I pescatori italiani pescano sempre più rifiuti

Una ricerca coordinata dall’Università Ca’ Foscari e da quella di Siena mostra che anche il 20% dei pesci almeno, tra quelli che arrivano sulle nostre tavole, ha ingerito microplastiche

[8 Ottobre 2020]

Ogni anno viene immessa nei mari del mondo una quantità di rifiuti di plastica compresa tra 4,8 a 12,7 milioni di tonnellate, e il Mediterraneo non fa certo eccezione: si tratta anzi di una tra le aree più impattate da microplastiche a livello mondiale, come conferma da ultimo il progetto scientifico AdriCleanFish che ha coinvolto oltre 270 pescatori di tutta Italia.

Finanziato da ministero delle Politiche agricole e coordinato dall’Università Ca’ Foscari insieme a quella di Siena, il progetto ha infatti coinvolto direttamente i pescatori, li ha informati e formati in un percorso che ha portato alla rimozione dei rifiuti in mare ad opera di pescherecci. Replicando in parte quanto già fatto da altri progetti virtuosi sviluppati nell’ambito, come nel caso di Arcipelago pulito condotto in Toscana.

In questo caso per la raccolta dei rifiuti dal mare si sono attivatele flotte di pescherecci dei porti di Civitanova Marche (MC) e Chioggia (VE): i rifiuti raccolti sono stati conferiti in coordinamento con le municipalizzate locali, mentre gli scienziati hanno cercato frammenti di microplastiche anche in alcune specie – acciuga, nasello, sardina, sogliola, sugarello e triglia di fango – destinate al consumo umano.

In tutte le specie ittiche analizzate è stata riscontrata la presenza di plastica nei tratti gastro-intestinali: in media 2 pesci su 10 avevano ingerito da una a cinque microplastiche, dato che conferma le recenti stime diffuse a livello mondiale le quali evidenziano come tra il 20 e il 30% di tutte le specie ittiche ingeriscano rifiuti plastici. Le microplastiche ingerite si localizzano nell’apparato digerente, per poi essere espulse, dato che l’apparato gastro-intestinale viene comunemente eliminato in fase di preparazione del pesce, almeno le eventuali microplastiche in esso presenti non vengono ingerite dall’uomo.

La collaborazione con numerose marinerie italiane (60) ha permesso inoltre di “fotografare” l’impatto dei rifiuti sulle attività di pesca: sul campione totale intervistato (276 pescatori) il 55% pesca sempre o quasi sempre rifiuti in occasione di ogni battuta di pesca, mentre è molto bassa la percentuale di intervistati che dichiara di non pescare mai o raramente rifiuti (rispettivamente 3 e 10%).

Dalle risposte riportate nei questionari emerge che le aree dove i pescatori riscontrano una maggior presenza di marine litter sono le aree sotto costa quelle in prossimità delle foci dei fiumi e le aree lontane dalla costa con profondità maggiori.

Dati che si riflettono in quelli raccolti dagli scienziati nelle due aree di studio analizzate: sebbene la maggior parte in numero degli oggetti sia attribuibile a fonti terrestri, una percentuale non trascurabile sarebbe dovuta ad attività marittime, in particolare legate alla navigazione oltre che allo stesso settore della pesca e acquacoltura.

In merito ai rifiuti raccolti dal fondo, i dati confermano come i materiali plastici siano quelli più frequentemente riscontrati. Più del 70% in numero degli oggetti analizzati sono costituiti da plastica, prevalentemente articoli monouso, come ad esempio sacchetti e bottiglie per bevande.

Classificando gli oggetti in base al tipo di utilizzo, è emerso inoltre che circa il 50% in numero del campione analizzato è costituito da articoli utilizzati come imballaggi, non solo di plastica ma anche di altri materiali come ad esempio le lattine in alluminio per bevande, quindi anch’essi progettati generalmente per un solo utilizzo.

Come del resto ribadito anche nei giorni scorsi dalla Corte dei conti europea, è necessario migliorare la gestione dei rifiuti – plastici in particolare – per poter raggiungere gli obiettivi di sostenibilità fissati dall’Ue: il che non significa limitarsi a demonizzare un materiale (la plastica) versatile quanto utile in molti campi, ma limitarne l’impiego riducendo il consumo di prodotti e imballaggi monouso, oltre a educare la cittadinanza all’importanza di un corretto conferimento dei rifiuti. Sono quelli che pochi incivili disperdono nell’ambiente a finire in mare, con danni per l’intera collettività.