Coordinamento Free: «Manca una visione del futuro, sembra aver prevalso un approccio ragionieristico»
Acqua, rifiuti e rinnovabili: qual è la strategia dietro le risorse del Pnrr?
Ref ricerche: «Occorre delineare una visione strategica ad ampio raggio che non appare emergere da quanto fatto sin qui, in particolare nel settore dei rifiuti»
[13 Gennaio 2021]
Solo per raggiungere gli obiettivi climatici fissati al 2030 (-55% rispetto al 1990), l’Ue dovrà investire 350 miliardi di euro in più rispetto al periodo 2011-2020: si tratta di una straordinaria occasione di sviluppo socio-economico dove anche l’Italia è chiamata naturalmente a fare la propria parte, e il Pnrr appena approvato dal Governo rappresenta un punto centrale del puzzle: al suo interno ci sono 68,9 miliardi di euro per portare avanti la “rivoluzione verde”. Si tratta di un passo avanti, ma la mancanza di una chiara strategia (industriale e non solo) alle spalle rischia di frenare la messa a terra dei pur incrementabili investimenti previsti.
«Il Recovery fund è il più grande programma di infrastrutturazione europeo degli ultimi decenni. L’acqua e i rifiuti devono essere al centro di questo progetto, pienamente incardinati nella transizione verde», come osservano dal Ref ricerche, eppure nell’attuale Piano nazionale di ripresa e resilienza le lacune non mancano.
«Entrando nello specifico, in materia di economia circolare e di gestione dei rifiuti gli investimenti previsti interessano principalmente il riciclo e la fase della raccolta, oltre al sostegno a progetti di decarbonizzazione. A livello di riforme, rileva la Strategia nazionale per l’economia circolare, che dovrebbe definire una normativa ad hoc per la transizione ecologica e l’attuazione del Piano d’azione europeo per l’economia circolare». Paradossalmente è dunque arrivata prima l’indicazione delle risorse rispetto alla Strategia per sapere come e per cosa impiegarli, ma anche sul fronte delle risorse economiche stanziate le lacune non mancano. Come sintetizza Alfredo De Girolamo, presidente Cispel Toscana, le «previsioni di spesa non sembrano cogliere i punti centrali dei ritardi italiani: per gli impianti di gestione dei rifiuti si stanziano 1,5 miliardi, per nuovi impianti e adeguamento di quelli esistenti specie nelle zone critiche del centro-sud. Altri 2,2 miliardi andranno a “progetti a bando” per l’economia circolare e la sua industria (non più pare ai gruppi della chimica per le bioraffinerie). Tutti gli analisti di settore stimano il fabbisogno di investimenti in questo settore fra i 10 e i 15 miliardi, la proposta di Pnrr è quindi una goccia nel mare, non sembra uno strumento di soluzione strutturale dei ritardi».
Per quanto concerne, invece, la tutela del territorio e della risorsa idrica, come ricapitola il Ref ricerche il Pnrr «prospetta investimenti sulle infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico, sulle reti di distribuzione per ridurre le perdite e su fognatura e depurazione per superare le procedure di infrazione Ue. Oltre ad un massiccio intervento per ridurre il rischio idrogeologico». Anche su questo fronte in realtà sarebbe stato lecito attendersi investimenti maggiori: le nuove risorse individuate dal Pnrr ammontano a 250 milioni di euro per “Interventi sul dissesto idrogeologico”, che si sommano a 3,36 miliardi di risorse già esistenti e richiamate nel Pnrr. Come ricapitola ancora una volta De Girolamo, complessivamente «per acquedotto e depurazione ci si limita a uno stanziamento di 3,86 miliardi, per infrastrutture primarie di approvvigionamento, reti di distribuzione, fognature e depurazione. Anche in questo caso una cifra insufficiente, considerato che Arera aveva indicato un fabbisogno minimo di spesa di almeno 10 miliardi». Ma sul fronte della strategia va un po’ meglio rispetto alla partita sulla gestione rifiuti.
