Una “bioraffineria” a Livorno c’è già, la Musim Mas che impiega olio di palma

Bioraffineria sì, gassificatore no? L’impianto Eni di Stagno in attesa di un piano industriale

I Comuni di Livorno e Collesalvetti guardano con favore alla riconversione, ma senza la produzione di metanolo da rifiuti

[7 Gennaio 2021]

Alle indiscrezioni in merito alla raffineria Eni di Stagno contenute nell’ultima bozza del Pnrr si è aggiunta la conferenza stampa congiunta tra i Comuni di Livorno e Collesalvetti: la somma è ancora molto lontana dal produrre un concreto piano industriale per l’area, dunque si continua a procedere a tentoni. Con la bioraffineria come ipotesi apprezzata dalle istituzioni, al contrario dell’impianto pensato per ricavare metanolo dalla gassificazione di Css e rifiuti plastici non riciclabili.

Un progetto, quest’ultimo, che secondo il sindaco di Livorno Luca Salvetti «è partito con il piede sbagliato spostando l’attenzione dalla necessità di una riconversione intelligente e complessiva della raffineria alla polemica su Livorno luogo dove scaricare e risolvere la problematica dei rifiuti della piana fiorentina (dopo l’eclissarsi del termovalorizzatore in progetto a Case Passerini, ndr)». Ad oggi, la posizione del Comune sembra trovare sponde in quella della Regione, dato che il sindaco ha proseguito illustrando i risultati dell’incontro avuto il 30 dicembre a Roma, insieme al Presidente delle Regione Toscana Eugenio Giani con i vertici di Eni: «Il nostro impegno, che ha visto affiancarsi quello della Regione Toscana con il presidente Giani, per un azzeramento delle mosse e contromosse del passato e un nuovo inizio di confronto capace realmente di tenere in considerazione tutte le richieste e necessità lavorative, occupazionali e ambientali».

Un modo criptico per allontanare l’ipotesi del gassificatore, sebbene naturalmente il problema alla base resti: già oggi si stima che almeno 8.760 tir carichi di spazzatura valichino ogni anno i confini regionali, con elevati costi ambientali (si pensi solo al relativo traffico e smog) oltre che per le aziende e per i cittadini, in termini di Tari più salate, e le 200mila tonnellate che Case Passerini prima e il gassificatore labronico poi avrebbero dovuto gestire da qualche parte dovranno pur andare. Non oltre confine, si spera. A maggior ragione adesso che la Regione è tornata a puntare sulla realizzazione di un unico Ato per la gestione rifiuti sul territorio toscano, le soluzioni per chiudere davvero il cerchio dell’economia circolare vanno cercate in casa propria, secondo logica di sostenibilità e prossimità.

«Oggi, in virtù delle nuove posizioni della Regione per ciò che concerne lo smaltimento dei rifiuti, riaffermiamo – aggiunge il sindaco di Collesalvetti, Adelio Antolini – la nostra posizione riguardo al progetto del gassificatore puntando, invece, sull’ammodernamento della raffineria stessa. Saremo dunque impegnati come istituzioni al fianco dei sindacati e dell’azienda per la salvaguardia dei posti di lavoro a lungo termine e per il miglioramento della qualità dell’ambiente».

L’obiettivo generale delle due Amministrazioni locali è quello di giungere a un consolidamento dell’azienda sul territorio, con certezze per i lavoratori diretti e dell’indotto e contemporaneamente ad un saldo estremamente positivo sul fronte della salvaguardia ambientale. Per arrivarci, guardano con favore all’altro progetto inserito nella bozza del Pnrr per la raffineria di Stagno: una riconversione in grado di portare l’impianto a produrre Hvo (hydrotreated vegetabil oil), come già accade nelle raffinerie Eni di Venezia e Gela.

«La conversione dell’impianto Eni a bioraffineria – argomenta l’assessora all’Ambiente labronica, Giovanna Cepparello – garantirebbe un notevole abbattimento dell’inquinamento del territorio. Abbiamo studiato l’impianto Eni di Marghera, già convertito a bio raffineria e risulta evidente la riduzione dell’ossido di azoto e di zolfo nell’aria, un migliore bilancio di CO2 e un naturale risparmio di risorse idriche. Il percorso è da costruire e noi vigileremo affinché il bilancio ambientale sia decisamente favorevole».

Perché anche su questo punto, ad oggi, le ipotesi in campo sono molte e i progetti industriali ancora invisibili. L’Hvo è un carburante che, addizionato al gasolio fossile in una quota pari a circa il 15%, va a comporre Enidiesel+; un carburante ottenuto tramite la tecnologia Ecofining a partire da oli vegetali, ma quali? I Comuni di Livorno e Collesalvetti parlano di «una soluzione capace di lasciare fuori il tema dei rifiuti e puntare su prodotti vegetali e animali per la produzione di biocarburante, riducendo fino a far scomparire l’utilizzo di olio di palma». “Riducendo” in quali tempi, e a partire da quali quantitativi?

Giova ricordare che secondo le stime riportate da Legambiente, le emissioni di CO2 dirette e indirette (incendi e prosciugamento delle torbiere) prodotte dalla combustione di un litro di olio di palma «sono mediamente triple rispetto a quelle prodotte da un litro di gasolio fossile».

Su pressione degli ambientalisti Eni si è impegnata nel maggio scorso (dopo aver importato nel 2019 circa 246 mila tonnellate di olio di palma) ad abbandonarlo entro il 2023. Ma Eni rappresenta “solo” un quarto delle importazioni dell’olio di palma bruciato in Italia: a coda ci sono altre “bioraffinerie” tra le quali Legambiente cita in prima fila la Musim Mas-Masol che, ironia del destino, opera da anni proprio a Livorno nell’indifferenza generale.