Lavoro e innovazione, un’industria non vale l’altra per il rilancio dell’Italia
Job act e green economy: quali prospettive? L’economista Daniela Palma torna sull’occupazione sostenibile
[4 Febbraio 2014]
Il cosiddetto Jobs Act proposto dal nuovo segretario del PD Matteo Renzi ha fatto appena un timido ingresso nella scena del dibattito politico ed economico, ma la discussione è già ampiamente aperta. Benché poche ed essenziali siano le indicazioni che emergono dalle linee di fondo attualmente diffuse, le questioni in essere appaiono destinate ad importanti sviluppi. Tra queste, grande evidenza ci sembra debba avere l’attenzione dedicata ai settori dell’industria e alle componenti più innovative sulle quali dovrebbe essere impostato il rilancio dell’occupazione in Italia, penalizzata da un inesorabile declino competitivo.
Che la crisi dell’industria sia finalmente riconosciuta come un fondamentale nervo scoperto della crisi del Paese è infatti un passaggio assai rilevante, che va nella direzione di un superamento delle politiche di rigore che interessano la finanza pubblica e soprattutto che individua obiettivi strategici per lo sviluppo. Tuttavia la presentazione delle criticità sulle quali dovrebbe appuntarsi l’azione delle politiche, non sembra dar correttamente conto dei nodi che queste dovrebbero affrontare.
In particolare, la giustapposizione espositiva degli interventi su manifatturiero, ICT e green economy, sembra tradurre una visione non organica della crisi del manifatturiero italiano che, se tradotta in obiettivi da perseguire, appare destinata a produrre esiti di dubbia qualità ed entità. Ciò è sintomatico di una carenza interpretativa di fondo che non coglie il valore paradigmatico della green economy nella trasformazione dei processi produttivi e al tempo stesso il ruolo che i processi di innovazione tecnologica svolgono in questa trasformazione.
Partendo dagli apparati relativi alla produzione di energia da fonti rinnovabili, passando per le industrie del riciclo per arrivare ai mezzi di trasporto a basso impatto ambientale, lo sviluppo dei settori “green” è infatti inestricabilmente legato al possesso di competenze tecnologiche avanzate, che sono a loro volta l’esito di un progredito “sistema nazionale dell’innovazione”, ossia di una robusta “infrastruttura della conoscenza” – composta da tutti gli attori economici – che consenta ad un paese di tradurre il sapere scientifico in soluzioni innovative per il proprio sistema produttivo.
Non è quindi concepibile che un paese con un debole “sistema nazionale dell’innovazione” sia in grado di attuare una trasformazione del proprio sistema produttivo nella direzione della green economy, mentre è altresì vero che tutte quelle innovazioni che scaturiscono dallo sviluppo della green economy sono in grado di corroborare ulteriormente il “sistema nazionale dell’innovazione”.
Non è perciò casuale che in tutto il mondo una parte significativa dell’impulso che stanno avendo i nuovi settori della green economy provenga in misura sempre maggiore da paesi che sono andati a consolidare la propria industria nei settori a maggiore intensità tecnologica. Tutto questo in Italia non è accaduto, mentre si è accumulato il ritardo tecnologico rispetto ai maggiori paesi europei. Per questo il Paese si trova di fronte ad uno scarto patologico tra “domanda di innovazione” e “offerta di innovazione”, che si scarica su un aumento delle importazioni e si traduce infine in un ampliamento del deficit commerciale nei settori tecnologicamente avanzati. Ma dal punto di vista dell’intera economia l’esistenza di un debito estero deprime la crescita e l’occupazione. E’ accaduto, invece, che l’occupazione creata nella green economy italiana – quale ad esempio quella collegata al settore fotovoltaico con l’espansione della potenza installata attraverso l’importazione di pannelli solari – non sia mai stata valutata alla luce dello stato dell’occupazione complessiva, dipendente, appunto, dalla crescita del reddito totale. E’ necessario, dunque, predisporre importanti programmi di intervento in materia di politica industriale, che consentano la creazione di una base produttiva a più elevata intensità tecnologica e favoriscano lo sviluppo di competenze tecnologiche utili anche per i settori della riconversione ambientale. Ed è questo uno versanti irrinunciabili dal quale un Job Act che voglia essere realmente incisivo sull’occupazione, deve prendere le mosse.