Il rapporto Brown to Green Report 2019 di Climate Transparency cita anche greenreport.it
I Paesi del G20 non sono sulla strada giusta per la transizione alla green economy
L’Italia tra i Paesi più vulnerabili e meno virtuosi. La peggiore è l’Australia
[12 Novembre 2019]
Il “Brown to Green Report 2019” pubblicato da Climate Transparency è la più completa revisione al mondo sull’azione climatica del G20, le maggiori economie che da sole sono responsabili dell’80% delle emissioni mondiali di gas serra, e fornisce informazioni concise e comparabili su azioni di mitigazione, finanziamento e adattamento del G20. Si tratta di un rapporto redatto da 14 organizzazioni e ONG (nessuna italiana) in base a 80 indicatori che riguardano decarbonizzazione, politiche climatiche, finanza e vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici e la loro sintesi fornisce una panoramica completa su come tutti i Paesi del G20 stiano attuando o meno le transizione verso un’economia a emissioni net zero. Il rapporto si basa sugli ultimi dati sulle emissioni del 2018 e copre 80 indicatori. Fornendo valutazioni per paese, identifica leader e ritardatari nel G20.
Per quanto riguarda l’Italia – il rapporto cita come fonte anche l’articolo di greenreport.it “Finanziamenti ai combustibili fossili: solo l’Arabia Saudita batte l’Italia” che abbiamo pubblicato il 15 November 2018- il Brown to Green Report 2019 evidenzia che «Le emissioni di gas serra (GHG) in Italia sono – pro capite – leggermente inferiori alla media del G20». Però, tra il 1990 e il 2016 le nostre emissioni totali sono diminuite solo del 18% e se si include anche quelle derivanti dall’utilizzo del suolo le emissioni pro capite italiane do gas serra sono di 6,8 tonnellate di CO2 equivalente (tCO2e) contro le 7,5 della media del G20.
Il rapporto evidenzia che «L’Italia non è sulla buona strada per un mondo a 1,5° C. il fair-share range dell’Italia sarà inferiore di 115 MtCO2e entro il 2030 e inferiore di meno 629 MtCO2e entro il 2050». Secondo i Nationally Determined Contributions (NDC) presentati dall’Italia all’Onu, le nostre emissioni dovrebbero essere limitate a 364 MtCO2e. Climate Transparency dice che l’Italia può ottenere la compatibilità con gli 1,5° C solo con «Forti riduzioni delle emissioni nazionali, integrate da contributi agli sforzi globali di riduzione delle emissioni».
Il rapporto prende in esame anche i recenti sviluppi delle politiche climatiche ed energetiche nel nostro Paese: «Il governo intende introdurre un nuovo sistema di aste per sostenere la produzione di energia elettrica rinnovabile, per un totale di 5,4 miliardi di euro. Il progetto di Piano nazionale per l’energia e il clima dell’Italia non include una tabella di marcia per un’eliminazione graduale del carbone entro il 2025 e ha un obiettivo di emissioni di gas serra meno ambizioso rispetto alla sua strategia energetica nazionale 2017. L’Italia ha pubblicato la sua peer review sui sussidi ai combustibili fossili insieme all’Indonesia, nell’aprile 2019, ma non ha una roadmap per eliminare gradualmente i sussidi».
Eppure l’Italia ha alcune opportunità per poter far meglio: il rapporto ricorda che «Nel 2017, l’Italia ha erogato 11,6 miliardi di dollari di sussidi ai combustibili fossili e fornisce la massima quantità di sostegno totale al consumo di carbone nell’Ue». La proposta è quella di «Eliminare gradualmente le sovvenzioni ai combustibili fossili entro il 2025». In oltre, «Le emissioni di pro capite dei trasporti in Italia (1,67 tCO2 nel 2018) sono superiori alla media del G20, con un trend in aumento». Per questo l’Italia deve: «Vietare i nuovi veicoli leggeri basati sui combustibili fossili (LDV) entro il 2025, eliminare gradualmente le emissioni dal trasporto merci entro il 2050 e sviluppare una strategia a lungo termine per passare dal trasporto motorizzato individuale al trasporto pubblico e non motorizzato».
In Italia nel 2018 le emissioni pro capite degli immobili erano di 1,8 tCO2 superiori alla media del G20 e anche qui, per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5° C, bisogna «Sviluppare una strategia per raggiungere forti livelli di rinnovamento del 5% annuo entro il 2020».