«Circa le riforme – continuano dal Ref ricerche – si insiste sulla necessità di semplificare il quadro normativo e rafforzare la governance del servizio idrico integrato, mirando anche alla piena attuazione degli affidamenti. Affinché il Pnrr possa essere per davvero lo strumento per rilanciare compiutamente il Paese e immaginando che il percorso realizzativo sarà tutt’altro che agevole, è molto auspicabile un coinvolgimento di Arera nel ruolo di agevolatore nell’attuazione del Piano per i settori regolati».
Complessivamente però, sul lato delle riforme il Pnrr si mostra ancora non all’altezza: come concludono dal Ref ricerche «prima di tutto occorre delineare una visione strategica ad ampio raggio che non appare emergere da quanto fatto sin qui, in particolare nel settore dei rifiuti. È necessaria, infatti, una programmazione, basata sulle reali esigenze e sui fabbisogni effettivi, aprendo il campo anche ad iniziative innovative che fungano da stimolo al miglioramento».
Non va meglio sul fronte delle rinnovabili. «Manca una visione del futuro – commenta il presidente del Coordinamento Free, Livio de Santoli – sembra aver prevalso un approccio “ragionieristico”, dove oltretutto l’azione politica “meno incentivi, più infrastrutture” è stata tradotta in investimenti non organici e probabilmente neppure perfettamente inerenti con l’obiettivo definito in sede europea. Nell’ultima bozza l’economia circolare, vero motore del processo di decarbonizzazione, è relegata in uno spazio marginale e riguarda solo la realizzazione di impianti per la valorizzazione dei rifiuti».
Questo significa che mancano gli obiettivi che, a monte della generazione dei rifiuti, caratterizzano l’economia circolare: «Modifica dell’intera filiera di un prodotto, coinvolgendo a monte i fornitori di materie prime e di componenti, utilizzando in tutte le fasi produttive l’ecodesign, trasformazione decisiva per minimizzare la creazione di rifiuti».
«A parte la visione, manca l’innovazione e gli esempi sono molti nel testo – prosegue de Santoli – Si ignora il tema dell’innovazione nello sviluppo delle fonti rinnovabili sul nodo cruciale della loro localizzazione, che non può essere risolto solo proponendo, nella sezione “Energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile”, di realizzarli “in misura importante tramite lo sviluppo di parchi eolici e fotovoltaici offshore”. Le rinnovabili sono date per scontate, come se non avessero problemi, come se non ci fossero obiettivi importanti da raggiungere nei prossimi dieci anni assolutamente impensabili in mancanza di semplificazione autorizzativa e di sviluppo industriale».
Oltre a ciò, secondo il Coordinamento Free, sono state ignorate le trasformazioni dell’automotive che si verificheranno in questo decennio e che dovranno essere al centro della Giusta transizione:«Nemmeno una parola sulla politica industriale per assicurare la giusta transizione ai lavoratori e alle imprese dell’automotive e della raffinazione; politica che, data la problematicità e le dimensioni della riconversione, andrebbe avviata subito, per evitare effetti regressivi. Stupisce l’assenza di interventi sull’auto elettrica; sono ignorate le infrastrutture di ricarica se non a favore delle stazioni di servizio. Le ferrovie sono un pezzo della transizione è vero, ma è giusto dire che non c’è negli investimenti un’attenzione alle città, come ad esempio l’evidente squilibrio verso l’alta velocità a scapito di metro e tram, ma anche con inutili investimenti sulle autostrade, che si dovrebbero ripagare con le concessioni. Nulla sull’idrogeno per l’industria energivora, nulla sullo sviluppo delle hydrogen valleys. Manca l’interlocuzione con gli enti locali e con le associazioni».
Infine – come concludono dal Coordinamento – non un cenno sugli strumenti per l’efficienza energetica, nonostante la considerevole quota a questa dedicata, che però è stata ridotta notevolmente del 27%, se si pensa che nella prima bozza erano stati impegnati 40 miliardi di euro che ora sono diventati 29,3. Non un cenno agli ambiti della geotermia e del mini idroelettrico, nonostante il loro possibile sostegno alla filiera industriale nei settori tecnologici legati alle rinnovabili e alla tutela del territorio. E sparisce completamente il biometano nonostante sia una filiera che coinvolge il settore agricolo, quello industriale e quello energetico e che in assenza di politiche adeguate potrebbe diventare l’ennesima occasione mancata per l’Italia.
L. A.