Riceviamo e pubblichiamo

Sulla confisca degli animali maltrattati e la “non punibilità” per tenuità del fatto

[4 Agosto 2015]

Come è noto, il Decreto Legislativo 16 marzo 2015 n. 28 ha apportato una vera e propria modifica profonda del sistema di regole sostanziali e procedurali  e prevede una possibile e potenziale applicazione del principio di non punibilità per “tenuità dal fatto” nel contesto dei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena.  I reati a danno degli animali rientrano in tale (potenziale) previsione.

Chi ha sostenuto il varo di questo decreto, ha sempre sottolineato che tale innovazione  era necessaria per deflazionare i tribunali dai reati c.d.  “bagatellati”, cioè ipotesi realmente minime e trascurabili che non valeva la pena perseguire fino in fondo in sede penale attesa la loro estrema modestia ed irrilevanza sostanziale. E per accreditare questo concetto i sostenitori di detta teoria hanno sempre proposto il classico e ripetuto esempio del furto di una scatoletta di pomodori pelati al supermercato…

Ma poi un conto sono le teorie astratte ed un conto sono le reali e quotidiane situazioni di applicazione delle leggi in via concreta, giacchè le cose non stanno affatto dell’alveo di questa apparente logica elementare. Stiamo – infatti – assistendo in quest’ultimo periodo ad una serie di pronunce che applicano il decreto in questione ben oltre i limiti dei cosiddetti reati “bagattellari”. Si notano, infatti, una serie di applicazioni del principio della “particolare tenuità del fatto” a reati molto significativi e rilevanti, che non c’entrano realmente nulla con i tanti sbandierati furti di scatolette di pomodori pelati al supermercato… E vi è oggi il concreto rischio che in alcuni settori si possa creare una “giurisprudenza a testa in giù”, con una serie di pronunce che – andando a dichiarare la non punibilità in modo seriale e continuativo per alcuni comportamenti che non sono poi nella realtà delle cose concrete affatto minimi e “bagattellari” – si vadano a legittimare – di fatto – alcuni comportamenti  illegali che poi sostanzialmente diventano impunibili.

Si deve, inoltre, registrare il dato oggettivo che – sostanzialmente – oggi allorquando si presenta in sede penale un reato che rientra comunque potenzialmente nell’ambito della pena per l’applicazione potenziale di tale principio, le richieste di applicazione sono di default ed in modo sistematico e seriale per l’applicazione. Si potrebbe maturare progressivamente il convincimento che se un reato rientra potenzialmente in tale previsione di pena, automaticamente va dichiarata la  non punibilità perpetua del reato medesimo per “particolare tenuità del  fatto”. Ed in questo contesto di errata interpretazione di fatto del principio, potrebbero rientrare in modo seriale anche i reati a danno degli animali.

Ma vi è un ulteriore problema, procedurale, che potrebbe sorgere in questo delicato contesto: il dubbio (infondato) che in caso di (difficile e residuale) applicazione del principio della “particolare tenuità del fatto” ad un soggetto riconosciuto comunque responsabile di un reato a danno di un animale, sottoposto quest’ultimo a sequestro preventivo, l’animale stesso in sede di dichiarazione di “non punibilità” conseguente per quel fatto-reato (comunque confermato) non venga poi confiscato in via obbligatoria ma venga dissequestrato e restituito al soggetto riconosciuto comunque in via penale responsabile del maltrattamento conclamato anche se “non punito”! Sarebbe veramente un paradosso in fatto ed in diritto…

Quest’equivoco può sorgere perché si sta estendendo un’errata cultura, soprattutto di comunicazione sui mass media con termini impropri, entro la quale l’applicazione del principio della “non punibilità” per “particolarità tenuità del fatto” viene indicata come una “assoluzione”. In realtà non è affatto così, ma è esattamente il contrario. Un soggetto che beneficia del principio della “non punibilità” per “particolarità tenuità del fatto” non viene affatto assolto, ma – al contrario – viene riconosciuto colpevole e responsabile penalmente del fatto reato. Quindi, il provvedimento che applica questo principio non è assolutamente una assoluzione nel merito, ma  – al contrario – è un atto che accerta la responsabilità penale del soggetto come autore di quel fatto reato. Il fatto-reato viene, dunque, confermato nella sua antigiuridicità, viene confermata la sua esistenza storica e viene confermato che il soggetto autore del fatto è esattamente quello per il quale si sta procedendo. Altrimenti il giudice se si rendesse conto che il fatto non sussiste storicamente, o che quel soggetto non lo ha commesso, non dovrebbe applicare questo principio, ma dovrebbe doverosamente proscioglierlo o assolverlo nel merito dichiarando che quel fatto non è mai esistito o che quel soggetto non lo mai commesso.

L’azione ed il comportamento rimangono illegali. Non si va neppure a trasformare un’azione da illegale in azione legale, e dunque a decriminalizzarla. Proprio perché il fatto illecito in se stesso resta illecito, non viene meno la antigiuridicità del fatto e del comportamento. Il soggetto responsabile non viene “assolto” e – dunque – dichiarato estraneo al fatto ed alla dinamica connessa. È stata creata una nuova forma di non punibilità: fermo restando che l’azione resta illecita, l’ordinamento giuridico sceglie di non irrogare la pena a colui che – comunque – ritiene dinamicamente responsabile di un’azione che in se stessa rimane contra legem. Dunque, il fatto sussiste, è realmente accaduto, resta illecito, ma lo Stato rinuncia a punire chi l’ha commesso (sul presupposto che il fatto è di particolare tenuità). Va sottolineato che si tratta di una causa di non punibilità  e non di improcedibilità. Dunque, l’applicazione dell’istituto presuppone pur sempre e necessariamente un fatto “non inoffensivo”, ossia un fatto tipico, costitutivo di reato e offensivo dell’interesse tutelato, ma da ritenere non punibile in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale che sono alla base del decreto…

