Da Nimby a Pimby: in Toscana mancano impianti per gestire oltre 1 mln di ton di rifiuti
Rifiuti organici, fanghi da depurazione e recupero energetico sono le principali lacune da superare. Per farlo però servono investimenti e impianti industriali a livello locale
[6 Settembre 2021]
La Toscana è un buon esempio della pressante esigenza di passare da una logica di tipo Nimby (Not in my back yard) a una Pimby (Please in my back yard) per gli impianti di gestione rifiuti, dato che lo stato dell’arte pone la regione lontanissima dai target europei sull’economia circolare, che prevedono di portare il riciclo effettivo dei rifiuti urbani al 65% entro il 2035.
Secondo lo studio Da Nimby e Pimby: economia circolare come volano della transizione ecologica e sostenibile del Paese e dei suoi territori, realizzato da The European House-Ambrosetti in collaborazione con A2A, in Toscana mancano – o mancheranno presto – impianti per gestire oltre 1 milione di tonnellate di rifiuti l’anno. Non poco, considerando che nella regione vengono generati annualmente 2,28 mln di ton di rifiuti urbani, cui si aggiungono almeno altre 10,1 mln di ton rifiuti speciali.
La principali criticità sono note e spaziano dalla gestione dei rifiuti organici al recupero energetico dei rifiuti non riciclabili, ai fanghi di depurazione.
Secondo il report Ambrosetti-A2A, ad oggi la Toscana soffre un deficit pari a 279.847 ton/anno per l’organico (Forsu + verde): sono infatti 550.489 le ton raccolte ma solo 270.642 quelle gestite, affidandosi evidentemente all’export – con impatti ambientali ed economici rilevanti – per la quota rimanente. Proiettando questi dati agli obiettivi Ue al 2035, il gap impiantistico si allarga fino a 390mila ton/anno.
Ancora più ampio il deficit impiantistico per quanto riguarda il recupero energetico. Ad oggi la Toscana smaltisce in discarica il 33,1% dei rifiuti urbani – e dovrà ridurre l’asticella almeno fino al 10% –, ma in compenso ne brucia solo 232mila ton/anno di rifiuti urbani l’anno (in Lombardia sono quasi dieci volte tanto). Per Ambrosetti-A2A, su questo fronte il deficit impiantistico al 2035 arriverebbe fino a 447mila ton/anno se la dotazione impiantistica di termovalorizzatori restasse quella attuale.
Certo, ci sarebbero opzioni più avanzate rispetto ai termovalorizzatori da poter esplorare, come il riciclo chimico per frazioni di rifiuti come Css e plasmix. «Il riciclo chimico ha la potenzialità per diventare un’opzione per i materiali plastici il cui riciclo meccanico non è possibile», si legge nel merito nel report; l’unica ipotesi di questo tipo che si è finora affacciata in Toscana riguarda la realizzazione di un “gassificatore” all’interno della raffineria Eni di Livorno, che potrebbe evitare il ricorso a inceneritori favorendo un livello più alto di economia circolare, ma al momento non si registrano novità.
Poi c’è la partita dei fanghi da depurazione, che mostrano plasticamente come anche la migliore delle economie circolari continuerà inevitabilmente a generare nuovi rifiuti da gestire. Ad oggi in Toscana la differenza tra i fanghi prodotti dai depuratori e quelli effettivamente gestiti segna -53.861 ton/anno. Sommando la produzione teoricamente necessaria per superare le attuali procedure d’infrazione Ue (e sottraendo l’ammontare di fanghi attualmente gestiti tramite recupero e non smaltimento), il deficit toscano per questa frazione di rifiuti sale a 312.695 ton.
Guardando dunque solo a rifiuti organici, gap di recupero energetico e fanghi di depurazione, il deficit impiantistico toscano ammonta a qualcosa come 1.149.695 tonnellate l’anno. Con ricadute pesanti (anche) sulle tasche dei cittadini, sotto forma di Tari.
Spostando infatti la riflessione a livello nazionale, il report Ambrosetti-A2A mostra che per centrare gli obiettivi Ue all’Italia servirebbero tra i 31 e i 38 nuovi impianti di trattamento dell’organico (realizzabili con investimenti per 1,3 mld di euro), oltre a 6-7 termovalorizzatori (2,5 mld€) e di 8 linee aggiuntive in impianti esistenti (700 mln€) per recuperare energia dai fanghi.
A fronte di un investimento pari dunque a 4,5 mld di euro, l’analisi quantifica in 11,8 mld€ il relativo indotto economico con un gettito Iva potenziale di 1,8 mld€, e una riduzione della Tari per 550 mln€.
Anche l’ambiente ci guadagnerebbe: dalla Forsu potremmo ottenere biometano fino a 768 mln di m3 l’anno (arrivando fino a 8 miliardi di m3 negli scenari di mercato, ovvero il 10% della domanda nazionale di gas, valorizzando anche lo sviluppo delle componenti agricole, agro-industriali, effluenti zootecnici e sottoprodotti di origine animale), mentre bruciando i rifiuti non riciclabili anziché gettarli in discarica risparmieremmo 3,7 mln di ton di CO2 e produrremmo elettricità che aumenterebbe dello 0,7% la quota di energie rinnovabili sulla generazione complessiva del Paese.
Per raggiungere questi obiettivi, in teoria in soldi non sarebbero un problema: «In Italia fa fatica ad affermarsi una visione di crescita impiantistica, altri Paesi accelerano sul riciclo e sviluppano impianti di recupero energetico. Affinché l’Italia possa raggiungere i target fissati dall’Europa in ambito economia circolare è necessario investire fino a 4,5 miliardi di euro in infrastrutture dedicate al trattamento dei rifiuti per i quali non sarà difficile trovare finanziamenti privati», dichiara il presidente di A2A Marco Patuano, anche se l’ad Renato Mazzoncini aggiunge che «i capitali dei privati utili allo sviluppo del settore necessitano di due condizioni: un contesto regolatorio adeguato e un fondo di garanzia statale che tuteli dal rischio».
Su tutto però ciò che impedisce la realizzazione nuovi impianti per la gestione dei rifiuti – solo il 20% di quelli finanziati negli ultimi 8 anni è stato realizzato, certifica la Conte dei conti – è l’opposizione dei territori. I cittadini apprezzano l’economia circolare, ma gli impianti li vogliono almeno a 10 km di distanza.
«Ecco perché è indispensabile superare la sindrome Nimby costruendo un dialogo fra istituzioni, cittadini e imprese per una efficace collaborazione», conclude Patuano. Secondo il report Ambrosetti-A2A, l’auspicato passaggio da Nimby a Pimby va leva sulla buona comunicazione ambientale, e richiede di sfatare i falsi miti che bloccano la realizzazione delle infrastrutture favorendo meccanismi come il dibattito pubblico, oltre a comprimere i tempi della burocrazia per avviare le opere necessarie in particolare nel centro-sud.
Certo, alla politica resta l’onore di individuare gli obiettivi da raggiungere e l’onere di prendere le decisioni necessarie per traguardarli: in Toscana anche su questo resta molto da lavorare, dato che nessuno degli obiettivi dell’ultimo Piano regionale rifiuti e bonifiche (Prb) è stato raggiunto.