In Italia procedure amministrative hanno ritardato di molto l’attuazione di progetti
Per la Corte dei conti europea «il trasporto marittimo Ue è in cattive acque»
Un terzo dei fondi spesi per le strutture presso i porti marittimi tra il 2000 e il 2013 è stato inefficace e non sostenibile
[23 Settembre 2016]
“Il trasporto marittimo dell’Ue è in cattive acque: molti investimenti risultano inefficaci e insostenibili” è il titolo della relazione speciale elaborata sul tema dalla Corte dei conti europea. Secondo la relazione – appena pubblicata – un terzo dei fondi spesi dall’Ue per le strutture presso i porti marittimi tra il 2000 e il 2013 è stato inefficace, non sostenibile e sussiste un elevato rischio che tali investimenti vadano sprecati.
La Corte ha valutato le strategie di trasporto merci per via marittima della Commissione e degli Stati membri, nonché il rapporto benefici/costi conseguito dagli investimenti finanziati dall’Ue nei porti. Sono stati esaminati 37 nuovi progetti e cinque progetti oggetto di nuova valutazione. Nel complesso, dall’audit è emerso che nei 19 porti marittimi visitati in cinque paesi dell’Unione (Germania, Italia, Polonia, Spagna e Svezia), le strategie a lungo termine poste in essere non hanno costituito una base solida per pianificare la capacità necessaria nei porti e per individuare i finanziamenti dell’Ue e i finanziamenti pubblici nazionali necessari per le infrastrutture portuali.
L’Italia aveva adottato una strategia nazionale con molti elementi utili come base per l’esecuzione di validi investimenti nel settore portuale. Ad esempio, il primo atto di realizzazione di questa strategia è stato introdurre un nuovo sistema di governance portuale, che ha portato alla decisione di accorpare vari porti esistenti, riducendo così il numero delle autorità portuali e accrescendo le potenzialità di coordinamento e risparmio. Però, la strategia adottata nel 2015, non è stata accompagnata da un piano di attuazione.
In porti limitrofi, il finanziamento di infrastrutture e sovrastrutture portuali simili ha avuto come conseguenza investimenti inefficaci e non sostenibili: sulla base di 30 dei 37 progetti esaminati e già completati tra il 2000 e il 2013, un euro su tre (corrispondente a 194 milioni di euro per 12 progetti) è stato finora speso senza efficacia. Circa la metà di questi finanziamenti (97 milioni di euro di finanziamenti Ue per nove progetti) è stata investita in infrastrutture che non sono state utilizzate o sono state fortemente sottoutilizzate per oltre tre anni a contare dalla conclusione dei lavori. Ciò mette in luce carenze nella valutazione ex ante delle esigenze e denota un elevato rischio di spreco degli importi investiti. E ciò vale anche per i cinque progetti già esaminati nel 2010 oggetto di una nuova valutazione, per cui si è giudicato che 292 milioni di euro di investimento sono stati spesi in modo inefficace.
Un esempio di infrastruttura portuale vuota o fortemente sottoutilizzata lo è il Terminal Contenitori del porto di Taranto che è entrato in funzione nel 2002 e che attualmente è inutilizzato. Nel porto di Taranto, durante il periodo di programmazione 2000-2006 sono stati investiti 38 milioni di euro di finanziamenti Ue in un terminal di trasbordo e nei collegamenti con l’entroterra.
Per i progetti finanziati dall’Ue esaminati dagli auditor della Corte vi sono stati sforamenti dei costi per 139 milioni di euro. Inoltre, dall’analisi condotta per la prima volta sui 30 progetti già ultimati è emerso che 11 progetti sono finiti nei tempi previsti, ma non gli altri 19 . Per questi, il ritardo medio è stato di quasi 13 mesi con un range da 3 mesi (fornitura di attrezzature per un terminal Ro/Ro nel porto di Vigo, Spagna) a 33 mesi (JadeWeserPort a Wilhelmshaven, Germania). Dodici di questi 19 progetti hanno fatto registrare ritardi superiori al 20 % della loro durata prevista. Per il porto di Santa Cruz de Tenerife (Spagna), i ritardi sono giunti fino al 136 % della durata pianificata inizialmente.
Per l‘Italia le procedure amministrative hanno ritardato di molto l’attuazione dei progetti. Sei di 7 progetti incompleti hanno registrato ritardi a partire da 13 mesi per i lavori di dragaggio ad almeno 36 mesi per i collegamenti nell’ambito del porto di Salerno. In Italia, 5 dei 6 progetti esaminati avevano subito ritardi, principalmente a causa di problemi nel rilascio di autorizzazioni e permessi, il che evidenzia difficoltà di coordinamento tra i diversi enti coinvolti. Ad esempio, per il porto di Taranto, una proposta di piano generale dello scalo presentata nel 2006, che coinvolgeva il Comitato portuale, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale, la Regione interessata e il Comune, non era ancora stata approvata al momento della visita di audit (fine 2015).
Dal punto di vista dei collegamenti con l’entroterra come i collegamenti stradali e ferroviari dall’audit risulta che sono inadeguati o assenti: necessiteranno di ulteriori finanziamenti pubblici per assicurare il corretto sfruttamento degli investimenti iniziali nei porti.
Inoltre la Corte sottolinea che né il coordinamento all’interno della Commissione né le procedure operanti tra la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) e la Commissione per valutare i prestiti proposti dalla Bei per le infrastrutture portuali hanno funzionato adeguatamente, in quanto la Bei non condivide con la Commissione tutte le informazioni pertinenti. Inoltre, per alcune proposte di prestito, alcuni problemi critici sono stati evidenziati internamente, nell’ambito della Commissione, ma non sono stati segnalati alla Bei sotto forma di parere negativo della Commissione.
Per quanto riguarda gli aiuti di Stato e le procedure doganali, la Commissione non ha intrapreso le azioni necessarie ad assicurare condizioni di parità concorrenziale tra i porti. Il controllo della Commissione sugli aiuti di Stato avrebbe potuto essere più fattivo ed efficace, verificando a posteriori se le condizioni alle quali erano state assunte le decisioni precedenti (ad esempio, per le concessioni) fossero rimaste immutate, oppure rifiutando il sostegno a sovrastrutture destinate a utenti specifici.