Oggi a Roma la prima giornata del Forum QualEnergia
Comuni rinnovabili, in Italia le energie pulite stanno rallentando
Legambiente: diminuendo al 2030 le emissioni del 55% si avrebbero invece benefici pari a 5,5 miliardi di euro all’anno, e la creazione di 2,7 milioni di posti di lavoro
[27 Novembre 2018]
Le rinnovabili italiane sono state protagoniste di un grandioso progresso: negli ultimi tredici anni, quelli documentati da Legambiente attraverso il rapporto Comuni rinnovabili – la cui ultima edizione è stata presentata oggi a Roma durante la prima giornata di QualEnergia, il Forum organizzato a Roma dall’associazione ambientalista insieme a La Nuova Ecologia e Kyoto Club – il nostro Stivale ha passato dal poter vantare soli 356 municipi dotati di almeno un impianto all’en plein. Oggi solo 35 Comuni italiani possono dirsi 100% rinnovabili, ma in tutti e 7.978 quelli presenti lungo lo Stivale sono stati installati uno o più impianti alimentati da fonti rinnovabili, per la produzione di elettricità e/o calore: ben 7.862 i Comuni in cui sono presenti impianti fotovoltaici, 6.822 quelli del solare termico, 1.489 quelli del mini idroelettrico, 1.025 quelli dell’eolico, 4.130 quelli delle bioenergie e 595 quelli della geotermia. Una cavalcata impressionante, che avanza però oggi al piccolo trotto, proprio quando dovrebbe invece accelerare.
Come sottolineano da Legambiente, infatti, negli ultimi cinque anni la crescita delle installazioni è fortemente rallentata (la media per il solare è stata di 407 MW all’anno e di 301 MW per l’eolico, ad esempio), scendendo a cifre del tutto inadeguate a raggiungere perfino i già limitati target fissati dalla Strategia energetica nazionale approvata esattamente un anno fa, per non parlare della direttiva Red II sulla quale l’Europa ha trovato accordo a giugno. Anche l’ultimo anno non sfugge al problema: nel 2017 è calato anche il contributo della produzione da rinnovabili rispetto ai consumi e sono tornate ad aumentare le emissioni di CO2, confermando l’allarme lanciato dall’Enea in merito a una sostanziale stop alla decarbonizzazione del Paese, che prosegue ormai dal 2014. Occorre quindi cambiare registro e i rilanciare gli investimenti per raggiungere non più solo gli obiettivi stabiliti a livello europeo, in coerenza con l’Accordo di Parigi sul Clima, ma livelli più ambiziosi e in grado di scongiurare le drammatiche conseguenze sociali e economiche di un aumento della temperatura oltre i 2 gradi.
«Il nuovo Piano energia e clima, che l’Italia dovrà presentare in una prima versione entro dicembre 2018, dovrà fissare la traiettoria degli obiettivi e delle politiche al 2030, inquadrate – spiega il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini – dentro una strategia di lungo termine al 2050 di decarbonizzazione dell’economia, come previsto dalle nuove direttive europee. Domenica si apre la Conferenza sul Clima a Katowice, in Polonia, e ci aspettiamo che il nostro Governo si batta per mettere in campo un’azione climatica ambiziosa, coerente con l’obiettivo di fermare l’aumento delle emissioni entro 1.5°C, in modo da ridurre in maniera significativa i danni climatici non solo per i paesi più poveri e vulnerabili, ma anche per l’Europa. Secondo Eurostat, infatti, nel solo 2015 le perdite economiche sono state di ben 11.6 miliardi di euro. Mentre un recente studio dell’Agenzia europea dell’ambiente stima costi sino a 120 miliardi l’anno con un aumento della temperatura globale di 2°C e addirittura 200 miliardi se si raggiungessero 3°C».
Al contrario, come dimostra da ultimo la ricerca realizzata da Elemens per Legambiente presentata oggi, diminuendo al 2030 le emissioni del 55%, si avrebbero per l’Italia benefici pari a 5,5 miliardi di euro all’anno (considerando il consumo evitato di combustibili e il minor gettito fiscale) con la creazione di 2,7 milioni di posti di lavoro, senza contare i miglioramenti sotto il profilo della salute dovuti a una minor combustione di energie fossili. «L’accelerarsi di fenomeni climatici estremi fa capire che siamo ormai decisamente entrati nella crisi climatica – conferma il direttore scientifico del Kyoto Club, Gianni Silvestrini – Questo fatto impone di alzare notevolmente l’attenzione della politica su questa emergenza/quotidianità. Vanno dunque avviate strategie efficaci sia sul fronte della difesa che sull’adozione di politiche di riduzione drastica dei gas climalteranti. Insomma, quella del clima deve diventare una priorità per il Governo».
Il problema è che la maggioranza gialloverde, se a parole punta molto sulla transizione energetica, nei fatti si muove in direzione opposta. Mentre a giugno il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio affermava che le rinnovabili sono il «motore per il futuro della nostra economia», oggi il suo dicastero minaccia di rivedere in peggio il quadro degli incentivi finora erogati al settore, cancellando del tutto quelli diretti alla geotermia. Un’industria nata proprio in Italia esattamente due secoli fa.