La tirannia dell’adesso che non ci permette di trasformare il mondo
Di fronte alle sfide poste da cambiamento climatico, perdita di biodiversità e pandemia, le vecchie economia e politica impediscono il cambiamento trasformativo necessario
[10 Novembre 2020]
Il termine “trasformativo” è entrata a far parte nel discorso corrente e viene usato in diverse situazioni, più recentemente a proposito dell’European Green Deal che promette politiche «profondamente trasformative». Ma, ancora prima, diverse analisi sul lento progresso verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell’Onu avevano concluso che, se l’umanità vuole assicurarsi un futuro sostenibile, sono necessari «cambiamenti trasformativi». E anche che l’incapacità di invertire le tendenze al peggioramento del riscaldamento globale della perdita di biodiversità richiedono un cambiamento trasformativo. Ma, per trasformarsi in politiche concrete a livello nazionale e internazionale, le nuove parole o concetti devono essere tradotti in misure ed azioni. I decisori politici e i loro elettori devono capire perché il cambiamento “trasformativo” o “trasformazionale” è necessario se vogliono davvero sostenere le conclusioni dei sostenitori di un reale cambiamento.
Il nuovo studio “Towards a sustainable future: transformative change and post-COVID-19 priorities – A Perspective by EASAC’s Environment Programme”, pubblicato su Perspective dall’European Academies’ Science Advisory Council (EASAC) delinea la portata dei problemi che l’umanità deve affrontare per abbinare lo sviluppo umano alle capacità della Terra di fornire risorse ed esamina le richieste per una trasformazione fondamentale dei nostri attuali sistemi economici e sociali nei loro aspetti tecnologici, economici e sociali.
Michael Norton, direttore del programma ambientale dell’EASAC, ricorda che «La conoscenza scientifica del cambiamento climatico e dei suoi fattori trainanti è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi decenni, ma il degrado della natura e la continua crescita delle emissioni di gas serra devono ancora cessare, figuriamoci iniziare a invertire la rotta. Dobbiamo chiederci se il solo tentativo di adeguare il “business as usual” possa salvaguardare il nostro futuro su questo pianeta».
Seguendo la crescita della popolazione globale e l’aumento dei consumi, è cresciuta anche la domanda di energia e risorse e oggi tutte le prove scientifiche dimostrano che ci stiamo avvicinando – o li abbiamo già superati – ai confini planetari fondamentali da cui dipendono le nostre civiltà. L’EASAC riassume queste evidenze concentrandosi sul clima e sulla biodiversità, descrivendo quel che molti scienziati ipotizzavano sin dagli anni ’70: «Le attuali traiettorie insostenibili sono integrate nelle nostre teorie economiche e nei nostri sistemi di ricompensa politica. Questi fondamentali devono essere ripristinati in modo che la sostenibilità a lungo termine venga incorporata nel nostro processo decisionale a tutti i livelli, piuttosto che essere lasciata ai margini e all’altruismo.
Una formidabile barriera al cambiamento è la prospettiva a breve termine dei molti interessi acquisiti che vogliono continuare con lo status quo, sia che si tratti di combustibili fossili, estrazione di risorse, elevato consumo nell’economia lineare, pesca eccessiva, conversione delle foreste…
Secondo lo svedese Anders Wijkman della Kungliga Vetenskapsakademien, «I ecision-makers sembrano ascoltare più gli interessi acquisiti che la scienza. Il messaggio della scienza sulla finitezza della natura del pianeta è stato coerente fin dagli anni ’70, ma è stato ignorato. Le riduzioni incrementali delle emissioni – ottenute finora – sono lontane da ciò che è necessario».
Lo studio conferma che il riscaldamento climatico sta procedendo troppo velocemente perché la comunità internazionale possa riuscire a raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi di evitare pericolosi cambiamenti climatici: «Si stanno già verificando effetti di feedback positivi che accelerano il riscaldamento. Anche con gli effetti estremi della pandemia di Covid, il divario tra ciò che è necessario in termini di riduzione delle emissioni di gas serra (GHG) e ciò che stiamo ottenendo continua ad aumentare».
Allo stesso tempo, stiamo perdendo la biodiversità a un ritmo che indebolirà e degraderà i servizi dalla natura su cui facciamo affidamento e questo impedirà di fare i necessari progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell’Onu per quanto riguarda povertà, fame, salute, acqua, città, clima, oceani e terra. E l’ EASAC dice che «Tutto questo porta alla conclusione che il raggiungimento della sostenibilità può essere ottenuto solo attraverso cambiamenti trasformativi».
Ma cosa ci impedisce di ascoltare la scienza? Norton risponde che «Si parla molto di reindirizzare i nostri valori e sistemi di ricompensa verso un’economia più sostenibile in cui possiamo vivere bene nel nostro pianeta per più di pochi anni. Ma l’inerzia della “brown economy” non può essere sottovalutata. Anche ora, nei paesi del G20 gli interessi dei combustibili fossili sono riusciti a prendere quasi il doppio dei fondi della ripresa post-Covid-19 di quelli assegnati alle energie rinnovabili. Gli interessi alimentari e agricoli stanno guidando la deforestazione, lo sgombero delle terre e la pesca eccessiva, ma continuano a essere sovvenzionati e sfuggono al pagamento dei costi ambientali delle loro attività».
Per Wijkman, «Il problema è la natura a breve termine del nostro sistema politico ed economico. Io la chiamo la tirannia dell’adesso. La cosiddetta ricchezza è staccata dalla vera ricchezza del nostro ambiente e dal nostro benessere. Abbiamo persino delegato la speculazione del mercato azionario agli algoritmi e la consideriamo una ricchezza, anche se non ha un valore reale. Questo è solo un esempio della nostra disconnessione dalla realtà fisica del nostro pianeta e dai suoi limiti. La generazione Greta lo capisce. Il nostro obiettivo dovrebbe essere il benessere e il welfare, ma il nostro sistema economico si concentra interamente sulla crescita e sul PIL, il che aggiunge carburante alle crisi climatiche e della biodiversità. Tuttavia, consumando sempre più beni materiali, non stiamo diventando più felici. Speriamo che la pandemia abbia dimostrato che il consumo di per sé non è l’obiettivo o il fine principale della vita. E’ il benessere l’obiettivo principale».
Gli scienziati dell’EASAC elencano alcune delle misure per il cambiamento più urgenti e trasformatrici:
Sostituire il PIL con misure di benessere reale che non si basino sullo sfruttamento e sulla distruzione delle risorse del pianeta.
Superare gli interessi acquisiti nella brown economy, iniziando con la sostituzione dei sussidi perversi con incentivi positivi per la responsabilità ambientale.
Portare il nostro sistema economico a pensare a lungo termine. Coinvolgere i settori dell’industria e della finanza per portare ai cambiamenti e coinvolgere l’opinione pubblica attraverso nuovi approcci.
Coglire ora le opportunità degli stimoli post Covid e per il Green Deal per iniziare a riparare un sistema che non è più adatto allo scopo.
Louise Vet, Istituto olandese di ecologia è consapevolie che le conclusione dell’EASAC «Rappresentano una sfida per i leader politici e le élite globali che continuano a fare campagne elettorali a favore dell’economia tradizionale, aspettandosi che la scienza e la tecnologia consentano di continuare a sostenere una a crescita economica a tempo indeterminato”, afferma la prof. Ma dobbiamo tutti accettare le realtà del nostro pianeta finito. Solo se premiamo ora il pulsante reset e lavoriamo con la natura invece che contro di essa, i nostri figli avranno la possibilità di avere un futuro».