La “poverofobia”, il vento cattivo che soffia contro i poveri
Dietro il razzismo esibito e la xenofobia, la ripulsa crescente per poveri e migranti
[8 Novembre 2016]
“Pauvrephobie” (poverofobia), è il neologismo inventato dall’Ong francese ATD Quart Monde, dopo un sondaggio tra i suoi militanti, e reso noto il 17 ottobre in occasione del World day to overcome extreme poverty. La poverofobia è il rifiuto dei poveri, un fenomeno non certo nuovo ma che è in crescita nelle ricche società occidentali ed è sempre più manifesto nei comportamenti di chi se la prende con i migranti o di collettività e delle amministrazioni locali, come nel recente caso di Gorino o di quei sindaci che vogliono sgombrare indiscriminatamente il centro cittadino da senza tetto e “zingari”.
Opporsi a un centro di prima accoglienza di richiedenti asilo, fino a incendiarlo come successo in Germania o in Francia, o sgombrare il Baobab a Roma o distruggere il Centre du Secours populaire de Montreuil, come accaduto a Seine-Saint-Denis in Francia è il risultato della “poverofobia”. Come sottolinea Florent Gueguen, delegato generale della Fédération nationale des associations d’accueil et de réinsertion sociale (Fnars), «Si sente un vento cattivo, un’erosione dei valori di ospitalità e di solidarietà» e Claire Hédon, presidente di ATD Quart Monde, conferma: «Non si sa se i politici trasformino l’opinione pubblica o se la alimentino, ma i loro discorsi colpevolizzano i poveri, i migranti, i beneficiari di RSA (revenu de solidarité active – reddito di solidarietà attiva, ndr) o i senza tetto, tutti insieme, e li designano sempre più come assistiti che si approfittano del sistema».
E’ l’atteggiamento xenofobo e “poverofobico” che ha portato Donald Trump a giocarsi la presidenza degli Stati Uniti è lo stesso che permea la retorica anti-immigrati della Lepen o di Salvini che in realtà sottende una marcata “poverofobia” che è condivisa anche da molti amministratori “democratici” quando dichiarano i poveri e i migranti anti-estetici, magari per i turisti. E’ la paura che pervade la classe media impoverita dalla crisi del neoliberismo che ha spesso sostenuto con il suo voto e dei lavoratori senza più rappresentanza di classe che stanno scivolando verso la povertà e la continua erosione di diritti, che ora vedono come privilegi messi in pericolo da chi è più povero di loro. E’ duro e spaventevole guardarsi in quello che potrebbe essere lo specchio di un possibile futuro.
Questo atteggiamento sempre più duro verso i poveri, qualsiasi colore della pelle abbiano o religione professiono, è confermato dal Centre de recherche pour l’étude et l’observation des conditions de vie (Crédoc) che lo misura con le sue inchieste che conduce due volte all’anno dal 1978: «In tempi normali, le opinioni sono molto sensibili al contesto economico – spiega Sandra Hoibian, direttrice del polo di valutazione e società del Crédoc – Quando il tasso di povertà monetaria aumenta, i francesi danno maggioritariamente prova di empatia verso i più sfortunati, considerando che queste persone non hanno avuto una possibilità per uscirne. Per esempio, è stato il caso della precedente crisi economica del 1993-1995. Ma la crisi del 2008 è stata, da questo punto di vista, atipica: l’opinione pubblica si mostra più severa verso le categorie modeste, ingiunge loro di prendere in mano il loro destino, di superare da sole le loro difficoltà».
Un sondaggio realizzato a giugno rivelava che il 36% dei francesi pensa che i poveri non fanno abbastanza sforzi per uscire dalla loro situazione, le 1995 la pensava così solo il 25%, quando in Francia il livello di povertà era paragonabile a quello odierno. E’ più o meno il bacino elettorale in cui si nutre il Front National, ma il Crédoc però fa notare che dal 2015 si nota una flessione della “poverorofobia”, con un ritorno nel 2016 a una percentuale più alta di quello che la destra italiana chiama sprezzantemente buonismo e che in Francia chiamano meilleurs sentiments.
In Italia come in Francia la poverofobia assume forme molto concrete e fantasiose contro chi viene etichettato come indesiderabile, come le panchine o i muretti ornati di spunzoni dove è impossibile stendersi o le retate e le barriere per scacciare i senza tetto dalle stazioni ferroviarie o da edifici abbandonati. La Fondation Abbé-Pierre denuncia un aumento estivo degli arresti anti-mendicità in località turistiche come Cannes, Nizza, Fréjus, Colmar, Tours, Périgueux o Aix-les-Bains e invernale nella banlieue parigina, come ad Argenteuil o a Nogent-sur-Marne. Se a Gorino pochi giorni fa sono state scacciate delle donne e dei bambini, nel 2015, il sindaco gollista di Limeil-Brévannes (Val-de-Marne), Françoise Lecoufle, disse che avrebbe impedito in ogni modo, compresi blocchi per chiudere l’accesso al cantiere, la costruzione di un centro del Secours catholique per ospitare delle donne in difficoltà. Lo stesso è successo in un comune metropolitano di Lille, dove l’associazione La Sauvegarde du Nord voleva aprire un centro di accoglienza per ragazzini dai 10 a 16 anni. A Lione, durante la canicola estiva, nel primo arrondissement è stata chiusa una fontana nella quale si approvvigionavano 7 famiglie rom e dal giugno 2015 sono stati sbarrati numerosi bagni pubblici a Rouen, Reims, Lione e Conflans-Sainte-Honorine per impedire l’accesso alle persone in difficoltà. Coloro che protestano contro questi atti, che riguardano soprattutto cittadini francesi, come l’Action catholique ouvrière a Reims, o un collettivo locale delle Pentes de la Croix-Rousse a Lione, non riescono a farsi ascoltare.
