Il Def tra scienza, fede e politica. Ci serve l’economia per flat tax e reddito di cittadinanza?
Nel caso di scelte così rilevanti per il sistema economico abbandonare la fede e ricorrere alla scienza potrebbe essere una idea, anche seguendo il metodo dell'analisi costi-benefici tanto caro al ministro Toninelli
[4 Ottobre 2018]
Si stima che la sovrana d’Inghilterra abbia perso un patrimonio di 25 milioni di sterline nella crisi finanziaria scoppiata nell’estate del 2007. “Ma perché di questa crisi nessuno se ne è accorto?” chiese nel 2008 la regina Elisabetta II ai professori della prestigiosa London School of Economics. Insomma, la scienza, specie quella economica, serve a qualcosa oppure no? In quella occasione servì (anche alla regina) a poco: la realtà travolse la teoria e gli economisti da allora hanno perso, forse a torto, molta della stima di cui godevano.
Tuttavia leggendo le notizie sulla Nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza), sintetizzato in quel numerino – come direbbe il vicepremier Luigi Di Maio – 2,4%, che rappresenta il rapporto deficit/Pil, e sulle previsioni dei suoi risultati esaltati dalla maggioranza, uno si domanda se mai sia stato chiesto un parere competente sulla manovra.
Non voglio discutere la bontà dei provvedimenti proposti, ma solo i loro effetti economici che si assicurano prodigiosi. Si rimane estasiati dalla sicurezza con cui gli esponenti del Governo affermano che la manovra riuscirà a far crescere il Prodotto interno lordo tanto da far scendere il rapporto debito/Pil, come è negli obiettivi della Commissione europea. Come dice il ministro Savona sul Fatto quotidiano: “L’attuazione di questi stimoli alla domanda aggregata, tenuto conto dei moltiplicatori della spesa può portare a una crescita nel 2019 di circa il 2% e crescere ancora di mezzo punto percentuale all’anno”. Cioè si arriverebbe al 3% nel 2021. Basta avere fede.
Nella speranza che la stesura finale del Def chiarisca, molto per ora sembra lasciato alla fede, utile in altri contesti. Nel caso di scelte così rilevanti per il sistema economico abbandonare la fede e ricorrere alla scienza potrebbe essere una idea, anche seguendo il metodo economico dell’analisi costi-benefici tanto caro al ministro Toninelli per la valutazione delle varie alternative per le opere pubbliche. Mentre invece per la manovra da 40 miliardi i problemi si riducono ai vincoli posti dall’Europa, ai conti della Ragioneria dello Stato, e alla divisione delle risorse tra i progetti in funzione del peso politico delle componenti della maggioranza.
E allora vediamo di trovare il filo logico del ragionamento. Inutile cercare nella politica, specie quella attuale, l’applicazione dell’idea di Luigi Einaudi: conoscere per deliberare. Si parte invece dai principi: aliquota unica per tutti oppure reddito di cittadinanza divengono una sorta di obbligo morale. Quindi se non ci sono risorse si inventano, e questo assomiglia molto al percorso di fede. Chi ha fede, ad esempio, giustamente segue i Dieci comandamenti oppure il Corano, senza chiedere una verifica della loro bontà.
Ovviamente la politica ha carattere sociale e quindi si basa sul consenso, cioè i voti che legittimano la bontà dei principi. Ma gli effetti si valutano col buon senso: se distribuisco soldi, faccio pagare meno tasse, oppure le condono, mi devo aspettare un consenso da parte delle persone coinvolte. Le misure devono essere di breve periodo e semplici, dimenticando la complessità del sistema: se ci sono dei poveri basta dare loro dei soldi. Cosa giusta, ma poco importa se così facendo aumentano per via dello spread i tassi di interesse, se le imprese investono meno e si riducono i posti di lavoro.
Gli investimenti a lungo termine vengono tendenzialmente esclusi da queste decisioni, perché non pagano in termini di consenso. Da qui l’avversione – specie dei 5 Stelle – alle cosiddette “grandi opere”, in genere. Ma gli effetti di più lungo periodo ci sono comunque. C’è l’incertezza di tanti fattori, per cui l’azione del politico e le sue decisioni sono molto simili a quelle del giocatore di poker. Il politico, saldo nei suoi principi, punta su una decisione sperando che la realtà dia poi a lui ragione. Non a caso il ministro Tria parla di “scommessa” che il Pil cresca dell’1,6% nel 2019 con le misure proposte. Il problema è poi chi paga questa scommessa.
Così la scienza economica è servita: gli economisti possono continuare a discettare mentre la politica va per la sua strada, sperando di non finire come la Oldsmobile 88 decappottabile dei turisti americani del film di Sordi nel “burone della Maranella”. Nel quale purtroppo finiremmo, nel caso, tutti quanti.