Banca mondiale: «Un forte e duraturo rallentamento economico colpirà duramente i Paesi in via di sviluppo»
La situazione non è rosea nemmeno per i Paesi ricchi. La crescita globale del 2023 rallenterà all'1,7%
[11 Gennaio 2023]
Secondo il rapporto “Global Economic Prospects” della Banca Mondiale, «La crescita globale sta rallentando bruscamente di fronte all’inflazione elevata, ai tassi di interesse più elevati, alla riduzione degli investimenti e alle interruzioni causate dall’invasione russa dell’Ucraina».
La Banca Mondiale avverte che «Date le fragili condizioni economiche, qualsiasi nuovo sviluppo negativo, come un’inflazione superiore alle attese, bruschi aumenti dei tassi di interesse per contenerla, una recrudescenza della pandemia di Covid-19 o l’escalation delle tensioni geopolitiche, potrebbe spingere l’economia globale in recessione. Questo segnerebbe la prima volta in più di 80 anni che si sono verificate due recessioni globali nello stesso decennio».
Dal Global Economic Prospects emerge che «L’economia globale dovrebbe crescere dell’1,7% nel 2023 e del 2,7% nel 2024. Il forte rallentamento della crescita dovrebbe essere diffuso, con previsioni nel 2023 riviste al ribasso per il 95% delle economie avanzate e quasi il 70% dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo. Nei prossimi due anni, si prevede che la crescita del reddito pro capite nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo raggiungerà una media del 2,8%, un intero punto percentuale inferiore alla media del periodo 2010-2019. Nell’Africa sub-sahariana, che rappresenta circa il 60% dei poveri estremi del mondo, si prevede che la crescita del reddito pro capite nel 2023-24 sarà in media solo dell’1,2%, un tasso che potrebbe far aumentare, non diminuire, i tassi di povertà».
Presentando il rapporto, il presidente del gruppo della Banca mondiale, David Malpass, ha sottolineati che «La crisi che sta affrontando lo sviluppo si sta intensificando mentre le prospettive di crescita globale si deteriorano. I Paesi emergenti e in via di sviluppo stanno affrontando un periodo pluriennale di lenta crescita guidata da pesanti oneri del debito e investimenti deboli mentre il capitale globale viene assorbito dalle economie avanzate che devono far fronte a livelli di debito pubblico estremamente elevati e tassi di interesse in aumento. La debolezza della crescita e degli investimenti delle imprese aggraverà le già devastanti inversioni di rotta in materia di istruzione, sanità, povertà e infrastrutture e le crescenti richieste del cambiamento climatico».
Ma sxe le prospettive sono tragiche per i Paesi Poveri non sono rosee nemmeno per quelli ricchi. Il rapporto prevede che nel 2023 la crescita nelle economie avanzate rallenterà dal 2,5% nel 2022 allo 0,5% e ricorda che «Negli ultimi due decenni, rallentamenti di questa portata hanno prefigurato una recessione globale. Negli Stati Uniti, la crescita dovrebbe scendere allo 0,5% nel 2023, 1,9 punti percentuali al di sotto delle previsioni precedenti e la performance più debole al di fuori delle recessioni ufficiali dal 1970. 1,9 punti percentuali. In Cina, la crescita è prevista al 4,3% nel 2023, 0,9 punti percentuali al di sotto delle previsioni precedenti. Escludendo la Cina, la crescita nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo dovrebbe rallentare dal 3,8% nel 2022 al 2,7% nel 2023, riflettendo una domanda esterna significativamente più debole, aggravata da inflazione elevata, deprezzamento della valuta, condizioni di finanziamento più rigide e altri venti contrari interni».
Ma le ricadute riguarderanno soprattuto i Paesi in via di sviluppo: «Entro la fine del 2024, i livelli del PIL nelle economie emergenti e in via di sviluppo saranno inferiori di circa il 6% rispetto ai livelli previsti prima della pandemia – mette in guardia la Banca Mondiale – Sebbene l’inflazione globale dovrebbe moderarsi, rimarrà al di sopra dei livelli pre-pandemia».
Il rapporto offre fornisce anche la prima valutazione completa delle prospettive a medio termine per la crescita degli investimenti nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo ed evidenzia che «.Nel periodo 2022-2024, è probabile che gli investimenti lordi in queste economie crescano in media di circa il 3,5%, meno della metà del tasso prevalente nei due decenni precedenti». Per questo il rapporto presenta una serie di opzioni per i responsabili politici per accelerare la crescita degli investimenti.
Per Ayhan Kose, direttore del Prospects Group della Banca mondiale, «Gli investimenti contenuti sono una seria preoccupazione perché sono associati a produttività e commercio deboli e smorzano le prospettive economiche complessive. Senza una crescita degli investimenti forte e sostenuta, è semplicemente impossibile compiere progressi significativi nel raggiungimento di obiettivi di sviluppo più ampi e legati al clima. Le politiche nazionali per stimolare la crescita degli investimenti devono essere adattate alle circostanze del Paese, ma iniziano sempre con la creazione di solidi quadri di politica fiscale e monetaria e con l’adozione di riforme globali nel clima degli investimenti».
Il rapporto fa anche luce sul dilemma di 37 piccoli Stati, Paesi con una popolazione di 1,5 milioni o meno, che i hanno subito una recessione da Covid-19 più acuta e una ripresa molto più debole rispetto ad altre economie, in parte a causa delle chiusure prolungate del turismo. Nel 2020, la produzione economica nei piccoli Stati è diminuita di oltre l’11%, bel 7 volte il calo di altre economie emergenti e in via di sviluppo. Il rapporto rileva che «I piccoli Stati spesso subiscono perdite legate a disastri che in media rappresentano circa il 5% del PIL all’anno. Questo crea gravi ostacoli allo sviluppo economico. I responsabili politici dei piccoli stati possono migliorare le prospettive di crescita a lungo termine rafforzando la resilienza ai cambiamenti climatici, promuovendo un’effettiva diversificazione economica e migliorando l’efficienza del governo».
Per questo, i l rapporto invita la comunità globale ad assistere i piccoli Stati «Mantenendo il flusso di assistenza ufficiale per sostenere l’adattamento ai cambiamenti climatici e aiutare a ripristinare la sostenibilità del debito».
Ma la sensazione che si ha leggendo il Global Economic Prospects è che questa crisi, che è una crisi strutturale del modello capitalista neoliberista globalizzato, rischia di avere come via di uscita il rinchiudersi egoistico dei Paesi ricchi e un aumento dello sfruttamento delle risorse altrui per “salvarsi”. Mentre in un mondo che si avvia verso i 10 miliardi di esseri umani, che non riesce ad affrontare la crisi climatica e dove la biodiversità è sempre più a rischio, dove le risorse scarseggiano e sono e saranno sempre più contese, nessuno si salva da solo. Il mondo dovrebbe invece finalmente uscire dal neoliberismo che ci ha condotto avidamente e ciecamente a questa crisi, per cercare nuove strade economiche e politiche, nuove condivisioni e collaborazioni, abbandonando ogni neocolonialismo economico e geopolitico, per vivere in pace e prosperità sull’unico pianeta che abbiamo. Ma questo cambio di paradigma spaventa le classi dirigenti – economiche e politiche – che ci governano e che sono figlie di un modello in crisi, ma che è il loro modello e che vorrebbero salvare. Nonostante tutto.