In altre parole, e per essere ancora più chiari, se un soggetto beneficia dell’applicazione di questo decreto, non significa assolutamente che egli non ha maltrattato l’animale. Al contrario, significa che il giudice ha riconosciuto che il reato sussiste, che l’animale la ho maltrattato quel soggetto, ma poi in applicazione di questo decreto rinuncia a punirlo… Tutto qui. Non è stato affatto dichiarato estraneo a quel reato, che invece viene confermato. In questi casi il maltrattamento come fatto storico è esistito anche se poi lo Stato rinuncia a punirlo (senza “assolvere” nel merito il soggetto che resta responsabile dunque di aver integrato quel fatto-reato).

Giova ricordare che in materia di reati contro gli animali, all’art 544 sexies c.p. è previsto uno strumento processuale fondamentale per garantire la concreta applicazione della norma, che è la confisca obbligatoria degli animali (art 544 sexies c.p.), ovvero la sottrazione, garantita anche in fase di indagini preliminari mediante lo strumento del sequestro preventivo di cui all’art 321 c.p.p., della vittima del reato ovvero dell’animale all’autore della condotta criminosa. L’ Art. 19-quater (Affidamento degli animali sequestrati o confiscati) delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale prevede poi che gli animali vittime di reato siano affidati in custodia ad Enti con specifici poteri processuali, ovvero quelli individuati dall’art 7 della legge 189 del 2004 (Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni)  che a sua volta prevede specifici poteri processuali statuendo che  ‘Ai sensi dell’articolo 91 del codice di procedura penale, le associazioni e gli enti di cui all’articolo 19-quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale perseguono finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla presente legge’.  La partecipazione degli Enti in questione, che evidentemente surroga la capacità processuale della reale vittima del reato (animale) che non ha logicamente il potere processuale di farsi rappresentare direttamente, è sancita quindi dalla norma, ma è del tutto eventuale ovvero avviene nei casi in cui tali Enti vengono a conoscenza di tali procedimenti o hanno di per se avviato le indagini con propria denuncia.

L’art. 544 sexies c.p. prevede dunque che, tanto nel caso di condanna quanto nel caso di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per i reati di cui agli articoli 544ter e c.p. (con ovvia esclusione dell’art. 544 bis c.p. in cui l’apprensione dell’animale vivo non è più possibile), è prevista la confisca obbligatoria degli animali, rendendo possibile anche il sequestro preventivo dell’animale ai sensi del 321 c.p.p., ed il sequestro preventivo in via d’urgenza da parte della polizia giudiziaria ex art. 321 co 3 bis c.p.p..

Il sequestro preventivo dei beni di cui è sempre ordinata la confisca costituisce figura autonoma e distinta dal sequestro preventivo ordinario, la cui peculiarità sta nel fatto che per la sua applicazione non ricorrono necessariamente i presupposti del sequestro preventivo tipico, ovvero il pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, ma basta il presupposto della confiscabilità ed il fumus del reato, cumulativamente.

L’art. 727 cp non prevede esplicitamente la confisca per tale reato, tuttavia la giurisprudenza[1] ha nel tempo statuito che sebbene l’art. 727 non contenga un’espressa ipotesi di confisca l’animale vada confiscato ai sensi dell’art. 240 co 2 n 2 c.p. in relazione al divieto di detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura.

Or bene, in caso di applicazione dell’istituto della “particolare tenuità del fatto” che come rilevato in precedenza incide esclusivamente sulla punibilità ma prevede l’integrazione del fatto tipico a tutti gli effetti, al pari di quanto previsto in caso di prescrizione, se il fatto è comunque accertato,  si ritiene che debba conseguire comunque la confisca in quanto attuata non con finalità punitive.

La confisca di cui agli art.li 544 sexies e 240 comma 2 c.p. non ha funzione punitiva (art 240 c.p.) ma è orientata al ripristino della situazione di fatto antecedente alla commissione del reato[2], motivo per cui la si ritiene pienamente applicabile anche in caso di decreto di archiviazione per particolare tenuità del fatto o di sentenza dibattimentale, a protezione degli animali coinvolti.

Sarebbe realmente contrario alla ratio legis delle norme in esame, e contrario ad ogni logica elementare, che in sede giurisdizionale venisse accertato che esiste un reato di maltrattamento a danno di un animale (il quale animale per tale motivo era stato correttamente e doverosamente sottoposto a sequestro preventivo per evitare la continuazione del maltrattamento in atto), e che venisse altresì accertato che quel soggetto imputato ha effettivamente commesso quel fatto-reato (altrimenti verrebbe prosciolto o assolto nel merito) e che, dopo tali riconoscimenti oggettivi dell’antigiuridicità del comportamento del soggetto così conclamato, al responsabile –  anche se poi andrà a beneficiare della “non punibilità” –  l’animale maltrattato in sequestro gli venga poi restituito anziché essergli sottratto definitivamente con la confisca… Avrebbe un senso logico, prima che giuridico, tutto questo?

di Maurizio Santoloci e Carla Campanaro – Diritto all’Ambiente

[1] Corte di Cassazione Penale, Sez. III, 10/06/2010 (Ud. 21/04/2010), Sentenza n. 22039

[2] Vedasi sul punto dell’applicabilità della confisca con funzioni preventive, se il reato è accertato Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 31617/15