Riceviamo e pubblichiamo
Cassazione, nessuna “liberalizzazione” per gli abbruciamenti in campagna
[29 Marzo 2016]
La Corte di Cassazione smentisce clamorosamente – e decisamente – tutte le teorie fino ad oggi promulgate che vorrebbero una “liberalizzazione a tutto campo” dei roghi in campagna. Dopo la riforma che ha portato all’inserimento della deroga per consentire, sotto precise regole, la bruciatura dei residui vegetali in campagna rispetto al pregresso regime di violazione permanente della normativa in materia di rifiuti, in diversi hanno esultato ritenendo che ci si trovava di fronte ad una deregulation generale e – quindi – che in campagna ognuno da allora poteva di fatto bruciare quello che voleva e come voleva.
E invece non è affatto così. E lo ha ricordato recentemente una importante sentenza della terza sezione penale della Corte di Cassazione, che ha riportato la situazione nei suoi esatti parametri, azzerando di fatto ogni “interpretazione estensiva” della modesta riforma in materia di bruciature di residui agricoli.
La pronuncia della Suprema Corte si innesta sulle attuali norme del D.Lgs n. 152/06 che, dopo una sofferta riforma derogatoria, consentono l’abbruciamento degli scarti vegetali fuori dal regime dei rifiuti (comma 6-bis dell’articolo 182, introdotto nel 2014) e il loro rapporto con la disciplina sulla gestione illecita degli stessi (articolo 256). Ai sensi dell’articolo 182 del decreto, dopo la citata novella derogatoria, non costituiscono attività di gestione rifiuti, ma normali pratiche agricole, l’abbruciamento in piccoli cumuli e quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali ex articolo 185, comma 1, lettera f (ossia: paglia, sfalci e potature, altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso) effettuato nel luogo di produzione e finalizzato al loro reimpiego come concimanti o ammendanti; la combustione (aggiunge la disposizione di novella derogatoria) è vietata nei periodi “di rischio” dichiarati da regioni, comuni e altre amministrazioni competenti in materia ambientale. Tutto qui. Ma molti hanno invece inteso questa modifica normativa come una sorta di liberalizzazione totale di ogni e qualsivoglia tipo di bruciatura di rifiuti agricoli in campagna. Esultando, perché fino al giorno prima della riforma derogatoria sostanzialmente tali roghi erano considerati reato di attività illecita di gestione di rifiuti…
La Corte di Cassazione – Sez. III penale, con la pronuncia del 10 febbraio 2016, n. 5504, ha invece ricordato che l’attività di abbruciamento dei materiali in questione effettuata in difetto di una delle suddette condizioni integra pienamente il reato di gestione di rifiuti non autorizzata ex articolo 256, comma 1, lettera a) del D.Lgs n. 152/06. Integra – dunque – il vero e proprio reato di gestione illecita di rifiuti l’abbruciamento di residui agricoli o forestali senza l’osservanza di tutte le specifiche condizioni dettate in materia dal c.d. Testo unico ambientale. Cioè, in parole povere, se non si rispettano i rigidi parametri della deroga, si torna alla regola pregressa. E la regola pregressa, nonostante che qualcuno in passato abbia sempre sostenuto tesi contraria, è quella che bruciare anche residui agricoli in campagna ha sempre integrato il reato di gestione illecita di rifiuti mediante combustione.
Siamo dunque arrivati alla chiusura del cerchio, e siamo tornati al punto di partenza…
Il punto di diritto che possiamo trarre da detta pronuncia è che bruciare residui vegetali allo scopo di smaltirli illecitamente al di fuori dalle condizioni fissate dall’art. 185 e art. 182, comma 6-bis, Dlgs 152/2006 configura il reato di gestione illecita di rifiuti. Come è sempre stato in passato prima della riforma derogatoria…
Dunque, la novella normativa (art. 14 comma 8 legge n. 116 del 2014, introduttiva del comma 6bis nell’art. 182 D.Lgs n. 152/06) che ha creato una deroga per consentire alcune bruciature di rifiuti a condizioni limitate e molto severe, non è – come qualcuno sostiene – una liberalizzazione totale di ogni e qualsivoglia tipo di roghi di residui agricoli in campagna, ma è – appunto – una norma parzialmente e modestamente derogatoria che consente alcune limitate bruciature di residui agricoli, in certe quantità, in alcune aree, con certe modalità e soltanto in alcuni periodi e basta.
Se non si rispetta questa deroga, vige ancora il regime pregresso (e cioè il reato di gestione illecita di rifiuti che esisteva prima, ed esiste ancora oggi se non si rispettano le regole della deroga…).
