Perché il decreto Salvini sulle città 30 è inapplicabile e contrasta con le norme sovraordinate
Le osservazioni di Edoardo Galatola (Fiab) che smontano il decreto proposto dal ministro
[2 Febbraio 2024]
ll 24 gennaio 2024 il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha reso pubblico il testo della propria “Direttiva adottata ai sensi dell’articolo 142, comma 2, del codice della strada di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992 sulla disciplina dei limiti di velocità nell’ambito urbano”. Si tratta di un testo non ancora in vigore, che sarà oggetto di un confronto fra il Ministro e l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani.
Inapplicabilità del Decreto
Va premesso che il decreto non trova applicazione alle città che hanno adottato la filosofia delle Città 30 come Bologna e le numerose altre che l’hanno preceduta e che seguiranno, dato che in nessuna di queste viene mai adottato il limite generalizzato a 30 km/h, ma sempre viene bilanciato tra strade alle quali si applica e strade il cui limite resta 50 km/h. Il Ministro non considera che dal 1995 vengono legittimamente realizzate in Italia le Zone 30, aree delle città a 30 km/h inserite in un reticolo di strade a 50 km/h.
Contrasto del Decreto con le norme sovraordinate
Ciò nonostante il decreto pecca di totale irragionevolezza e contrasta con il Codice della Strada, con il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale e con le stesse Direttive Comunitarie che ne costituiscono il fondamento.
Il provvedimento, infatti, che mette sullo stesso piano la sicurezza delle persone e la velocità di spostamento contrasta con l’articolo 1 del Codice stesso che indica al comma 1 la sua finalità primaria: “Sicurezza, tutela della salute delle persone, tutela dell’ambiente nella circolazione stradale, rientrano tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato”. Ciò è ribadito al comma 2: “Le norme e i provvedimenti attuativi si ispirano ai principi della sicurezza stradale e della mobilità sostenibile, perseguendo gli obiettivi: di ridurre i costi economici, sociali ed ambientali derivanti dal traffico veicolare; migliorare il livello di qualità della vita dei cittadini anche attraverso una razionale utilizzazione del territorio; migliorare la fluidità della circolazione; promuovere l’uso della bicicletta” che evidenzia le priorità che vanno perseguite. Anche la “fluidità della circolazione” non implica esista una velocità minima perché questa venga raggiunta. Infine al Comma 3 l’articolo 1 ricorda che: “Al fine di ridurre il numero e gli effetti degli incidenti stradali in relazione agli obiettivi ed agli indirizzi della Commissione Europea, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti definisce il Piano nazionale per la sicurezza stradale”.
Infatti il Piano Nazionale per la Sicurezza stradale 2030 vigente e approvato dal CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) su proposta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che, quindi non può essere sconfessato recita: “(…) si possono sintetizzare i seguenti principi cardine di questo approccio: dove ci possono essere impatti che coinvolgono veicoli e pedoni, la velocità dovrebbe essere limitata a 30 km/h” (pag. 22); “In ambito urbano, in particolare, si propone, a valle di una revisione della gerarchizzazione delle strade, una chiara individuazione della viabilità a 50 km/h e delle zone a 30 km/h” (pag. 79).
D’altronde il PNSS si conforma alle risoluzioni comunitarie. Non per niente la “Risoluzione del Parlamento europeo del 6 ottobre 2021 sul quadro strategico dell’UE per la sicurezza stradale 2021-2030 – Raccomandazioni sulle prossime tappe verso l’obiettivo “zero vittime” affronta il problema partendo dalle seguenti considerazioni che si riportano per completezza in quanto non sembra siano conosciute.
