Il cacciucco dell’inceneritore: a Livorno tutti contrari, con o senza referendum
Parte la raccolta firme di un comitato locale contrario all’impianto, mentre un altro dice no (sia al termovalorizzatore sia al referendum). Ma nel mentre scarseggiano le reali alternative
[29 Aprile 2021]
Sin dalla sua fondazione Livorno è da sempre un luogo simbolo per l’inclusione delle diversità, in grado di tenere insieme persone, idee, religioni ed etnie da ogni angolo del mondo. Non c’è da stupirsi dunque se proprio in questa città possono convivere contemporaneamente un comitato che promuove un referendum propositivo per lo spegnimento dell’inceneritore cittadino e un altro comitato che, pur dicendo no all’impianto, è contrario anche al referendum stesso.
Dove trovi posto il ciclo di gestione integrata del rifiuto – comprendente impianti per il recupero di materia, di energia, per lo smaltimento – invece non è dato sapere. Ma partiamo dall’inizio.
Il comitato che promuove il referendum nasce con la richiesta di tenere la consultazione avanzata nel 2019, e che ha raggiunto nei giorni scorsi una piccola vittoria: «Il sindaco ci ha notificato l’ammissione del referendum propositivo chiesto il 10 aprile del 2019 e la conseguente consegna dei moduli per la raccolta delle firme, propedeutiche per la richiesta del referendum propositivo […] Invitiamo tutte le associazioni favorevoli alla necessaria transizione ecologica e industriale della nostra città nella logica di “rifiuti zero” e delle “fabbriche di materiali” ad aiutare nella raccolta delle firme perché se il referendum verrà approvato sarà la vittoria di tutti i cittadini».
Da qui prende le mosse il neonato comitato per il no all’inceneritore e il no al referendum che propone di spegnere l’inceneritore, sottolineando che negli ultimi due anni il quesito dell’ipotetico referendum è già cambiato radicalmente. Cambiamenti che il comitato che sostiene al referendum si è affrettato a sua volta a spiegare.
Per sommi capi, il quesito referendario di due anni fa proponeva di spegnere l’inceneritore entro il 31/12/21 per far posto a un impianto di trattamento meccanico biologico (Tmb) da 10 milioni di euro e 80 posti di lavoro; adesso si prospetta invece “l’avvio delle procedure di spegnimento” entro il 30/9/22, investimenti da 10-49 milioni di euro per creare sempre un Tmb ma “nella logica delle fabbriche dei materiali e del trattamento dell’organico”.
Si noti che i Tmb – i famosi “impianti a freddo” per gestire i rifiuti – presenti in Italia e censiti dall’Ispra sono circa 130, e non sono alternative all’incenerimento: anzi, in media il 25,2% dei materiali in uscita dai Tmb è diretto verso gli inceneritori, mentre il 53,4% va in discarica e l’1% a riciclo. Anche le “fabbriche dei materiali” citate, ovvero dei Tmb realizzati con tecnologie più innovative, non escludono affatto il ricorso al recupero energetico. Anzi: a San Zeno (Arezzo) se ne sta realizzando una proprio in accoppiata all’ammodernamento di un termovalorizzatore. Anche a Rosignano Marittimo sta sorgendo una “fabbrica dei materiali” dalle ceneri del vecchio Tmb, che comunque avrà in uscita componenti rilevanti da avviare a recupero energetico.
Dunque, le “fabbriche dei materiali” (a maggior ragione gli impianti di trattamento dell’organico) e gli inceneritori non sono impianti alternativi, semmai complementari. Dire sì al Tmb e no all’inceneritore significa semplicemente chiedere a qualcun altro di occuparsi dei rifiuti non riciclabili. Ma a chi?
La Toscana da anni sta smantellando i propri termovalorizzatori (erano 8 nel 2012, adesso sono 5 e se verranno mantenute le promesse di Livorno e Montale arriveremo a 3, di cui nessuno nell’Ato Toscana costa), sta ricorrendo troppo alla discarica (33% dei rifiuti urbani) e si stima che almeno 8.760 tir carichi di spazzatura valichino ogni anno i confini regionali.
Al momento, in carenza di alternative il piano industriale di Retiambiente approvato lo scorso novembre ipotizza l’invio di 90-100mila tonnellate l’anno di rifiuti fuori dal territorio dell’Ato. Ovvero, il turismo dei rifiuti: la soluzione più insostenibile di tutte. Il gassificatore ipotizzato nella raffineria Eni di Stagno potrebbe rappresentare una soluzione innovativa per tenere assieme lo spegnimento dell’inceneritore e una gestione più sostenibile dei flussi di rifiuti che produciamo, ma di fatto su questo fronte ad ora non ci sono novità.
Al momento sul tavolo resta solo il no all’inceneritore – con o senza referendum, quando in ogni caso la scelta dovrà essere demandata ai rappresentanti eletti dato che la nostra democrazia è imperniata sulla rappresentanza – ma il tempo per trovare soluzioni davvero alternative stringe sempre di più: a prescindere dalla possibile consultazione referendaria, lo spegnimento dell’inceneritore è già stato programmato al 2023.