E poiché qualcuno sosteneva in passato che bruciare rifiuti agricoli in campagna era sempre stata attività libera, non si vede perché il legislatore ha dovuto creare invece una deroga specifica per chiarire queste modalità di bruciatura a certe condizioni. Non avrebbe avuto senso creare una deroga su un principio che già esisteva. Se vi è stata necessità di deroga, evidentemente la regola era esattamente all’opposto. Ed è ancora oggi tale regola di base è perfettamente vigente. Se la deroga non viene rispettata, si torna alla regola, e cioè al regime passato del reato di gestione illecita anche di rifiuti agricoli mediante combustione. Perché riemerge il fine di disfarsi, e quindi di smaltire gli stessi agricoli mediante il rogo. E – ragionevolmente – in campagna nella maggior parte dei casi i rifiuti agricoli vengono bruciati non per le ipocrite finalità della norma di deroga, ma semplicemente perché si vuole risparmiare sui costi di smaltimento e si preferisce operare in loco uno smaltimento di fatto con il chiaro figli disfarsi di tali residui bruciandoli praticamente nel proprio campo.
Senza contare poi che ore ed ore di bruciature spargono in tutte le aree circostanze fumi che poi vengono respirati coattivamente dai residenti in zona.
La Corte di Cassazione nella sentenza citata conferma la condanna dell’imputato punito per gestione illecita di rifiuti (articolo 256, comma 1, lettera a), D.Lgs 152/2006) per avere bruciato un cumulo di residui di trebbiatura di riso (pula e paglia di riso) su un fondo agricolo in Emilia Romagna. La Corte conferma la sussistenza del reato in questione perché il materiale vegetale ex articolo 185, comma 1, lettera f) che viene bruciato è sottratto alla disciplina dei rifiuti solo se è bruciato sul luogo di produzione ed è destinato al reimpiego in agricoltura seguendo le complesse e severe norme della disciplina di deroga. L’imputato invece intendeva chiaramente disfarsene illecitamente e non reimpiegarlo.
Ed è questo il punto fondamentale della sentenza. Perché in realtà l’indirizzo ipocrita della normativa di deroga è quello del “reimpiego” in agricoltura di risultati della bruciatura. Ma in realtà tutti sappiamo bene che queste bruciature avvengono solo ed esclusivamente per consentire un risparmio sui costi ufficiali di smaltimento, attivando falò in loco finalizzati – nella maggior parte dei casi – proprio a disfarsi di residui agricoli mediante abbruciamento sul posto…
E proprio per questo motivo prima della riforma di deroga si era stabilito che esattamente il fine di “disfarsi” di tali residui (rifiuti) agricoli faceva integrare sistematicamente il reato di gestioni illecita – appunto – di rifiuti…
Ma il problema era diffuso ed è diventato dunque poi una questione politica. È intervenuta allora l’ipocrisia della deroga che con l’escamotage di un presunto “riutilizzo” del risultato della bruciature a fini agricoli, e richiamando presunte arcaiche tradizioni agricole, ha di fatto sottratto al reato in questione alcune tipologie di tali falò, pur essendo costretta la deroga stessa a creare dei paletti abbastanza rigidi per evitare una liberalizzazione a tutto campo che sarebbe apparsa ancora più in palese contrasto con le regole europee in materia. Ma i nodi vengono al pettine. Ed oggi la Corte di Cassazione ricorda che la regola di base esiste (reato), e se non si rispettano i parametri della deroga si torna al reato in questione (reato contestato in precedenza, e che deve essere contestato ancora oggi a chi viola le regole della deroga…).
Nella pronuncia, la Corte di Cassazione ha sottolineato che – violando la deroga – costituisce ancora oggi attività di gestione di rifiuti, esulando dalle normali pratiche agricole, ogni attività di raggruppamento e abbruciamento dei materiali vegetali eseguita fuori dal luogo di produzione o, se eseguita nel luogo di produzione, posta in essere per una finalità diversa dal reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti; ovvero che sia eseguita nel luogo di produzione, per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, ma in cumuli non piccoli o, se in cumuli piccoli, in quantità giornaliere superiori a tre metri steri per ettaro.
Ma vediamo alcuni passaggi significativi della motivazione della sentenza in commento. “
La Corte, nel confermare la pregressa sentenza impugnata, rileva che “(…) il tribunale ha ritenuto che l’attività di incenerimento in questione andasse senz’altro considerata come attività di smaltimento dei rifiuti, essendo volta a eliminare (impropriamente) degli scarti, peraltro di quantità significativa, tanto che il fatto storico era ampiamente sussumibile nella fattispecie astratta descritta dalla norma incriminatrice, non potendosi ritenere che, nel caso in esame, i residui vegetali bruciati fossero dei sottoprodotti.
