L’analisi dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani

Dalla Russia all’Algeria, cambia fornitore ma l’Italia resta dipendente dal gas fossile

Entro fine anno ridurre a zero l’import russo sembra un obiettivo alla portata, ma non è quello che conta di più

[8 Marzo 2024]

Prima dello shock energetico innescato dalla ripresa economica post-Covid, e aggravato dalla successiva invasione dell’Ucraina, dalla Russia arrivavano in Italia più di 30 miliardi di metri cubi di gas fossile all’anno. Quanto bastava a coprire oltre il 40% dell’importazioni di metano nel nostro Paese.

Nel 2023 il flusso di gas russo si è quasi arrestato, fermandosi a 2,9 mld di mc (4,7% dell’import). Ma non è stato sostituito principalmente da fonti rinnovabili, in grado di garantire autonomia (e dunque sicurezza) energetica oltre alla sostenibilità ambientale.

Oggi è dall’Algeria che arriva il 41% del gas consumato in Italia, come emerge dall’analisi condotta da Carlo Cottarelli e Leoluca Virgadamo per l’Osservatorio sui conti pubblici italiani. A cambiare in questi anni è stato dunque solo il fornitore, ma la dipendenza del nostro Paese resta.

Anche volendo sorvolare sulle implicazioni climatiche e ambientali, è inutile pensare di spezzare questo circolo vizioso puntando sulle trivelle tricolori, dato che le risorse presenti lungo lo Stivale sono irrisorie rispetto ai fabbisogni energetici del Paese.

Il gas estratto entro i patri confini peraltro continua a calare, nonostante le aperture del Governo Meloni: «Solitamente le importazioni di gas hanno coperto circa il 95% dei consumi di gas, il restante 5% essendo coperto dalla produzione interna. Questa però – spiegano dall’Osservatorio – è scesa costantemente: nel 2023 era calata di 345 milioni di metri cubi (11%) rispetto al 2021. Di conseguenza, nel 2022-2023 le importazioni da sole hanno coperto più del totale dei consumi, essendo le eccedenze stoccate o esportate».

Già oggi quindi l’Italia importa più gas di quanto ne consuma, eppure si continua a puntare su nuovi rigassificatori da ammortizzare poi nel lungo periodo.

Ma da dove arriva, in dettaglio, il gas che importiamo? Il calo dei flussi dalla Russia è stato compensato da un aumento delle importazioni tramite gasdotto da Algeria (+8,3%), Europa del nord (+7,7%) e Azerbaigian (+6,3%).

L’aumento maggiore è però stato nella quota del gas naturale liquefatto (Gnl), cresciuta di 13,4% rispetto al 2021: «I principali Paesi da cui importiamo il Gnl – continua l’Osservatorio – sono il Qatar, gli Stati Uniti e l’Algeria. Tenendo conto del Gnl, l’Algeria ora rappresenta di gran lunga il maggior fornitore di gas naturale per l’Italia: la sua quota (41% dei consumi nel 2023) è simile a quella che aveva la Russia prima del 2022. La quota delle importazioni dagli Stati Uniti è invece cresciuta rispetto al 2021 di 24%, mentre la quota dal Qatar è crollata (-34%)».

In definitiva, negli ultimi due anni l’Italia è riuscita a diminuire di molto la sua dipendenza dalle fonti energetiche russe. Ridurle a zero entro quest’anno «sembra un obiettivo raggiungibile», concludono dall’Osservatorio.

Ma il vero obiettivo è liberarsi del tutto dal giogo del gas fossile. Per farlo servono impianti rinnovabili, ma la transizione ecologica stenta ancora a decollare a causa di colli di bottiglia autorizzativi, oltre a sindromi Nimby e Nimto: nel corso del 2023 sono entrati in esercizio +5,7 GW di impianti rinnovabili, neanche la metà di quelli che servirebbero annualmente per traguardare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030.