Wwf, dalla pandemia una preziosa lezione contro lo spreco di cibo
«Covid-19 ci ha portato ad avere una maggiore sensibilità della fragilità del nostro sistema: i consumatori per la prima volta hanno visto scaffali vuoti, prodotti esauriti»
[12 Ottobre 2020]
Il cibo è l’ago di una bilancia che soppesa le più brucianti delle ingiustizie. Quelle sociali – tra chi può permettersi un’alimentazione sana e sufficiente e chi no – e quelle ambientali: nonostante il ruolo centrale della biodiversità per le produzioni alimentari, stiamo perdendo specie a un tasso 100-1.000 volte superiore a quello naturale presente durante l’Olocene. Siamo entrati nella sesta estinzione di massa, per la prima volta indotta da una specie animale: la nostra. Una situazione disperante dalla quale però c’è ancora possibilità di ritorno, come mette in evidenza il report Invertire la rotta: il potere riparatore delle “diete amiche del pianeta”, elaborato dal Wwf.
«Attualmente produciamo cibo a sufficienza per nutrire il Pianeta, ma la produzione alimentare globale non rispetta i limiti planetari», ricordano dal Panda. Sulla Terra oltre 820 milioni di persone soffrono la fame, dopo decenni di miglioramento, dal 2015 il trend positivo si è invertito e la fame ha ricominciato a crescere; contemporaneamente circa 2 miliardi di persone sono considerate sovrappeso o obese. I livelli di disuguaglianza sono molto ampi: la percentuale di persone sottopeso è fino a 10 volte più alta nei Paesi più poveri, mentre la percentuale di persone in sovrappeso e obese è fino a 5 volte più alta nei Paesi più ricchi.
Al contempo, la popolazione umana si prevede continuerà a crescere ancora per qualche decennio: la Fao stima che la produzione alimentare necessaria al 2050 richiederebbe un aumento nella produzione agricola del 60-70%, considerati l’incremento previsto della popolazione umana (che dovrebbe raggiungere per quell’anno quasi 10 miliardi di persone) e i cambiamenti attesi nella dieta e nei livelli di consumo associati all’incremento dell’urbanizzazione
Com’è possibile incrociare questo bisogno con i limiti planetari? «L’umanità – argomentano dall’associazione ambientalista – dovrà essere nutrita con la superficie agricola esistente e perché ciò accada dobbiamo smettere di utilizzare il 38% delle terre coltivate per nutrire il bestiame e dedicare invece questi quasi 460 milioni di ettari di terreno coltivabile alla produzione di cibo per il consumo umano diretto».
Il conto, per il Wwf, è presto fatto. Oggi, la superficie destinata all’agricoltura è il più grande bioma della Terra: circa il 40% (~ 4,2 miliardi di ettari) di tutta la superficie terrestre abitabile viene utilizzata per nutrire gli esseri umani. Di questa superficie, il 71% (~ 3,0 mld di ha) è usato per il pascolo del bestiame e, circa 1,2 mld di ha per le colture, di cui circa il 38% è utilizzato per coltivare mangimi per il bestiame. Al contempo, secondo il report del Panda, il sistema alimentare è responsabile di poco più di un quarto delle emissioni totali globali di gas serra (GHG), pari a circa 14Gt. Circa due terzi di tutte le emissioni di gas a effetto serra legate al settore alimentare sono dovute del settore agricoltura, foreste e di altri usi del suolo (AFOLU), mentre il restante terzo proviene dalla lavorazione, dal trasporto e dall’imballaggio degli alimenti. Per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, le emissioni del sistema alimentare devono essere ridotte entro i 5Gt CO2-eq – incluse le emissioni di metano dovute al bestiame e quelle di protossido di azoto derivanti dall’uso di fertilizzanti.
In questo contesto, è chiaro come per ridurre le disuguaglianze sotto il profilo alimentare senza andare ad aumentare la pressione antropica sugli ecosistemi, il primo obiettivo da conseguire sia quello di ridurre gli sprechi alimentari: ad oggi infatti circa 1/3 del cibo prodotto per il consumo umano (circa 1,3 miliardi di tonnellate) viene perduto o sprecato ogni anno.
«Non c’è alcuna ragione – sottolineano dal Wwf – per non cominciare a consumare correttamente evitando di sprecare cibo. La crisi del Covid-19 ci ha anche portato ad avere una maggiore sensibilità della fragilità del nostro sistema: ha contribuito, ad esempio, a costruire consapevolezza nei consumatori che per la prima volta hanno visto scaffali vuoti, prodotti esauriti, hanno recuperato il valore di cucinare in casa, conservare, trattare gli alimenti».
Ecco dunque che ridurre la perdita di cibo (che avviene nelle fasi di produzione, di post raccolto e di lavorazione dei prodotti fino al trasporto) e lo spreco (ossia lo scarto intenzionale di prodotti commestibili, soprattutto da parte di dettaglianti e consumatori) è fondamentale: permette di aumentare contemporaneamente la salute delle persone (sicurezza alimentare e qualità degli alimenti), la salute del Pianeta (emissioni di gas serra, risorse naturali, perdita di biodiversità) e promuovere economie in salute (risparmio per i più poveri e opportunità per i produttori).