Presentata una strategia per massimizzarne il recupero, ma serve un quadro normativo chiaro e stabile

La gestione dei fanghi di depurazione è centrale per la chiusura dell’intero ciclo idrico

Marangoni: «Più a fondo si pulisce l’acqua proveniente dalle fognature e più fanghi restano nel depuratore. La loro gestione è centrale per la chiusura dell’intero ciclo idrico»

[28 Gennaio 2021]

I fanghi di depurazione sono l’esempio più paradigmatico per mostrare come anche dalle migliore delle economie circolari esitino nuovi scarti, che è poi necessario gestire in modo sostenibile: recuperare quando possibile – materia o energia –, altrimenti smaltire in sicurezza. Paradossalmente, per i fanghi di depurazione sono problematiche tutte e tre le vie, come mostra lo studio “L’industria idrica e le sfide dell’economia circolare. La gestione sostenibile dei fanghi di depurazione”, elaborato da Althesys in collaborazione con Utilitalia, Assoambiente, Acea, Cap, Hera, MM, Smat, Veolia e presentato stamattina in un webinar.

«La gestione dei fanghi di depurazione è centrale per la chiusura dell’intero ciclo idrico – spiega l’economista Alessandro Marangoni, ceo di Althesys – poiché più a fondo si pulisce l’acqua proveniente dalle fognature e più fanghi restano nel depuratore. Questi, tuttavia, sono una risorsa che, in una logica di economia circolare, possono essere recuperati, fornendo nutrienti all’agricoltura o producendo energia. Bisogna quindi evitare lo smaltimento in discarica e valorizzare le sinergie con gli altri settori, agricoltura ed energia».

Come da buona tradizione per quanto i riguarda i rifiuti speciali quali sono i fanghi, come ebbe a dire l’ex presidente Ispra Bernardo de Bernardinis «la certezza dell’informazione che è fondamentale  per conoscere e agire le decisioni più corrette, nel nostro Paese è un’utopia». Difatti neanche sappiamo con precisione quanti sono. Il webinar odierno ricorda che il grado di copertura nazionale del servizio di depurazione è circa il 90%, ma se si considera la capacità degli impianti con il carico inquinante potenziale generabile nel territorio, la copertura scende al 57%; i fanghi da trattamento acque reflue urbane prodotti in Italia nel 2018 sono stati 3,1 milioni di tonnellate tal quale (fonte Ispra), ma alcune stime arrivano a 3,8 milioni (fonte Utilitalia).

Il costo di sistema della gestione dei fanghi è stimabile tra i 400 e i 520 milioni di euro, assumendo un mix delle varie modalità di gestione e una produzione nazionale tal quale intorno ai 4 milioni di tonnellate a regime. Il problema è che non sappiamo dove metterla, mentre il tasso di depurazione naturalmente è chiamato a crescere ancora.

L’impiego dei fanghi in agricoltura si è trovato a fronteggiare a più riprese, negli anni, incertezze normative, interventi giurisprudenziali e legislazioni regionali differenti, con forti impatti sulla gestione e i costi per le imprese idriche. Parallelamente, le destinazioni alternative all’agricoltura in Italia sono limitate da vari fattori: pochi impianti waste to energy per i fanghi, uso limitato nei cementifici, restrizioni per lo smaltimento in discarica. Di conseguenza i fanghi sono spesso inviati in discarica, talvolta molto lontano dal luogo di produzione, perché anche gli impianti di prossimità scarseggiano. Tutto questo grava, in ultima istanza, sui cittadini che pagano le bollette idriche.

Lo studio presentato oggi traccia dunque le linee di un’auspicabile strategia nazionale dell’industria idrica sui fanghi, che per andare oltre la gestione delle emergenze periodiche si articola su più direttrici guardando al 2030 come orizzonte.

«Innanzitutto, definire un quadro normativo chiaro e stabile per l’utilizzo in agricoltura, che preveda un tavolo di coordinamento istituzionale normativo. La valorizzazione della qualità dei fanghi, che è fondamentale per mantenere il loro sbocco verso gli usi agricoli, e una visione integrata idrico-waste-agricoltura, che coinvolga l’intera filiera, sono altri elementi chiave di questa strategia. Inoltre, la creazione di una rete di stakeholder che includa produttori, operatori, utilizzatori e imprese agricole di trasformazione; il ricorso alla termovalorizzazione, con impianti dedicati o destinati anche ad altri rifiuti, già molto diffusi in alcuni Paesi europei anche per il potenziale recupero del fosforo. Serve, nel complesso, un piano impiantistico nazionale che favorisca anche l’adozione di tecnologie innovative, con la sperimentazione e la ricerca di soluzioni avanzate di minimizzazione e di recupero dei fanghi o impianti per la produzione di biometano, e infine una programmazione regionale all’interno di indirizzi e linee guida definiti a livello nazionale».

Una possibilità potrebbe arrivare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la cui bozza è stata approvata dal Governo ed è in attesa di una (rapida) evoluzione. Ad ora il Pnrr prevede uno stanziamento di 15,3 miliardi di euro alla voce “Tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica”, ma perché queste risorse possano essere messe davvero a frutto nella gestione dei fanghi è necessario definire un quadro normativo chiaro e stabile che, contemplando le diverse possibilità di recupero dei fanghi, permetta di ricorrere anche ai fondi messi a disposizione dal Piano.