Agricoltori in protesta mentre in Italia cresce lo spreco di cibo, vale oltre 13 mld di euro l’anno

Segrè (Waste watcher): «Servono soprattutto politiche pubbliche per mitigare gli impatti dell’inflazione, con un focus sulla tutela dei ceti sociali più vulnerabili»

[5 Febbraio 2024]

Cade oggi la Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, dando l’occasione per incrociare i numerosi e dolorosi paradossi che caratterizzano un sistema alimentare sempre più insostenibile.

Mentre gli agricoltori continuano a marciare in sella sui propri trattori per protestare contro il Green deal, e dunque di fatto contro politiche pensate per rendere sostenibile nel tempo la produzione agroalimentare, lo spreco di cibo in Italia ha ripreso a crescere.

Secondo i dati messi in fila dal rapporto “Il caso Italia” dell’Osservatorio Waste watcher international, elaborati con la consueta direzione scientifica di Andrea Segrè – che all’Università di Bologna insegna sia Economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile, sia Economia e sviluppo del settore agroalimentare – lo spreco di cibo nel nostro Paese vale 13.155.161.999 euro l’anno.

Un dato vertiginoso, che include lo spreco a livello domestico (7,445 miliardi di euro), quello nella distribuzione (3,996 mld di euro), oltre al ben più contenuto spreco in campo e nell’industria.

Ciò significa che nel 2024 lo spreco alimentare costa circa 290 euro annui a famiglia, o 126 euro procapite, ma oltre allo spreco di denaro c’è quello di natura. Dai 75 gr buttati procapite nel 2023 si passa in questo inizio 2024 a quasi 81 gr di cibo gettato giornalmente nelle nostre case, pari a 566,3 grammi settimanali.

Tutto questo mentre l’effetto inflazione comporta scelte eloquenti e l’acquisizione di nuove abitudini alimentari. Un consumatore su due (49%) dichiara di potenziare l’acquisto del cibo online e 4 consumatori su 10 (39%) fanno la spesa cercando solo i prodotti alimentari in promozione.

Dal punto di vista socioeconomico, il ceto che si autodefinisce “popolare” (“mi sento povero e fatico ad arrivare alla fine del mese”) e che in Italia conta oltre 5,7 milioni di persone (oltre il 10% della popolazione, dati Istat) presenta un allarmante aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media italiana.

«Se in un primo momento – spiega Segrè – l’effetto inflazione ha portato a misurare con decisione gli sprechi, prolungata nel tempo ha costretto i cittadini all’adozione di nuove abitudini ‘low cost’ per fronteggiare la crisi. Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare. Se la salute nasce a tavola, dal cibo scadente deriva l’aggravio dei costi sociali e ambientali. In definitiva: da poveri mangiamo e stiamo peggio, e sprechiamo persino di più. E questo circolo vizioso si riverbera sull’ambiente».

Che fare? «Se vogliamo davvero fare la differenza – argomenta Segrè – l’azione deve essere sinergica: ciascuno nel suo quotidiano, ma servono anche e soprattutto politiche pubbliche mirate a mitigare gli impatti dell’inflazione sulla sicurezza alimentare, con un focus particolare sulla tutela dei ceti sociali più vulnerabili».