Ma è l’intero G20 ad essere fuori strada rispetto non solo all’obiettivo degli 1,5à C ma anche a quello dei 2° C . Il rapporto evidenzia che «Le emissioni di carbonio delle 20 maggiori economie mondiali stanno aumentando. Nonostante il fatto che la maggior parte ne sia tecnicamente capace e abbia incentivi economici, nessuno dei Paesi del G20 ha piani che li metteranno sulla buona strada per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C. Per mantenere di Parigi a portata di mano l’obiettivo 1,5° C dell’Accordo, i Paesi del G20 dovranno aumentare i loro obiettivi di taglio celle emissioni per il 2030 entro il 2020 e aumentare significativamente mitigazione, adattamento e finanziamenti nel prossimo decennio».
Alvaro Umaña, copresidente di Climate Transparency ed ex ex ministro dell’ambiente e dell’energia del Costa Rica, commenta: «A solo un anno prima della scadenza critica questi risultati ci danno la speranza che i Paesi troveranno la volontà politica di impegnarsi per obiettivi di riduzione delle emissioni più elevati nel 2020, come promesso in base all’accordo di Parigi. er la prima volta, il rapporto identifica il potenziale non sfruttato e le opportunità chiave per i Paesi di accrescere l’ambizione e come tale sarà uno strumento prezioso per i governi quando aggiorneranno i loro piani climatici».
Il problema è che nel 2018 nei Paesi del G20 le emissioni di CO2 legate all’energia sono aumentate dell’1,8% a causa della crescente domanda di energia: «L’approvvigionamento energetico non sta diventando più pulito – dice il rapporto – nonostante un aumento di oltre il 5% nella fornitura totale di energia rinnovabile del G20 nel 2018, la quota di combustibili fossili nel mix energetico del G20 rimane all’82%». E nel 2018, le emissioni del G20 nel settore energetico sono aumentate dell’1,6%. Mentre le energie rinnovabili rappresentano ora il 25,5% della produzione di energia, «questo non è sufficiente per compensare la crescita delle emissioni da fonti di combustibili fossili. Il carbone deve essere gradualmente eliminato entro il 2030 nei paesi dell’OCSE e entro il 2040 a livello globale».
Nel 218 sono aumentate dell’1,2% anche le emissioni dei trasporti del G20. I carburanti low-carbon hanno rappresentato meno del 6% del mix di carburanti e «Per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5° C Devono aumentare di circa 10 volte entro il 2050. I paesi del G20 devono ampliare le loro politiche per vietare le nuove auto a combustibili fossili al più tardi entro il 2035, ridurre le emissioni del trasporto merci a zero entro il 2050 e passare al trasporto pubblico non motorizzato e sostenibile. Ridurre i sussidi statali al settore dell’aviazione, tassare il carburante per i jet e utilizzare le entrate per investire massicciamente in nuovi carburanti senza emissioni di carbonio farebbe leva su enormi riduzioni delle emissioni e benefici per la salute». Fantascienza se si guarda all’attuale dibattito sulla finanziari italiana, però senza questo si prenderà anche qualche voto in più, ma non ci si salva.
Nel 2018 le emissioni del G20 nel settore dell’edilizia sono cresciute del 4,1%, più che in qualsiasi altro settore. L’adeguamento energetico degli edifici esistenti è una sfida tutti i Paesi del G20 e in particolare per i Paesi OCSE. «Per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5° C, i nuovi edifici devono avvicinarsi ai consumi di energia zero entro il 2020/25».
Poi viene l’ormai colossale e indecente questione dei sussidi ai combustibili fossili: nel 2017 i Paesi del G20 ne hanno erogati oltre 127 miliardi di dollari nel 2017. I sussidi ai combustibili fossili sono in leggero calo solo in 9 Paesi del G20 (in parte a causa del calo dei prezzi del carburante), ma i sussidi per le infrastrutture e la produzione di gas sono rimasti stabili o aumentati in molti Paesi (nonostante i prezzi più bassi). Il rapporto evidenzia che «Spostare solo di una parte di questi sussidi dai combustibili fossili verso le energie rinnovabili potrebbe pagare per la transizione verso l’energia pulita e ridurre significativamente le emissioni».
