Acque reflue, dopo i depuratori c’è di più: Italia ancora carente nella gestione dei fanghi
Laboratorio Ref ricerche: «Non soltanto la gestione dei fanghi delle acque reflue urbane è poco virtuosa per la tipologia gestionale prevalente adottata, ma anche è deficitaria»
[18 Ottobre 2021]
L’Italia ha un rapporto complicato con la depurazione delle acque reflue. Da un lato risulta cronicamente in ritardo nel rispetto delle normative europee di settore: nei giorni scorsi è arrivata la terza condanna Ue in fatto di mancata depurazione che ci è stata comminata dall’Ue, e un’altra procedura è in fase d’istruttoria. Per ora paghiamo multe “solo” per la prima condanna, che comunque pesano per 60 milioni di euro l’anno pagati dai contribuenti, qualcosa come 165mila euro al giorno.
È dunque evidente la necessità di costruire più depuratori, il che comporta però anche la generazione di ulteriori fanghi di depurazione – ovvero gli scarti che esitano dal processo di depurazione –, che di fatto già oggi non sappiamo come gestire in modo sostenibile.
Come documenta infatti il Laboratorio Ref ricerche nel suo ultimo report dedicato ai rifiuti speciali, in Italia la gestione dei fanghi prodotti dal trattamento dei reflui urbani è basata per lo più sullo smaltimento, che sfiora il 56% del totale gestito nel 2019, a fronte di poco più del 41% che viene recuperato. A chiusura del totale, circa il 3% dei fanghi gestiti sono stati posti in giacenza al 31 dicembre 2019.
«Indubbiamente si tratta di valori disallineati rispetto a quella che dovrebbe essere una gestione corrispondente ai principi dell’economia circolare, ove il problema dei fanghi in uscita dalle attività di depurazione dovrebbe, invece, costituire una risorsa pienamente recuperata e valorizzata, grazie alle forme più avanzate di trattamento», spiegano dal Ref.
E lo stato dell’arte in materia diventa ancora più negativo una volta che si ricostruisce il bilancio tra i fanghi prodotti e quelli gestiti: «Non soltanto la gestione dei fanghi delle acque reflue urbane è poco virtuosa per la tipologia gestionale prevalente adottata, ma anche è deficitaria, con un disavanzo di poco meno di 286mila tonnellate, quale differenza tra i 3,4 milioni di volumi prodotti e i 3,1 milioni gestiti».
Disavanzo che senza interventi dal punto di vista normativo e di dotazione impiantistica è destinato a peggiorare, anche solo per recuperare il terreno perso evidenziato dalle condanne Ue in materia di depurazione.
«Accanto all’implementazione dell’impiantistica necessaria alla chiusura del ciclo, anche in questa frazione, un valido supporto ad un deciso salto di qualità potrà venire da un’adeguata disciplina, a livello di framework normativo e regolatorio, dei criteri che sottendono allo spandimento in agricoltura, al recupero di fosforo e nutrienti e alla valorizzazione energetica dei fanghi», concludono dal Ref ricerche.