Il focus di Elettricità futura a valle di Key energy

Rinnovabili, aggiornare il Pniec per risparmiare 25 miliardi di euro in bolletta

Re Rebaudengo: «Un altro game changer è il decreto aree idonee, ma la bozza attuale invece di accelerare lo sviluppo dei nuovi impianti renderà ancora più difficile installarli»

[4 Marzo 2024]

In un anno di forte crisi energetica come il 2022, il contributo delle energie rinnovabili italiane ha permesso al Paese di risparmiare 25 miliardi di euro sulla bolletta elettrica.

Altrettanto potrebbe valere, al 2030, l’aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) che il Governo Meloni è chiamato a ri-presentare entro fine giugno dopo aver ricevuto la bocciatura della Commissione europea (oltre che dell’Ocse e dalle associazioni ambientaliste).

È quanto emerso nel corso degli appuntamenti promossi alla fiera Key energy di Rimini da Elettricità futura, l’associazione confindustriale che rappresenta oltre il 70% del mercato elettrico italiano.

«Un po’ di ambizione in più nel Pniec si tradurrebbe in notevoli benefici aggiuntivi per il nostro Paese – spiega Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità futura – Acceleriamo la transizione laddove è più facile farlo, il settore elettrico può ridurre gli sforzi di decarbonizzazione di tutti gli altri settori. A condizione di cambiare passo e realizzare 12 GW di impianti all’anno».

Nell’ultimo anno sono entrati in esercizio neanche la metà dei nuovi impianti rinnovabili necessari (+5,7 GW), mentre le fonti pulite hanno coperto il 36,8% della domanda elettrica.

Il Pniec propone di alzare l’asticella al 65% nel 2030, mentre l’associazione confindustriale punta a coprire l’84% della produzione di elettricità con le rinnovabili: «Raggiungere questo obiettivo permetterebbe di risparmiare in bolletta 25 miliardi in più rispetto all’obiettivo indicato nell’attuale bozza del Pniec», argomentano da Elettricità futura.

Per raggiungere quest’obiettivo servono 143 GW di potenza totale rinnovabile installata in Italia al 2030, a fronte dei 66 GW presenti a fine 2023. Tenendo conto che 8 degli attuali 66 GW diventeranno obsoleti, occorre dunque installare, nei prossimi 7 anni, almeno 85 GW di nuova potenza rinnovabile e occorrerà anche realizzare 80 GWh di accumuli di grande taglia entro il 2030. Il che significherebbe creare anche 540mila nuovi posti di lavoro.

Le imprese italiane rappresentate da Elettricità futura si dicono da tempo pronte a investire 320 miliardi di euro per dare corpo a questo Piano elettrico al 2030, ma senza un assetto normativo favorevole gli investimenti stanno rimanendo fermi al palo.

«Regione che vai, normativa che trovi. Attualmente funziona così per le autorizzazioni dei progetti della transizione – argomenta Re Rebaudengo – La soluzione proposta da Elettricità futura è l’introduzione del “Provvedimento unico nazionale” per gli impianti che già oggi accedono alla Via nazionale, individuando nel Mase l’Autorità responsabile dell’intero procedimento autorizzativo. C’è anche la necessità di riordinare il frammentato quadro normativo e ridurre i tempi di rilascio del titolo autorizzativo realizzando un Testo unico per le autorizzazioni degli impianti di produzione, stoccaggio e distribuzione dell’energia elettrica».

C’è grande attesa anche per il decreto Fer X, chiamato a rinnovare gli incentivi per le fonti rinnovabili per i periodo 2024-2028. A tre mesi dall’inizio dell’anno, il decreto però è ancora in bozza e prevede tariffe che «non consentono la sostenibilità economica dei nuovi progetti», con Elettricità futura a rimarcare che «in Italia la tariffa per le aste si aggira attorno ai 75 euro/MWh, un valore tra i più bassi d’Europa».

«Le rinnovabili – spiegano dall’associazione confindustriale – restano l’opzione tecnologica più competitiva ma non sono di certo esenti dal forte aumento delle spese per la logistica, del costo delle materie prime, dei tassi di interesse, a cui si aggiungono gli extra costi delle lungaggini burocratiche».

Ma sono soprattutto le sindromi Nimby e Nimto sui territori, coi no delle Regioni e delle Soprintendenze, che bloccano l’avanzata delle rinnovabili.

«Un altro game changer è il Decreto aree idonee – conclude nel merito Re Rebaudengo – La bozza attuale invece di accelerare lo sviluppo dei nuovi impianti renderà, se possibile, ancora più difficile installarli nella maggior parte delle aree del Paese. E mentre attendiamo il Decreto, alcune Regioni annunciano nuove moratorie. Questa partita si potrebbe risolvere in due mosse. La prima è mettere nero su bianco che sono idonee tutte le aree che non avevano vincoli alla data di dicembre 2022, data ultima di attuazione del Decreto aree idonee secondo gli accordi presi dall’Italia con l’Europa (Red II). La seconda è suddividere a livello regionale il target nazionale 2030 +80GW di rinnovabili indicato dal Decreto, in modo che le Regioni aggiornino i loro piani energetici e rilascino conseguentemente le autorizzazioni necessarie».