Infatti la condotta di bruciare tali materiali denotava la chiara intenzione del detentore di disfarsene (secondo la nozione di cui all’articolo 183 decreto legislativo 152 del 2006). Pur essendo possibile che in altre occasioni il ricorrente avesse fatto diverso uso di tali materiali (spargendoli nei campi come concime, senza bruciarli preventivamente), nel caso in esame egli aveva invece inteso smaltirli (illecitamente) (…)
Va sottolineato che, come appare sopra evidente, la Cassazione richiama espressamente il concetto di “disfarsi”. Questo concetto appare importantissimo ai fini della qualificazione generale dei “rifiuti” e “non rifiuti”. Ed è un principio propedeutico trasversale, che supera anche ogni deroga. Infatti laddove il produttore del materiale residuale in tenda comunque disfarsi del materiale medesimo avviandolo di fatto verso lo smaltimento o recupero, sia nelle forme regolari che nelle forme illegali, automaticamente si azzera ogni altro passaggio e quel materiale assume automaticamente lo status di rifiuto. Questo vale logicamente anche per i residui agricoli.
Punto fondamentale della presente sentenza è che la Cassazione ha ribadito il concetto basilare che nel caso di specie, al di là della previsione normativa specifica e delle deroghe, il soggetto ritenuto responsabile è stato riconosciuto in un comportamento attivo teso a disfarsi dei materiali residuali di origine agricola mediante bruciatura. Il fine era dunque quello di disfarsi mediante smaltimento degli stessi attraverso la bruciatura. Questo rappresenta carattere assorbente rispetto a tutte le altre discipline in materia di residui agricoli, sia nella regola che nella deroga.
E d’altra parte, questo è il principio che sulle pagine di questa testata giornalistica on-line abbiamo da sempre sostenuto quando in passato abbiamo rilevato come nella realtà concreta delle cose – e al di là delle ipocrisie legislative e di prese di posizione politica – in campagna nella maggior parte dei casi le bruciature di residui agricoli avvengono puramente e semplicemente perchè il produttore deve inevitabilmente disfarsi dei residui agricoli e vuole evitare di pagare il ritiro attraverso ditte specializzate che – logicamente – hanno un costo. Quindi in via realistica – e tutti sanno bene che è così – il fine ultimo della maggior parte delle bruciature di rifiuti agricoli è quello di eliminare tale materiale residuale, e non è certamente quello dell’utilizzo in agricoltura dei resti della bruciatura (finzione legislativa evocata per giustificare la deroga): pensiamo in particolare alle potature che sono ingombranti e che devono essere in qualche modo eliminate, Pertanto la novella legislativa che ha introdotto la deroga autorizzando, sottolineiamo in modo strumentalmente politico, alcune forme di bruciatura di rifiuti agricoli per venire incontro alle richieste delle associazioni di categoria, non può azzerare completamente la base di principio di fatto che stiamo esponendo in questa sede. E quindi la cassazione riporta il tutto nella correttezza di dei canoni ordinari.
E quindi, se non si rispettano (le già forzate) regole della deroga, si torna al regime ordinario in base al quale bruciare residui agricoli in campagna quali rifiuti con l’evidente ed unico sia di smaltirli (“disfarsi”) rappresenta comunque un reato di gestione illecita di rifiuti. Ma – a nostro avviso – questo principio è propedeutico e trasversale, perché il fine delle del “disfarsi” è l’anticamera dello smaltimento e del recupero (e questo vale in modo diretto anche per i residui agricoli). Altrimenti si dovrebbe andare in deroga rispetto alla nozione europea di rifiuto.
La Cassazione, infatti, sottolinea che “(…) il tribunale ha escluso che l’abbruciamento in questione fosse penalmente irrilevante ai sensi dell’articolo 185, lettera f), decreto legislativo 152 del 2006 in quanto tale norma, ai fini dell’esclusione dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti, richiede, tra l’altro, che i residui vegetali siano destinati al reimpiego in agricoltura ,circostanza esclusa nel caso concreto dal fatto, già in precedenza evidenziato, che il periodo della concimazione della semina era già ampiamente decorso e che i metodi di utilizzo non danneggino l’ambiente e non mettano in pericolo la salute umana (ed il rispetto di tale requisito è escluso posto che la combustione è avvenuta nei pressi di un edificio ed in periodo in cui l’accensione dei fuochi era vietata sul territorio regionale); nel caso in esame, viceversa, la destinazione era proprio quella dello smaltimento (…)”; e che veniva esclusa l’ipotesi che “(…) tali residui potevano essere successivamente utilizzati perché la condotta di bruciarli denotava, di fatto, la chiara intenzione del detentore di disfarsene, trattandoli non come sottoprodotto ma come rifiuto (secondo la nozione di cui all’articolo 183, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 152 del 2006), attraverso lo smaltimento di essi mediante combustione (…)”.
Al di là del principio stabilito dalla sentenza in esame, è appena il caso di ricordare che – in ogni caso – se all’interno del cumulo di residui agricoli (anche nel rispetto delle modalità della deroga) si mescolano nel rogo anche rifiuti di altro tipo (come ad esempio polistiroli, cassette, contenitori in plastica ed ogni altro rifiuto che in campagna è ancora spesso tradizione bruciare), si azzera ogni deroga e quel cumulo misto di residui agricoli e rifiuti vari sarà comunque soggetto al reato di gestione illecita di rifiuti mediante abbruciamento.
di Maurizio Santoloci, Diritto all’ambiente