Importanti criticità anche sulla sostenibilità sociale messe in evidenza dall’ASviS

Cingolani, dal nuovo Pnrr «80 miliardi di euro in 5 anni in progetti verdi»

Grazie alle risorse del Recovery fund si punta a -60% emissioni al 2030, ma per ora siamo fermi a -23%

[11 Marzo 2021]

«Il piano di ripresa italiano allocherà 80 miliardi di euro in 5 anni in progetti verdi che riguardino una accelerazione della de-carbonizzazione, con riduzioni che potranno arrivare sicuramente al 55% puntando al 60% delle emissioni al 2030». Ad anticiparlo è direttamente il neo-ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani (nella foto), durante una telefonata all’Inviato speciale per il clima degli Usa – John Kerry – , attualmente in Europa al termine di un tour che lo ha portato a Londra, Bruxelles e Parigi per dare linfa al rientro degli Stati uniti all’interno dell’Accordo di Parigi dopo l’era Trump.

Ad oggi la proposta di Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) prevede di allocare 68,9 miliardi di euro alla missione “rivoluzione verde e transizione ecologica”, dei quali però solo una parte sarebbero dedicati a progetti d’investimento effettivamente nuovi. In ogni caso, si tratterebbe di un importo lontano dal 37% (ovvero circa 77 miliardi di euro) di investimenti sulla decarbonizzazione richiesti dall’Ue per poter usufruire delle risorse europee per la ripresa post-Covid.

Il nuovo target da 80 miliardi di euro indicato da Cingolani invece centrerebbe l’obiettivo, anche se per ora non è stato declinato in progetti concreti.

Anche il taglio delle emissioni al 2030 indicato dal ministro appare finalmente ambizioso, ma al momento si scontra con il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) approntato dallo scorso Governo, che punta a un magro -37% di emissioni climalteranti rispetto al 1990. Soprattuto, si scontra con la realtà: senza contare il crollo temporaneo nei gas serra che l’Italia ha emesso nel 2020, legato a doppio filo alla pandemia (-9,8% emissioni, -8,9% Pil), al 2019 il calo conquistato rispetto al 1990 si ferma per il nostro Paese al -23%.

Come se non bastasse, i progressi sono praticamente fermi al 20132014 e non se ne vedono neanche sul fronte delle energie rinnovabili. Le installazioni di nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili proseguono a una velocità da lumaca, o più nel dettaglio a un ritmo che è 1/6 di quello stimato come necessario a raggiungere i target previsti per il 2030. Tanto che il Coordinamento Free ha già documentato come, proseguendo così, per traguardare il già modesto Pniec dovremmo attendere oltre mezzo secolo di ritardo, ovvero il 2087. Neanche gli incentivi rimasti a sostegno del comparto stanno permettendo un cambio marcia, perché a frenare gli impianti non è la mancanza di risorse economiche ma di autorizzazioni, frenate ovunque da una burocrazia elefantiaca e dal moltiplicarsi di sindromi Nimby e Nimto.

Non a caso il ministro Cingolani, intervenendo all’evento online organizzato dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) sul “Piano nazionale di ripresa e resilienza, la legge di bilancio 2021 e lo sviluppo sostenibile” ha sottolineato che «serve una transizione ecologica ma anche una transizione burocratica: servono regole per operare in modo efficace ed efficiente. Se abbiamo idee fantastiche ma non gli strumenti che ci consentono di realizzarle, tutto può essere vano. Per avere un pianeta e delle persone in salute e una società giusta, serve un approccio coraggioso. E per questo occorre anche una transizione culturale, da affrontare in modo compartecipato, trovando un giusto equilibrio tra istanze diverse. La sostenibilità è proprio il compromesso tra istanze diverse».

Al proposito, oltre alla sostenibilità ambientale sarà indispensabile guardare anche a quella sociale ed economica, come messo in evidenza proprio dall’ASviS.

In particolare, dall’Alleanza hanno messo in evidenza alcune importanti criticità del Pnrr presentato dal Governo Conte, cui quello a guida Draghi dovrà mettere rimedio: la mancanza di un’indicazione più dettagliata sulle priorità delle riforme necessarie e di un richiamo sistematico alle raccomandazioni del Semestre europeo 2019 e 2020; l’assenza di un allineamento ai nuovi target climatici europei; il mancato approfondimento di obiettivi fondamentali come la giusta transizione, il piano Garanzia Giovani, l’Agenda europea delle competenze. Si sottolinea inoltre l’assenza di temi fondamentali come la perdita di biodiversità, l’adattamento ai cambiamenti climatici, la riduzione dell’inquinamento, benché il Piano, come previsto dal regolamento europeo, dovrebbe destinare almeno il 37% dei fondi alla transizione verde e per il 100% dei fondi si deve rispettare il principio di non nuocere in modo significativo all’ambiente. Manca inoltre una valutazione complessiva dei risultati attesi in termini di sostenibilità e impatto duraturo nel tempo delle scelte del Pnrr, di coesione sociale e riduzione delle disuguaglianze.

«Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 rappresentano un quadro di riferimento fondamentale affinché il Pnrr risulti sistemico e coerente, in linea con il nuovo corso delle politiche europee e, in particolare, del Next Generation Eu. È importante –  sottolinea il presidente dell’ASviS, Pierluigi Stefanini – che le azioni a breve termine siano motivate da obiettivi di lungo periodo, come chiede la Commissione europea. Chiediamo che all’integrazione del Pnrr partecipi la società civile, come richiesto dalle linee guida della Commissione. L’ASviS e le oltre 290 organizzazioni aderenti sono disponibili a contribuire al dibattito e sottolineano la necessità di adottare una visione integrata del futuro».