Ciafani: «Siamo favorevoli, ma devono essere equilibrate da un aumento dei controlli»
Se neanche la pandemia frena l’ecomafia, è il momento di provare con le semplificazioni
Il nuovo rapporto di Legambiente documenta reati ambientali in costante crescita, nonostante le sempre più severe norme a contrasto introdotte negli ultimi anni
[16 Novembre 2021]
Per l’ecomafia non c’è lockdown che tenga, secondo il rapporto appena aggiornato da Legambiente e pubblicato da Edizioni Ambiente.
Nonostante un calo del 17% nei controlli (passati da 1.694.093 del 2019 a 1.415.907 del 2020), nell’anno della pandemia il Cigno verde documenta 34.867 reati ambientali (+0,6%), 33.620 persone denunciate (+12%) e 329 arresti (+14,2%). Nella classifica regionale, Campania, Sicilia, Puglia sono le regioni più colpite da illeciti ambientali, con a seguire il Lazio che supera così la Calabria, mentre la Lombardia resta la regione con il maggior numeri di arresti.
A confermare la pressione sostanzialmente inalterata dell’eco-criminalità nel nostro paese è anche l’applicazione dei delitti contro l’ambiente, introdotti nel Codice penale dalla legge 68 del 2015: 883 i procedimenti aperti (in leggera flessione rispetto al 2019, quando erano stati 894), con 2.314 soggetti denunciati e 824 arresti.
«Il lavoro di repressione ha avuto un’impennata grazie ai delitti contro l’ambiente, che siamo riusciti a far inserire nel Codice penale nel 2015, dopo 21 anni di lavoro incessante – commenta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – Ora è fondamentale un deciso cambio di passo che porti a completare il sistema normativo inserendo i delitti ambientali e di incendio boschivo tra i reati per cui è possibile, vista la loro particolare gravità e complessità, prorogare i termini di improcedibilità previsti dalla riforma della giustizia, approvata dal Parlamento. Va aggiornato il Codice penale inserendo tra i delitti anche le agromafie, il traffico di opere d’arte e di reperti archeologici e il racket degli animali».
Come più volte sottolineato su queste pagine, e come dimostra empiricamente l’evoluzione dei dati sull’ecomafia italiana nel corso degli anni, limitarsi ad incrementare il corpus normativo contro i delitti ambientali, affilando la sola arma della repressione, non sembra portare i risultati sperati; al massimo alimenta un rancoroso giustizialismo nel grande pubblico, che ad esempio finisce per vedere un potenziale eco-mafioso dietro ad ogni gestore di rifiuti, dubitando poi dell’intera infrastruttura.
Non c’è da stupirsi, dato che neanche la pena di morte ha mai rappresentato un efficiente strumento di deterrenza contro qualsivoglia reato. Sarebbe assai più utile la certezza della pena, logica conseguenza di una certezza di diritti e doveri che il nostro corpus normativo incoerente e contraddittorio – soprattutto quando si parla d’ambiente – non sa però offrire. Con ricadute doppiamente nefaste: da un lato la nebulosità legislativa favorisce la malavita, dall’altro scoraggia chi vorrebbe operare nel pieno rispetto della legge ma non trova riferimenti adeguati per farlo.
Uno scenario scoraggiante, dove vale la pena tentare la carta delle semplificazioni. Non a spot, ma tramite una revisione organica e coerente delle leggi ambientali ad oggi in vigore, prima di introdurne di nuove.
«Siamo favorevoli alle semplificazioni, ma devono essere equilibrate da un aumento dei controlli, anche preventivi, in campo ambientale – dichiara nel merito Ciafani – Se allarghiamo le maglie lasciamo spazio a ecomafiosi e inquinatori. È fondamentale alzare il livello qualitativo dei controlli pubblici ambientali in tutta Italia, a partire dal Centro-Sud. Servono nuove risorse finalizzate all’aumento del personale per le valutazioni e le ispezioni e all’acquisto della strumentazione innovativa per effettuare i monitoraggi. Si deve procedere speditamente all’approvazione dei decreti attuativi della legge 132 del 2016, che ha istituito il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente».