Le rinnovabili costano meno del carbone. Irena: «Sono la fonte di energia più economica»
Ci sono già oltre 800 GW di impianti a carbone più costosi dei progetti fotovoltaici ed eolici, sostituirli permetterebbe di risparmiare 32,3 mld di dollari e 3 gigatonnellate di CO2 l’anno
[23 Giugno 2021]
«Oggi, le rinnovabili rappresentano la fonte di energia più economica», anche rispetto al carbone. A dirlo è Francesco La Camera, direttore generale dell’Irena – l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili – sulla base del nuovo rapporto Renewable power generation costs in 2020.
Certo, non si tratta ancora di un’affermazione universalmente valida, anche se ormai lo è nella maggioranza dei casi: il 62% della potenza rinnovabile installata nel 2020 (ovvero per 162 GW su 261 totali) è risultato più economico rispetto ai nuovi impianti fossili installati. Aprendo nuovi scenari non solo per il Paesi di più antica industrializzazione – come l’Italia – ma soprattutto per quelli in via di sviluppo, in molti casi ancora fortemente dipendenti dal carbone.
Al proposito, l’Irena stima che la nuova potenza installata nel solo 2020 farà già risparmiare 156 mld di dollari ai Paesi in via di sviluppo, durante il ciclo di vita degli impianti, rispetto alle scelte fossili; due terzi di questi risparmi arrivano dall’eolico onshore, seguito dall’idroelettrico e dal fotovoltaico. Allargando il quadro d’osservazione, risulta che i 534 GW rinnovabili installati nei Paesi in via di sviluppo a partire dal 2010 a costi inferiori rispetto a quelli del carbone, stanno riducendo i costi della produzione di elettricità per 32 mld di dollari l’anno.
«Le energie rinnovabili offrono ai Paesi legati al carbone un programma di eliminazione graduale economicamente allettante – conferma La Camera – che assicura loro di soddisfare la crescente domanda di energia, risparmiando costi, aumentando i posti di lavoro, stimolando la crescita e rispettando gli obiettivi climatici. Dopo l’ultimo impegno assunto dal G7 teso a raggiungere l’impatto climatico zero e arrestare il finanziamento globale del carbone all’estero, per il G20 e le economie emergenti è giunto il momento rispondere adeguatamente a queste misure. Non possiamo permettere di avere un doppio binario per la transizione energetica dove alcuni paesi diventano rapidamente verdi e altri rimangono intrappolati nel sistema basato sui fossili del passato. La solidarietà globale sarà cruciale, dalla diffusione della tecnologia alle strategie finanziarie, fino al sostegno degli investimenti».
Al resto ci sta già pensando l’economia: secondo i dati raccolti dall’Irena nell’ultimo decennio il costo dell’elettricità da fotovoltaico su scala industriale è sceso dell’85%, il solare a concentrazione del 68%, l’eolico onshore del 56%, l’eolico offshore del 9% e il solare fotovoltaico (residenziale) del 7%. Tanto che oggi con prezzi d’asta record di 1,1-3 centesimi di dollari per kWh, il solare fotovoltaico e l’eolico onshore continuano a battere anche le nuove installazioni a carbone senza alcun sostegno finanziario.
Perché dunque se nel mondo le rinnovabili continuano a correre, in Italia il comparto è col freno a mano tirato dal 2013? Gli incentivi continuano ad avere un ruolo rilevante, ma come mostra l’andamento dei bandi Gse neanche quelli già disponibili vengono impiegati perché gli impianti non ci sono: restano bloccate nelle maglie di un permitting altamente inefficiente (servono in media 7 anni per arrivare all’ok a un impianto) e stritolate tra le sindromi Nimby e Nimto che affollano lo Stivale.
Uno stallo che comporta un enorme spreco di potenziale in un’ottica di sviluppo sostenibile ma anche di risparmi economici per la collettività. Basti osservare che negli Usa, come documenta ancora il report Irena, 149 GW di impianti a carbone (il 61% dell’intero parco impiantistico) costa di più della nuova capacità rinnovabile: mandare in pensione i vecchi impianti fossili permetterebbe di risparmiare 5,6 mld di dollari l’anno insieme a 332 mln di tonnellate di CO2, riducendo di un terzo le emissioni del carbone statunitense. Ma non solo in Usa: anche in India ci sono già 141 GW di impianti a carbone antieconomici rispetto alle rinnovabili, mentre in Germania nessuna centrale a carbone esistente ha costi operativi più bassi della nuova capacità fotovoltaica o eolica onshore.
A livello globale emerge così che oltre 800 GW di impianti a carbone esistente sono più costosi dei progetti fotovoltaici ed eolici offshore commissionati nel 2021, e dismetterli consentirebbe di tagliare i costi di produzione dell’elettricità fino a 32,3 mld di dollari l’anno, evitando al contempo circa 3 gigatonnellate di CO2 l’anno: si tratta di ben il 9% delle emissioni globali di CO2 legate alla produzione di energia nel 2020, o del 20% della riduzione delle emissioni necessaria al 2030 per restare entro un surriscaldamento globale di +1,5°C (come previsto dall’Accordo di Parigi).
Un trend che peraltro continuerà a migliorare: secondo l’Irena nel 2020 l’eolico onshore costerà il 20-27% in meno rispetto all’installazione di nuovi impianti a carbone, e al contempo il 74% dei progetti fotovoltaico che verranno commissionati nel prossimo biennio attraverso aste o gare d’appalto avranno un prezzo d’aggiudicazione inferiore rispetto a quello della produzione da nuovi impianti a carbone.