Lena Donat, una delle principali autrici del rapporto, evidenzia che «Le emissioni complessive di CO2 aumentano in tutti i settori, ma stiamo vedendo emergere alcuni leader dai quali gli altri possono imparare, come le politiche cinesi per la promozione dei veicoli elettrici e dei trasporti pubblici. Perché l’accordo di Parigi abbia successo, è chiaro che i Paesi del G20 devono essere leader climatici e spianare la strada a soluzioni delle quali possano beneficiare i Paesi in via di sviluppo».
Ecco i principali risultati del rapporto secondo Climate Transparency:
Vulnerabilità e adattamento: In media ogni anno (1998-2017), gli eventi meteorologici estremi hanno provocato in media circa 16.000 morti e perdite economiche di 142 miliardi di dollari nei paesi del G20. Russia, Francia, Italia, Germania e India sono qi Paesi ad aver subito le maggiori perdite. Limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 ° C anziché 3 ° C eviterebbe oltre il 70% degli impatti climatici nei settori dell’acqua, della salute e dell’agricoltura. Brasile e Messico sono fortemente esposti alla scarsità d’acqua a 1,5° C, mentre Brasile, Francia, Italia e Turchia sono fortemente esposti alla siccità. Per ridurre la loro vulnerabilità climatica tutti i Paesi del G20 hanno un piano di adattamento, tranne l’Arabia Saudita.
Gli NDC di mitigazione: la Cina, l’Ue e i suoi stati membri del G20, India, Indonesia, Russia, Arabia Saudita e Turchia prevedono di raggiungere o superare i loro obiettivi di NDC, ad esclusione dell’uso del suolo, del cambiamento dell’uso del suolo e delle emissioni forestali (LULUCF). Questo indica che gli obiettivi NDC non sono ancora «alla massima ambizione possibile» come richiesto dall’Accordo di Parigi. L’India ha l’NDC più ambizioso rispetto alla sua quota di emissioni globali per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C. Tuttavia, l’India deve ancora cominciare a preparare le sue industrie alle severe riduzioni delle emissioni necessarie. La Corea del Sud, il Canada e l’Australia sono i Paesi del G20 più lontani dalla realizzazione dei loro già ambiziosi NDC. Per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C, tutti i Paesi del G20 devono rafforzare i propri NDC. E il rapporto sottolinea che «C’è ampio spazio per aumentare le azioni climatiche per l’aggiornamento degli NDC del 2020».
Strategie a lungo termine: Canada, Francia, Germania, Giappone, Messico, Regno Unito e Usa hanno presentato all’Unfccc le loro strategie a lungo termine per il 2050. Argentina, Cina, Ue, India, Sudafrica, Corea del Sud e Russia stanno attualmente preparando strategie. Francia e Regno Unito hanno stabilito un precedente sancendo gli obiettivi di emissioni net-zero entro il 2050.
Approvvigionamento energetico: l’82% del mix energetico del G20 continua a provenire da combustibili fossili. La fornitura totale di energia primaria di combustibili fossili nel 2018 è aumentata in Australia, Canada, Cina, India, Indonesia, Russia, Sudafrica, Corea del Sud e Usa. Dal 1990, l’efficienza energetica dei Paesi del G20 è migliorata, ma i miglioramenti annuali in termini di efficienza stanno rallentando.
Energia: l’India è attualmente il Paese che investe maggiormente nelle energie rinnovabili, mentre il Brasile e la Germania sono gli unici Paesi del G20 con strategie di energia rinnovabile a lungo termine. Il Brasile è in testa con l’82,5% di energie rinnovabili (le contr testate centrali idroelettriche e i biocarburanti) , mentre l’Arabia Saudita, la Corea del Sud e il Sudafrica sono in ritardo con quote solo dello 0- 5%. Secondo Climate Transparency, «E’ necessario un piano per l’eliminazione del carbone in Australia, Cina, India, Indonesia, Giappone, Messico, Russia, Sudafrica, Turchia e Usa». L’Indonesia e la Turchia stanno addirittura bruciando più carbone per produrre elettricità e le loro emissioni da energia elettrica sono quelle aumentate maggiormente nel 2018. Francia, Brasile e Regno Unito nel 2018hanno ridotto considerevolmente le emissioni nel settore energetico, allontanandosi dalla produzione di energia da combustibili fossili. Questo prima dell’arrivo al potere in Brasile del neofascita jair Bolsonaro che punta molto sui combustibili fossili.
