Oggi i danni superano di sei volte i costi di mitigazione necessari per restare entro i +2°C
La crisi climatica sta già costando al mondo 38mila miliardi di dollari l’anno
In Italia atteso un calo del 15% nel reddito medio dei cittadini entro il 2050, Wenz: «Proteggere il nostro clima è molto più conveniente che non farlo»
[18 Aprile 2024]
La transizione ecologica costa molto in termini d’investimenti, ma il conto dei danni che già oggi presenta la crisi climatica è molto più salato. Sei volte tanto, secondo un nuovo studio pubblicato su Nature da un team di scienziati del Potsdam institute for climate impacts research.
Sulla base di dati raccolti da oltre 1.600 regioni di tutto il mondo negli ultimi 40 anni, lo studio mostra che «i danni annuali globali sono stimati in 38.000 miliardi di dollari, con una probabile forbice tra 19 e 59.000 miliardi di dollari nel 2050 – spiega il ricercatore Maximilian Kotz – Questi danni derivano principalmente dall’aumento delle temperature, ma anche da cambiamenti nelle precipitazioni e nella variabilità delle temperature. La considerazione di altri fenomeni meteorologici estremi, come tempeste o incendi, potrebbe farli aumentare ulteriormente».
È importante sottolineare che i 38mila mld di dollari l’anno non si riferiscono a possibilità future, ma rappresentano la stima dei danni legati ai gas serra che l’umanità ha già emesso in atmosfera, inseriti all’interno di una logica d’inerzia economica. Ne consegue che tagliare drasticamente e velocemente le emissioni di CO2 potrebbe limitare i danni nella seconda metà del secolo in corso; in caso contrario, ci saranno enormi perdite economiche aggiuntive.
La stima elaborata nello studio, inoltre, non è espressa in termini di Pil perso, ma si concentra sulla perdita media di reddito per i cittadini. A livello globale lo studio segna -19%, con le perdite maggiori in Asia meridionale e Africa. Ma anche i Paesi di più antica industrializzazione non sono risparmiati dai danni del clima che cambia.
Ad esempio, il reddito medio in Italia si ridurrà del 15%, meno che in Grecia (17%) e Spagna (18%), ma di più che in Francia (13%).
«Questi danni a breve termine – argomenta la co-autrice Leonie Wenz – sono il risultato delle nostre emissioni passate. Avremo bisogno di maggiori sforzi di adattamento se vogliamo evitare almeno alcuni di questi danni. E dobbiamo ridurre drasticamente e immediatamente le nostre emissioni: in caso contrario, le perdite economiche diventeranno ancora più ingenti nella seconda metà del secolo, fino a raggiungere il 60% in media globale entro il 2100. Questo dimostra chiaramente che proteggere il nostro clima è molto più conveniente che non farlo, e questo senza nemmeno considerare gli impatti non economici come la perdita di vite umane o di biodiversità».
Mentre si accumulano le evidenze scientifiche in tal senso, il Governo Meloni continua invece ad alimentare una narrazione di senso contrario – come emerge ad esempio dalla posizione espressa sulla direttiva Ue “Case verdi” –, nella quale si mettono in evidenza i costi della transizione ecologica senza contare quelli determinati dall’inazione climatica.
Per rendere sostenibile anche dal punto di vista socioeconomico la transizione, occorre piuttosto domandarsi come distribuire il costo degli investimenti, per allocarlo sulle spalle dei cittadini più ricchi. In un Paese come l’Italia, dove il 5% più benestante possiede il 46% della ricchezza, lo strumento della progressività fiscale – sancito anche dalla Costituzione – rappresenta una risposta ineludibile quanto praticabile.
Come stima un recente studio condotto dalla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, aumentare la progressività delle tasse su grandi patrimoni, plusvalenze finanziarie e profitti delle multinazionali permetterebbe di coprire tutti gli investimenti per la transizione ecologica, facendo sì che i costi gravino solo sull’1% degli europei più ricchi (che sono anche i maggiori responsabili per le emissioni di gas serra).
In quest’orizzonte s’inserisce anche l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) Tax the rich, che punta a tassare i grandi patrimoni per finanziare la transizione ecologica e sociale, e per la quale la raccolta firme è ancora in corso.
«Spetta a noi decidere – conclude Anders Levermann, capo del dipartimento di ricerca Complexity science del Potsdam institute e coautore dello studio – Un cambiamento strutturale verso un sistema di energia rinnovabile è necessario per la nostra sicurezza e ci farà risparmiare. Rimanere sulla strada che stiamo percorrendo porterà a conseguenze catastrofiche. La temperatura del pianeta può essere stabilizzata solo se smettiamo di bruciare petrolio, gas e carbone».