Viaggio nella criptozoologia: animali tra fascino, leggende e realtà scientifica
Da Loch Ness a Panama, passando per New York. Non solo una rassegna di improbabili mostri
[10 Novembre 2015]
Animali che per la scienza sono estinti da millenni. Specie di cui non è mai stata provata l’esistenza, ma nei confronti delle quali esistono prove circostanziali, come nei film thriller. Indizi, avvistamenti, tracce, fotografie confuse… tutto questo è la criptozoologia: secondo i suoi sostenitori, una branca della zoologia dedicata allo studio dello stato conoscitivo delle specie animali; secondo gli zoologi una pseudo-scienza che si basa su aneddoti (dati non confermati) invece che su prove scientifiche.
Se ne è parlato al Muse – Museo delle scienze di Trento nell’ambito di M’ammalia, la Settimana dei Mammiferi, il science week organizzato in tutta Italia, per il 7° anno consecutivo, da ATIt (Associaizone teriologica italiana) e Anms (Associazione nazionale musei scientifici).
Se ne è parlato, dopo l’introduzione di Paolo Degiovanni, grazie al lucido intervento di Lorenzo Rossi che ha presentato esempi, prove divenute poi scienza e “bufale” ad un uditorio sempre più incuriosito. Si è partito dal mostro di Loch Ness, per mostrare l’infondatezza delle testimonianze a supporto della sua esistenza e la non significatività scientifica delle fotografie che lo “ritraggono”. Si è parlato dei “mostri” di New York e Panama: due creature glabre trovate recentemente sulle spiagge americane e sbattute in prima pagina come nuove specie (di animali o di alieni, poco cambia). Entità che l’occhio di uno zoologo ha subito riconosciuto come un procione e un bradipo depilati, forse proprio da qualcuno in vena di “scherzi”.
Rossi ha poi accennato allo Yeti, al Big foot e al Mokele mbembe (“colui che ostacola il corso dei fiumi”): mostri creati dall’immaginazione dell’uomo, che nulla hanno a che fare con la realtà zoologica ma che senza dubbio possono insegnarci qualcosa sul nostro modo di essere e di ragionare.
La criptozoologia, secondo i due oratori della serata, non si occupa però solo di mostri (anzi, deve smettere di farlo, se vuole accreditarsi presso la comunità scientifica): è anche la disciplina che ha permesso di dare maggior ascolto alle voci dei nativi, permettendo la scoperta di nuove specie o il ritrovamento di animali che i ricercatori credevano estinti da secoli, ma che spesso le comunità locali conoscevano già.
Nello scenario ispiratore del Muse – tra scheletri di plesiosauri e ittiosauri galleggianti sopra l’auditorio – ciò che più ha appassionato il pubblico non è stata però la discussione sul futuro della criptozoologia, in bilico tra l’oggettività di alcuni ricercatori laici e oggettivi e il circo delle “bufale” che spesso i mass media mettono in scena. Ciò che più ha intrigato gli ascoltatori è stato il tentativo di comprendere quali elementi rendano gli animali così carichi di mistero e fascino occulto, così da divenire tanto spesso protagonisti indiscussi di leggende e scoop. Capirlo significherebbe rendersi meglio conto di chi siamo, della società in cui viviamo e, in ultima analisi, ci darebbe nuovi elementi per conservare la fauna e l’ambiente.
di Filippo Zibordi, ufficio Comunicazione ATIt (Associazione teriologica italiana) per greenreport.it