Clima, quanto ci costa (non) fare la transizione energetica

Trasformare radicalmente e in pochi anni il nostro sistema socioeconomico non sarà un pranzo di gala, ma è la migliore opzione in campo per raggiungere un maggiore livello di benessere e limitare i danni della crisi climatica in corso

[20 Luglio 2021]

Alla presentazione del pacchetto di riforme “Fit for 55”, avanzato dalla Commissione Ue per rispettare gli obiettivi sul clima al 2030, è seguito un dibattito – che si presume proseguirà ancora a lungo – in meriti alle conseguenze sociali ed economiche di questa transizione energetica. Che non sarà affatto a costo zero.

Secondo le stime diffuse dalla Banca centrale europea (Bce) serviranno infatti investimenti per almeno 330 miliardi di euro all’anno, a livello Ue, per traguardare gli obiettivi sul clima. Le ricadute a livello sociale e sul mondo del lavoro saranno altrettanto ampie, perché interi settori economici sono chiamati a realizzare la transizione energetica a un ritmo mai visto negli ultimi trent’anni.

Perché questo processo abbia successo è indispensabile dunque che la transizione ecologica sia anche giusta, altrimenti non sarà. Robusti investimenti in formazione e welfare sono necessari da subito per riqualificare e sostenere i lavoratori, con la consapevolezza che il saldo sarà positivo: la Commissione Ue stima infatti che al 2030 ci sarà 1 mln di posti di lavoro verdi aggiuntivi in Europa.

Gli sforzi messi in campo saranno dunque ripagati non solo sotto il profilo climatico, ma anche socioeconomico. Quali sarebbero invece i costi dell’inazione?

Ci risparmieremmo i 330 miliardi di euro all’anno, ad esempio, ma non è una casualità se in questo caso si parla di investimenti piuttosto che di costi. Investimenti utili a risparmiarci un tracollo economico, oltre che ambientale e dunque sociale.

Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e già ministro dell’Ambiente, al proposito si chiede già «quanto sta costando, economicamente e socialmente, la crisi climatica all’Italia? Dove l’aumento medio delle temperature  è  superiore a quello globale, con ondate di calore  sempre peggiori e  eventi atmosferici estremi sempre più numerosi e intensi. Nel 2019 in Italia ci sono stati 1.543 eventi atmosferici estremi, nel 2009  213,  nel 2018  abbiamo avuto 1024 “bombe d’acqua”, nel 2008 395».

A livello europeo, stima dei costi legati agli eventi estremi abbondano. Il progetto di ricerca Titan, recentemente concluso e realizzato dal programma europeo Espon, documenta ad esempio che negli ultimi vent’anni – più precisamente dal 1995 al 2017 – eventi estremi come alluvioni, tempeste, siccità e terremoti hanno generato danni per quasi 77 miliardi di euro, di cui 43,5 direttamente collegabili alle calamità e 33,4 derivanti dai legami economici con le aree colpite.

Allargando il quadro d’osservazione agli ultimi 40 anni – dal 1980 al 2019 –, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente si arriva a 446 milardi di euro di danni su base europea, con l’Italia che occupa il secondo posto in Europa dopo la Germania a causa di perdite economiche pari a 72,5 miliardi di euro (l’equivalente di 1.254 euro procapite)

Si tratta di costi destinati a salire se non interverremo prontamente contro la crisi climatica in corso, dato che la frequenza degli eventi estremi è direttamente collegata alla dinamica del riscaldamento globale che vede l’Italia tra i Paesi più esposti. Non a caso secondo le stime elaborate da Swiss Re per Oxfam, l’Italia rischia un impatto peggiore rispetto a tutti gli altri Paesi del G7, perdendo l’11,4% annuo del Pil entro il 2050: più di una pandemia l’anno, col Covid-19 che nel 2020 ha fatto arretrare il Pil italiano “solo” dell’8,9%.

L. A.