E’ quello che succede anche in molti, troppi, paesi e città italiane, dove la mattina si scacciano barboni, rom. “vu cumprà” e “arabi”, accusati di invadere il territorio e di sporcarne l’immagine, e poi la sera si va a vedere ammirati e invidiosi il mega-yacht dello sceicco arabo attraccato alla banchina del porto, proveniente magari da un Paese sotto il suo tallone dittatoriale dal quale è scappato qualcuno dei poveri appena scacciati.
In occasione del World day to overcome extreme poverty, Cassam Uteem, presidente del Mouvement international ATD Quart Monde, ha detto che «Troppo spesso l’umiliazione e l’esclusione rimangono la sorte delle persone che vivono nell’estrema povertà. Nonostante gli enormi sacrifici che i genitori che vivono in povertà fanno per sovvenire ai bisogni dei loro figli, non riescono sempre a superare le loro difficoltà. Queste difficoltà sono ancora spesso aggravate da una società che – senza conoscere né comprendere quel che la gente sta in realtà affrontando – adotta un comportamento stigmatizzante o condiscendente verso di loro, portatore di giudizio. Dobbiamo mettere fine ai pregiudizi verso i poveri che si nutrono di tali atteggiamenti. Voi che vi siete sentiti sminuiti, umiliati ed esclusi , sappiate che siamo al vostro fianco nella vostra lotta e che ammiriamo il coraggio che dimostrate di fronte a condizioni inaccettabili».
ATD Quart Monde ed altre associazioni laiche e religiose sono convinte che bisogna rompere il circolo vizioso della povertà e che questo potrà essere fatto solo tutti insieme e ritornando a quella che cattolici e musulmani chiamano misericordia e la sinistra chiama solidarietà. Con la xenofobia, con la poverofobia, la miseria vincerà, al massimo la si potrà allontanare dalla vista dei ricchi, dai lungomare dei Paesi turistici e dai corsi commerciali delle città.
Come dice Uteem, «A voi, i leader del mondo, incombe di far luce sul fatto che coloro che vivono in povertà sono già attivamente impegnati a migliorare la vita del loro prossimo. Noi dobbiamo coinvolgerli nella progettazione e nell’attuazione di progetti che siano di beneficio particolarmente ai più poveri. E’ essenziale esortarli per mettere fine alla povertà sotto tutte le sue forme, dappertutto nel mondo, tenendo sempre presente l’obiettivo di non lasciare indietro nessuno». Che poi sarebbe un vecchio slogan socialdemocratico e un impegno della carità cattolica e islamica. Il sogno di giustizia terrena che non si è avverato.
Come dice il presidente del Mouvement international ATD Quart Monde, «Nel nostro mondo diverso, bisogna lavorare ogni giorno per trovare una comprensione reciproca e vivere insieme in armonia. Questo richiede d’innovare continuamente. Un elemento chiave di questa innovazione è quello di assicurare la partecipazione delle persone che vivono in povertà perché influenzino non solo le politiche che le interessano ma perché divengano anche partner per la trasformazione delle nostre società. Ogni altro approccio è votato al fallimento e conduce allo spreco dell’intelligenza di persone che hanno un’esperienza unica di resistenza e di lotta. Penso a questi bambini, a questi giovani privati dell’accesso all’educazione. Ho anche in testa quelle famiglie che non hanno altra scelta che quella di vivere in posti in cui sono condannate a un avvenire tetro, private come sono dell’accesso al lavoro, alla formazione o alla salute».
Ma la poverofobia sembra una nuova e vecchissima malattia sociale difficile da estirpare perché il suo contrario è una svolta politico-culturale – e soprattutto un radicale cambiamento di paradigma economico – che metta fine a ogni forma di povertà, ma questo, conclude Uteem, «Esige di fare di tutto perché ogni persona si senta rispettata nel suo diritto inalienabile di essere umano e riconosciuta nella sua dignità. Possiamo tutti arricchire l’umanità della nostra conoscenza, della nostra spiritualità, del nostro sentimento di essere utili agli altri. Ciascuno di noi è artigiano della creazione comune di un mondo più giusto e più profondamente solidale».
Parole antiche, che sembrano modernissime e rivoluzionarie al tempo del razzismo esibito che, oggi come ieri, nasconde la poverofobia frutto della paura e dell’egoismo senza più ritegno.