Trasporti: Canada, Francia, Giappone e Regno Unito sono i leader del divieto della vendita di nuove auro a combustibili fossili. Nel 2018 la Cina ha quasi raddoppiato la sua quota di veicoli elettrici e ha le politiche più ambiziose per incrementare il trasporto pubblico. Gli Usa (24 volte i livelli dell’India), il Canada e l’Australia hanno le più alte emissioni pro capite dei trasporti. Le emissioni del G20 nel settore dell’aviazione stanno aumentando rapidamente con l’Australia, gli Usa e il Regno Unito che hanno le più alte emissioni pro capite da voli aerei.
Edifici: Nel 2018 gli Usa, l’Australia e l’Arabia Saudita hanno registrato le più elevate emissioni pro capite degli edifici, comprese le emissioni da elettricità nel 2018. Mancano anche politiche ambiziose per ridurre sostanzialmente le emissioni nel settore. I paesi dell’Ue sono leader con strategie compatibili a 1,5° C per i nuovi edifici a energia zero. L’Ue, la Germania e la Francia sono gli unici membri del G20 con strategie a lungo termine in atto per l’adeguamento degli edifici, ma l’attuale tasso di rinnovamento annuale non è in linea con un percorso di 1,5° C.
Industria: l’intensità delle emissioni del settore industriale è la più alta in Russia, India e Cina. Allo stesso tempo, India e Cina sono tra i Paesi del G20 con le migliori politiche di efficienza energetica.
Agricoltura e uso del suolo: nel 2016 le emissioni di gas serra del G20 da agricoltura sono leggermente diminuite dello 0,4%. L’allevamento del bestiame rappresenta il 40% delle emissioni agricole nei Paesi del G20 e provoca indirettamente emissioni attraverso l’abbattimento ella foresta per il pascolo. Mentre nel 2018 Argentina, Brasile e Indonesia avevano delle politiche per ridurre la deforestazione o sostenere il rimboschimento, l’Australia e il Canada non hanno nessuna politica. India, Cina e Messico sono al primo posto per le loro politiche anti-deforestazione a lungo termine.
Politiche e normative finanziarie: tutti i Paesi del G20 hanno iniziato a discutere di principi finanziari ecologici, ma ad aprire la strada sono state le economie emergenti. Il Brasile e la Francia sono gli unici Paesi del G20 che hanno requisiti obbligatori di informativa climatica, mentre l’Indonesia è l’unico Paese del G20 che ha una valutazione del rischio obbligatoria legata al clima da parte degli istituti finanziari. Sia l’India che la Cina hanno politiche obbligatorie per le banche commerciali di incentivare i prestiti verdi.
Politica fiscale: Nel 2017 i Paesi del G20, esclusa l’Arabia Saudita (nessun dato comparabile), hanno erogato circa 127 miliardi di dollari in sussidi a carbone, petrolio e gas: un calo rispetto ai 248 miliardi di dollari nel 2013. Ciò è in parte legato a un fortissimo calo dei prezzi del petrolio, del gas e del carbone in questo periodo di tempo. I sussidi alle infrastrutture e alla produzione di gas naturale sono aumentati in diversi Paesi. Canada, Argentina e Indonesia sono tra i Paesi che hanno risparmiato miliardi di dollari tagliando incentivi o sussidi ai combustibili fossili negli ultimi anni. In media, circa il 70% delle emissioni di CO2 nei Paesi del G20 non ha un prezzo o un prezzo insufficiente, con la Russia che ha l più alto divario di prezzi del carbonio, seguita da Indonesia, Brasile e Cina. Tuttavia, il numero di Paesi del G20 che hanno già o sono in procinto di introdurre schemi espliciti di tariffazione del carbonio sta aumentando. I nuovi arrivati nel 2018/2019 sono stati il Sudafrica e l’Argentina.
Finanza pubblica: tra il 2016-2017, le istituzioni pubbliche del G20 hanno finanziato ancora il carbone e la produzione di energia elettrica a carbone per 17 miliardi di dollari a livello internazionale e in media a 11 miliardi di dollari all’anno a livello nazionale. La fine del finanziamento del carbone è uno dei passi più essenziali per raggiungere gli obiettivi di Parigi. I maggiori finanziatori del G20 all’estero sono Cina, Giappone e Corea del Sud. Le istituzioni finanziarie pubbliche in Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti limitano la spesa pubblica per il carbone.