A. considerando che ogni anno circa 22 700 persone perdono ancora la vita sulle strade dell’UE e circa 120 000 rimangono gravemente ferite; che negli ultimi 10 anni oltre 11 800 bambini e ragazzi di età inferiore ai 17 anni sono stati uccisi in incidenti stradali nell’UE; che negli ultimi anni i progressi compiuti per ridurre il tasso di mortalità stradale si sono arrestati e, di conseguenza, l’obiettivo di dimezzare il numero delle vittime della strada tra il 2010 e il 2020 non è stato raggiunto; che le cifre di cui sopra rappresentano un prezzo umano e sociale inaccettabile per i cittadini dell’UE e che i costi esterni degli incidenti stradali nell’UE rappresentano circa il 2 % del suo PIL annuo;
B. considerando che l’UE si trova ad affrontare nuove tendenze e sfide nell’automazione che potrebbero avere un impatto enorme sulla sicurezza stradale; che è necessario far fronte al crescente fenomeno delle distrazioni dovute a dispositivi mobili; che, nel prossimo futuro, la presenza simultanea di veicoli con una vasta gamma di funzionalità automatizzate/connesse e di veicoli tradizionali in condizioni di traffico misto comporterà un nuovo rischio, soprattutto per gli utenti della strada vulnerabili come motociclisti, ciclisti e pedoni;
C. considerando che i progressi tecnologici, la connettività, l’automazione e l’economia collaborativa offrono nuove opportunità per la sicurezza stradale e per affrontare la congestione, in particolare nelle aree urbane; che lo sviluppo delle sinergie tra le misure di sicurezza e le misure per la sostenibilità e il proseguimento del trasferimento modale verso modalità di trasporto pubblico e la mobilità attiva potrebbero portare a una riduzione delle emissioni di CO2, migliorare la qualità dell’aria e contribuire a sviluppare stili di vita più attivi e sani;
D, considerando che i passeggeri di automobili che hanno ottenuto 5 stelle nel test Euro NCAP hanno un rischio inferiore del 68 % di subire lesioni mortali e un rischio inferiore del 23 % di subire lesioni gravi rispetto ai passeggeri di automobili a 2 stelle;
E. considerando che la percentuale di vittime tra gli utenti vulnerabili della strada è in aumento, dal momento che gli automobilisti sono stati i principali beneficiari del miglioramento della sicurezza dei veicoli e di altre misure di sicurezza stradale; che il peso, la potenza e la velocità massima delle autovetture nuove vendute nell’UE stanno aumentando, il che comporta rischi maggiori per la sicurezza stradale; che la sicurezza dei motociclisti, dei ciclisti e dei pedoni deve essere affrontata con urgenza;
F. considerando che ai motoveicoli a due ruote è imputabile il 17 % del totale delle vittime della strada, pur rappresentando soltanto il 2 % del totale di chilometri percorsi; che esistono grandi disparità tra i paesi; che l’UE dovrebbe attribuire priorità a ulteriori azioni per rafforzare la sicurezza di tali veicoli nel prossimo decennio;
G. considerando che, secondo uno studio della Commissione, soltanto l’8% dei decessi avviene sulle autostrade, il 37 % nelle zone urbane e il 54 % sulle strade extraurbane; che i nuovi investimenti e la corretta manutenzione delle infrastrutture esistenti per tutto il loro ciclo di vita sono fondamentali per la sicurezza stradale;
H. considerando che non tutte le vittime di incidenti sono denunciate, il che distorce le statistiche disponibili; che è necessario sviluppare metodi di prova efficaci per determinare il numero effettivo delle vittime di incidenti stradali;
i. considerando che garantire e far rispettare il comportamento sicuro degli utenti della strada, ad esempio viaggiare alla velocità giusta, utilizzare dispositivi di protezione come cinture di sicurezza e caschi, non guidare sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti e guidare, andare in moto o bicicletta e camminare senza distrazioni, è fondamentale per prevenire e ridurre gli incidenti stradali mortali;
J. considerando che nella mobilità e nella sicurezza stradale vi sono disparità di genere, di età e di natura sociale;
K. considerando che il conseguimento dei nuovi obiettivi dell’UE in materia di sicurezza stradale richiede sforzi più intensi e cooperativi per elaborare forti politiche europee di sicurezza stradale con le parti interessate, sostegno alla ricerca e all’innovazione, al fine di predisporre soluzioni politiche basate su dati solidi e su analisi di impatto nonché su un maggior numero di misure esecutive più mirate a livello nazionale e una cooperazione efficace in materia di applicazione transfrontaliera delle sanzioni;
L. considerando che tra il 40 e il 60 % di tutti gli incidenti mortali legati al lavoro sono incidenti stradali che si verificano durante l’orario di lavoro o negli spostamenti casa-lavoro; che la stanchezza dei conducenti è un fenomeno comune sulle strade dell’UE;
M. considerando che l’attuazione dei piani nazionali per la sicurezza stradale e del nuovo quadro strategico dell’UE per la sicurezza stradale richiedono risorse finanziarie stabili e sufficienti sia da parte degli Stati membri che del bilancio dell’UE;
Tutto ciò considerato, relativamente alla velocità in ambito urbano delibera: 37. “l’eccesso di velocità è un fattore chiave in circa il 30 % degli incidenti stradali mortali e un fattore aggravante nella maggior parte degli incidenti; invita la Commissione a elaborare una raccomandazione per applicare limiti di velocità sicuri, in linea con l’approccio del “sistema sicuro” per tutti i tipi di strada, quali velocità massime di 30 km/ora, come regola generale, nelle zone residenziali e nelle zone con un numero elevato di ciclisti e di pedoni, con la possibilità di applicare limiti più elevati nelle principali arterie stradali con un’adeguata protezione degli utenti della strada vulnerabili; invita gli Stati membri a dare priorità agli investimenti nel controllo della velocità e in una comunicazione di qualità sulla centralità della velocità e della sua gestione; invita gli Stati membri ad applicare
sanzioni dissuasive della velocità, compresi sistemi di penalità a punti, e a valutare la possibilità di prevedere corsi di sensibilizzazione sulla velocità per riabilitare i recidivi”.
