Il nuovo rapporto Science for disaster risk management 2020
Crisi climatica e disastri naturali, l’Italia sta rischiando problemi ben più grandi di Covid-19
«Quello che abbiamo vissuto durante il lockdown e che stiamo ancora sperimentando è solo una pallida anticipazione». Cmcc: ecco cosa rischia il nostro Paese
[29 Marzo 2021]
Oltre 300 esperti nella gestione del rischio di disastri, appartenenti a settori e discipline diverse, hanno collaborato alla pubblicazione del nuovo rapporto europeo Science for disaster risk management 2020: acting today, protecting tomorrow, incentrato sulle conseguenze dei disastri naturali su popolazione, settori economici, infrastrutture, ecosistemi e patrimonio culturale. Le notizie, se non saremo in grado di imboccare la strada per una rapida decarbonizzazione dell’economia, non sono incoraggianti.
Già oggi i pericoli naturali – spiegano dal Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) – rappresentano una grave minaccia per lo sviluppo sostenibile, la stabilità economica e la crescita, la coesione territoriale e la resilienza delle comunità. Sulla base delle stime dell’Agenzia europea dell’ambiente, dal 1980 al 2017 i danni economici dovuti ai soli rischi naturali in Europa sono stati pari a 557 miliardi di euro, la maggior parte legati a eventi climatici e meteorologici estremi, la cui frequenza e/o intensità si prevede sia destinata ad aumentare a causa del cambiamento climatico indotto dall’uomo.
«Nel corso degli ultimi decenni la valutazione del rischio di disastri è notevolmente migliorata – osserva Jaroslav Mysiak, ricercatore Cmcc che ha contributo al rapporto come coordinating leading author – Grazie ai progressi fatti nel calcolo ad altre prestazioni, alla disponibilità e allo sviluppo di dati topografici e di altri dati spaziali in alta risoluzione, a una nuova generazione di modelli di rischio e di perdite/impatti in caso di disastri, e di dataset ad alta risoluzione di esposizione e vulnerabilità. Un’accurata rappresentazione spaziale delle caratteristiche di esposizione e vulnerabilità, come strutture e beni residenziali e industriali, infrastrutture, densità di popolazione e prodotto interno lordo, rende possibile migliorare le stime e la distribuzione spaziale degli impatti dei disastri. L’accessibilità a prodotti di osservazione della Terra di altissima qualità, come quelli del programma Copernicus dell’Unione europea, ha aperto la strada a dati coerenti su esposizione e vulnerabilità su scala continentale e globale».
Quest’enorme mole di dati indica uno scenario molto chiaro, e per illustrarlo gli autori del report fanno un parallelo con la lezione appresa dall’attuale pandemia di Covid-19: «Quello che abbiamo vissuto durante il lockdown, e che stiamo ancora sperimentando è solo una pallida anticipazione degli shock sistemici che il clima e i cambiamenti ambientali a livello globale potrebbero causare e causeranno in futuro. I futuri miglioramenti nella valutazione del rischio dovranno essere incentrati su una migliore comprensione delle perdite economiche indirette e delle ripercussioni negative generate dai cosiddetti eventi ‘a lenta insorgenza’ (slow-onset hazards), dai rischi composti e dai rischi a cascata, oltre che sulle perdite causate dalla perturbazione e interruzione delle reti sociali, dei flussi economici e dei servizi ecosistemici».
Per l’Italia in particolare questo cosa significa? Ad illustrarlo sono stati proprio i ricercatori del Cmcc con una ricerca pubblicata nei mesi scorsi: se la probabilità del rischio di eventi estremi è già aumentata del 9% negli ultimi vent’anni, i diversi modelli climatici sono concordi nel valutare un aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050 (rispetto a 1981-2010), ma nello scenario peggiore l’aumento della temperatura può raggiungere i 5°C.
Senza adeguati interventi di mitigazione e adattamento, i costi degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia aumentano rapidamente e in modo esponenziale al crescere dell’innalzamento della temperatura nei diversi scenari, con valori compresi tra lo 0,5% e l’8% del Pil a fine secolo ed importanti impatti in termini di disuguaglianze economiche. Significa un danno di circa 130 miliardi di euro ogni anno: a confronto, il Pil italiano si è contratto dell’8,9% nel 2020 a causa della pandemia, ma già quest’anno si prevede in crescita. Una crescita che dovrà essere assai selettiva e orientata verso gli investimenti verdi, se vogliamo mantenere la speranza di evitare gli impatti peggiori legati alla crisi climatica.
«Il ‘Green deal’ europeo e il recovery package senza precedenti per il post-pandemia – concludono nel merito gli autori del report – stimoleranno un’enorme mole d’investimenti in tecnologie verdi e innovazione, tracciando la strada per lo sviluppo sostenibile e la neutralità climatica. Solo avvalendoci di valutazioni multi-rischio affidabili e basate sull’esperienza potremo conciliare la ripresa a breve termine ‘ricostruire meglio’ con uno sviluppo resiliente al clima di medio e di lungo termine».