Presentato a Roma lo studio Enel, Althesys ed Elettricità futura
Rinnovabili, 85 GW di nuovi impianti al 2030 possono portare all’Italia 540mila posti di lavoro
«Nei prossimi 8 anni l’Italia potrà ridurre di 160 miliardi di metri cubi le importazioni di gas, con un risparmio di 110 miliardi di euro»
[8 Febbraio 2023]
C’è un’unica strada che incrocia la risposta alla crisi climatica, al caro bollette e alla fame di lavoro che attraversa l’Italia: quella della transizione ecologica, incardinata sulle energie rinnovabili. Solo nel settore elettrico è possibile (e necessario) installare 85 GW di nuovi impianti da qui al 2030, creando 540mila ulteriori posti di lavoro oltre a 120mila già oggi presenti lungo la filiera.
È questo il cuore dello studio La filiera italiana delle tecnologie per le energie rinnovabili e smart verso il 2030, realizzato da Enel foundation con Althesys ed Elettricità futura – la principale associazione confindustriale del settore elettrico –, presentato oggi a Roma e condensato nel Piano 2030 del settore elettrico delineato proprio da Elettricità futura.
«Il Piano prevede di allacciare alla rete 85 GW di nuove rinnovabili al 2030, portando all’84% le rinnovabili nel mix elettrico. Raggiungendo questo traguardo, nei prossimi 8 anni l’Italia potrà ridurre di 160 miliardi di metri cubi le importazioni di gas con un risparmio di 110 miliardi di euro», spiega nel merito il presidente di Elettricità futura, Agostino Re Rebaudengo.
Allo scopo servirà anche la contemporanea realizzazione di 80 GWh di nuova capacità di accumulo di grande taglia, in moda da bilanciare l’intermittenza con cui si presenta la maggior parte delle energie rinnovabili (come fotovoltaico e solare, la cui producibilità è legata a fattori meteo, mentre altre rinnovabili come la geotermia portano in dote caratteristiche di stabilità e flessibilità).
Ma a frenare lo sviluppo del comparto, ad oggi, non sono difficoltà economiche o tecnologiche, ma autorizzative e di accettabilità sociale. Di fatto, le energie rinnovabili rappresentano ancora un mondo nuovo e conosciuto superficialmente da larga parte degli italiani, e questo – abbinato ad un contesto sociale dove le disuguaglianze economiche crescono insieme alla diffidenza verso la pubblica autorità – porta a diffidare di ciò che non si conosce, e che dunque spaventa.
Così si moltiplicano le sindromi Nimby & Nimto, mentre i nuovi impianti rinnovabili restano al palo prigionieri delle fake news. Un esempio su tutti, quello dell’incompatibilità con la tutela del paesaggio, smentito peraltro da associazioni ambientaliste del calibro di Legambiente, Wwf, Fai e Greenpeace: lo studio presentato oggi stima che installare 85 GW di impianti al 2030 richiederà lo 0,3% del territorio nazionale (100mila ettari).
Le strategie per far posto a questi impianti non mancano (si veda ad esempio la recente analisi congiunta Terna-Snam), e neanche le proposte imprenditoriali, dato che alla fine dello scorso anno c’erano 280 GW di impianti in cerca del via libera. A mancare semmai sono le autorizzazioni pubbliche: su questo fronte «siamo i peggiori in Europa per tempi e costi», col 50% dei progetti rinnovabili che non viene realizzato per «eccesso di burocrazia», mentre l’altro 50% «verrà realizzato con 6 anni di ritardo» rispetto al target del processo autorizzativo (1 anno).
Intervenendo oggi alla presentazione del Piano, il ministro delle Imprese Adolfo Urso osserva che «dobbiamo realizzare una risposta strategica dell’Europa e dell’Occidente alla sfida, anche valoriale, che ci viene posta dalla Cina e dalla Russia. Servono regole in sintonia con le richieste delle imprese e risorse che garantiscano chi investe in rinnovabili e green».
Appare sulla stessa linea d’onda il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, affermando la necessità di «liberare le rinnovabili. C’è un parco di progetti e investimenti molto importante che attende il via libera dal sistema delle autorizzazioni. Non si può continuare con 3 GW l’anno di rinnovabili: dobbiamo arrivare ad installare 10 GW».
Grande sintonia dunque col Piano 2030, ma tutto dipende dall’effettiva concretizzazione degli obiettivi. La sintonia c’era anche lo scorso anno, tra il Piano 2030 presentato da Elettricità futura e l’allora ministro Cingolani; quel Piano prevedeva però di installare nel 2022 almeno 5 GW di nuovi impianti, ma di fatto l’Italia si è fermata appunto a soli 3 GW. Imponendo dunque una nuova accelerazione: occorre agire su tutti i livelli amministrativi, non solo a livello di Stato centrale ma anche e soprattutto responsabilizzando Regioni, Comuni, Soprintendenze.
«Nei prossimi anni ci sarà sempre più bisogno di tecnologie, competenze e visione strategica a supporto della transizione energetica – evidenzia Francesco Starace, ad e dg di Enel – e l’Italia potrà avere un ruolo da protagonista solo creando e rafforzando una catena del valore nazionale in grado di competere nello scenario internazionale».
I singoli casi virtuosi abbondano già, come ha mostrato proprio Enel investendo 600 mln di euro sulla 3Sun di Catania per farne la fabbrica di pannelli fotovoltaici più grande d’Europa, ma quel che adesso occorre è una politica industriale che sappia mettere a sistema la capacità industriale già presente lungo il Paese.
«La filiera delle tecnologie elettriche rinnovabili e smart nazionale, con oltre 12 miliardi di euro di fatturato e quasi 800 imprese, è un asset strategico per l’Italia – conclude nel merito l’economista Alessandro Marangoni, ad di Althesys – I benefici socio-economici per l’Italia derivanti dallo sviluppo di questo settore sono cospicui e potrebbero equivalere fino al 2% del Pil annuo da qui al 2030».