ragione supplementare per non tener conto della falsa simmetria tra le “estreme”. Infatti, se la destrizzazione del paesaggio politico, dagli anni ’80, giustifica più che mai di qualificare il Front National come partito di estrema destra, essere alla sinistra del Parti socialiste non è più sinonimo di radicalità!
Perché il fallimento della prima non fa il successo della seconda? Avremmo torto ad invocare una qualche logica meccanica, la crisi economica che determina la destrizzazione della società francese. Da una parte, l’esperienza storica ci ricorda che, nello stesso tempo dei fascismi europei, gli anni della Grande Depressione hanno visto fiorire il New Deal negli Stati Uniti e il Front populaire in Francia.
Dall’altra parte, l’analisi delle evoluzioni dell’opinione smentisce l’ipotesi di una destrizzazione della società, culturale, ma anche economica. Quanto al razzismo, non data da oggi; ha soprattutto cambiato d’abito, perché gli si consente più sovente la retorica repubblicana. In breve, la destrizzazione della politica non è l’effetto di una destrizzazione della società francese. Bisognerebbe spiegare la politica con la politica e non con la società che pretende pertanto di riflettere.
Sul terreno del FN per contrastarlo
Questa destrizzazione risulta dunque da una scelta politica: quella che prevale da trent’anni. Nel 1984, come comprendere la svolta del Front National? Invece di mettere in discussione il ritorno all’austerità del 1983, la destra e poi la sinistra si impegnate ad ascoltare il Partito di Jean-Marie Le Pen andando sul suo terreno: insicurezza, immigrazione. E’ stato fare come se l’estrema destra ponesse delle buone domande. Tuttavia, se si misura il cammino percorso, oggi, gli stessi direbbero che il Front National apporta buone risposte. Certo, la sinistra socialista continua a rivendicare un “giusto mezzo” tra le “estreme”; ma nella misura in cui il paesaggio si sposta, questo “mezzo” è meno giusto. E’ sufficiente, per convincersene, paragonarlo a quello del 1974.
Resta il paradosso attuale: il Front National accusa destra e sinistra di condurre la stessa politica. E’ vero che è il solo o quasi a voler rompere con l’Europa. Ma in materia di immigrazione, se la sinistra finisce per raggiungere la destra, da lungo tempo, caccia sul terreno dell’estrema destra. Se bisogna fare l’amalgama, in materia identitaria, è quindi di UmpPsFn che dovrebbe parlare Marine Le Pen. Ora, come le ha detto suo padre, gli elettori preferiscono l’originale alla copia. I partiti maggioritari sembrano così “pasticher“ Sacha Guitry: contro il FN, tutti contro…
Lungi dal rompere con questa strategia, François Hollande la ripropone. E’ così che ha scelto di mandare avanti il candidato più marginale, perché il più destrorso, delle primarie socialiste. E’ convalidare l’opposizione cara alla destra tra idealismo e realismo, che porta sempre alla rinuncia ai principi. Ne vediamo gli effetti: come Nicolas Sarkozy ieri, come Jean-Marie Le Pen l’altro ieri, Manuel Valls prende regolarmente la parte di chi sciocca con proposte sulfuree (sul ricongiungimento familiare, o sull’incapacità culturale dei Rom ad integrarsi). Ed ogni volta un sondaggio arriva a convalidare la sua scommessa “auto-realizzatrice” di destrizzazione. E’ che, come sempre, “l’opinione” risponde alle domande che le si pongono. Lui ce ne sottoporrà altre (se per avventura la sinistra parlasse di redistribuzione e più ampiamente contro le ineguaglianze) alle quali darà altre risposte.
E’ in questo contesto che la “sinistra della sinistra”, che si vuole popolare, si trova marginalizzata. Il consenso politico, che raddoppia il senso comune mediatico, si basa in effetti su un pregiudizio: il “popolo” sarebbe per forza “populista”, xenofobo e razzista. Ma soprattutto diventa impossibile parlare di qualcos’altro. Fino agli anni 2000, ci volevano da 200.000 a 300.000 sans-papiers per occupare il terreno mediatico-politico, oggi, in un Paese di 65 milioni di abitanti, bastano 20.000 Rom.
Meglio: François Hollande preferisce esprimersi sul caso Leonarda (una giovane Rom espulsa con la famiglia in Kosovo, ndt), a rischio dell’assurdità di un giudizio di Salomone, piuttosto che dover giustificare la sua scelta di una politica conforme alle attese dei mercati. Senza dubbio riuscirà, come Mitterrand, ad indebolire la sua sinistra; ma esponendosi alle sole pressioni della destra pagherà la sua abile vittoria a caro prezzo. Per la Storia, potrebbe davvero restare il presidente “di sinistra”, tra virgolette, che ha permesso l’avvento in Francia dell’estrema destra, senza virgolette.
Eric Fassin, sociologo, université Paris-VIII*