Le Regioni chiedono che la pdl sull’acqua pubblica sia «profondamente modificata»
«Esistono almeno tre ragioni per rivedere l’impianto della proposta, a meno che non si voglia dar luogo ad un lungo ed estenuante contenzioso»
[6 Febbraio 2019]
La commissione Ambiente della Camera sta esaminando una proposta di legge, avanzata da Federica Daga (M5S), che prevede un radicale riassetto dei servizi idrici senza però aver trovato la quadra con il territorio: «Facciamo appello al Parlamento perché la proposta di legge sulla gestione (e non il bene in sé, che è già oggi di natura comune e sotto il controllo demaniale, ndr) dell’acqua pubblica sia profondamente modificata», dichiara Donatella Spano, coordinatrice della commissione Ambiente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, in quanto «esistono almeno tre ragioni per rivedere l’impianto della proposta, a meno che non si voglia dar luogo ad un lungo ed estenuante contenzioso Stato-Regioni».
Il primo motivo messo in evidenza dalla Conferenza è che c’è il rischio «di trovarsi di fronte ad una disciplina di settore tutta da interpretare e sconnessa», in quanto la pdl «non disciplina il necessario coordinamento fra la nuova disciplina e la normativa vigente»; la seconda ragione sta nell’esigenza di dipanare «diversi dubbi di legittimità costituzionale», a partire dal fatto che «la gestione del demanio idrico è una competenza delle Regioni»; il terzo motivo riguarda invece l’intero assetto del servizio idrico che la pdl andrebbe a definire, riportando indietro le lancette dell’orologio a oltre 25 anni fa, quando venne approvata la legge Galli. «Vale la pena ricordare – spiega in proposito Spano – che proprio in attuazione di quella legge tutte le regioni hanno disciplinato la materia istituendo le Autorità d’ambito territoriale ottimale, i vecchi Ato, adesso Enti di governo d’ambito (Egato), le quali hanno provveduto ad affidare la gestione e l’erogazione dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione ad aziende (peraltro prevalentemente pubbliche) dotate di adeguata capacità tecnico-organizzativa e gestionale. La suddetta organizzazione territoriale e di governance, attuata da oltre vent’anni in tutta Italia, si è rivelata uno degli elementi essenziali delle politiche per la tutela delle risorse idriche su tutto il territorio nazionale, che ha consentito di superando la frammentazione dei sistemi idrici ed ha portato ad un progressivo aumento dei volumi di investimento e dello sviluppo infrastrutturale».
Smontare d’un colpo l’intero assetto rischierebbe dunque di mettere in crisi l’intero sistema, a fronte di un contesto che – anche sull’onda dei cambiamenti climatici – richiede una gestione efficiente della risorsa e ingenti investimenti nell’ordine di 5 miliardi di euro l’anno, che la fiscalità generale sarebbe chiamata a finanziare.