Evidenza della necessità di evoluzione del concetto di limite
Nelle città si concentrano il 73% degli incidenti e il 44% delle vittime (contro il 32% in Europa). È quindi evidente, come sottolineato dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 6 ottobre 2021, della peculiarità dell’ambito urbano. Il progresso tecnologico ha determinato un quadro profondamente diverso da quello conosciuto dal legislatore quando è stato scritto l’art. 142 comma 1. Infatti oggi in ambito urbano l’80% delle vittime è dato dall’utenza vulnerabile (pedoni, ciclisti e motociclisti). Per questi la mortalità in caso di incidente passa da oltre il 50% per un investimento a 50 km/h a meno del 10% a 30 km/h. A 70 km/h la morte dell’investito diventa una certezza.
L’introduzione delle città 30 dimezza (Studio a Londra 1986-2006) il numero dei morti stradali. In Italia ciò equivale a risparmiare 5 miliardi di euro annui di danno sociale Ne consegue che sostenere che “con la previsione del comma 1 dell’articolo 142 il legislatore ha già fatto una valutazione preventiva in ordine alla circolazione in sicurezza nell’ambito urbano, tenuto conto della vocazione costruttiva delle strade urbane e delle relative condizioni di circolazione, fissando, in via presuntiva, il limite di velocità a 50 km/h, con la precisazione che tale limite può essere aumentato fino a 70 Km/h” implica una inamovibilità del suddetto limite che cozza con l’evoluzione della distribuzione dell’incidentalità urbana e va contro la pressante richiesta comunitaria di dimezzare i morti traguardando “zero vittime”.
Anche la disposizione di cui all’articolo 141, comma 6, che prevede che “Il conducente non deve circolare a velocità talmente ridotta da costituire intralcio o pericolo per il normale flusso della circolazione” sembra essere fuori luogo, perché seguendo tale principio, essendo la velocità media di percorrenza dei centri urbani ben al di sotto dei 30 km/h (variando dai 17 km/h di Milano ai 25 di Palermo), implicherebbe imporre a chi si sposta in auto il totale divieto di utilizzo del mezzo motorizzato privato, costituendo intralcio per la circolazione.
Dovrebbe essere noto a chi ritiene che “l’imposizione generalizzata di limiti di velocità eccessivamente ridotti potrebbe causare intralcio alla circolazione e, conseguentemente, risultare pregiudizievole sotto il profilo ambientale, nonché dell’ordinata regolazione del traffico, creando ingorghi e code stradali” come funzionano le safety car in autostrada: riducendo la velocità massima si ottiene una velocità media più alta a parità di flusso, perché l’effetto elastico è la maggiore causa di ingorghi.
Infine affermare che l’imposizione di limiti di velocità ridotti potrebbe causare intralcio alla circolazione cozza con le evidenze sperimentali riscontrate in tutte le città che hanno applicato un panel bilanciato di strade a 50 e 30 km/h come Bologna, ma anche Bruxelles, Parigi e Barcellona: su un tragitto di 5 km, si registrano incrementi di tempo di percorrenza tra i 10 secondi e i 2 minuti (differenza tra orario di punta e situazione di traffico scorrevole). L’introduzione della città 30 può comportare la perdita di un minuto in un tragitto urbano. Due al più tra andata e ritorno nell’arco di una giornata. Quanto tempo si dedica alla ricerca di un parcheggio? Un minuto del proprio tempo non vale un ferito o un morto in meno? Senza considerare che il tempo necessario per la sicurezza sulle strade può e deve essere recuperato da altre attività quotidiane molto meno importanti.
L’assunto del decreto è proprio questo: un minuto perso non vale un morto in meno. È come se si affermasse che la sicurezza del lavoro non è una priorità, perché non si deve inficiare la produttività.
Nessun giudice assolverebbe chi applica una filosofia analoga. E i morti sul lavoro sono solo un terzo dei tremila morti annui sulla strada.
Il decreto non è solo irragionevole, probabilmente è anche penalmente perseguibile.
di Edoardo Galatola
responsabile sicurezza FIAB (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta)