L’industria siderurgica chiede un European green deal per l’acciaio contro il dumping cinese
Eurofer chiede investimenti verdi per non farsi scippare l’affare dell’eolico e delle tecnologie green
[25 Novembre 2020]
L’industria siderurgica europea – come sappiamo bene in Italia – è tra quelle più in difficoltà: prima è stata colpita dumping cinese e dai dazi statunitensi, poi dalla pandemia di covid-19. Secondo l’European Steel Association (Eurofer), ci vorranno almeno due anni perché l’industria si riprenda, ma la ripresa potrebbe essere accelerata da jun nuovo European Green Deal per l’acciaio e una carbon tax alle frontiere europee.
Un cambio di opinione notevole per un’industria che, nonostante le evidenze e la crisi, si è troppo a lungo incartata in politiche arretrate e difensivistiche, fino al negazionismo climatico e alla richiesta di proroghe per le emissioni per le attività ad alta intensità di carbonio. e
Con me spiega Euractiv di fronte all’offensiva cinese e statunitense, «L’Ue non è stata ferma a guardare e ha adottato misure di salvaguardia rispetto ai dazi statunitensi e al dumping cinese, impedendo che si verificasse uno “scenario peggiore” per l’industria del settore». Ma per il segretario generale di Eurofer, Axel Eggert, «Queste misure non sono“sufficienti per affrontare l’enorme calo della domanda causato dalla pandemia da Coronavirus».
Anche se si stanno studiando materiali alternativi per le pale, uno dei settori di frontiera per l’impiego dell’acciaio è quello dell’eolico che nei prossimi anni dovrebbe vedere un grosso aumento in tutta Europa se si voglionoi rispettare gli obiettivi climatici dell’Ue, ma anche in questo caso i produttori europei temono le crescenti importazioni di “torri d’acciaio” dalla Cina. Una situazione che dopo una denuncia dell’European Wind Tower Association (Ewta), il 21 ottobre ha portato la Commissione europea ad avviare un’indagine antidumping.
Dopo che la Commissione Ue ha adottato misure antidumping sull’acciaio cinese, dal 2016 i prezzi delle lamiere pesanti provenienti da Paesi diversi dalla Repubblica popolare cinese sono aumentati del 40%. Di conseguenza, i costi di produzione dei produttori europei di torri eoliche sono aumentati, portando a un calo della domanda da parte dei clienti europei. «Stiamo perdendo sempre più ordini per i produttori cinesi di torri eoliche – aveva denunciato il 21 giugno Markus Scheithauer del consiglio di amministrazione di Ewta – Vediamo i grandi ordini andare alle società cinesi. Ai produttori di torri eoliche in Europa non resta quasi nulla».
Gli effetti collaterali di questo calo della domanda si sono già fatti sentire e molti produttori europei di torri eoliche dicono di essere costretti ad accettare ordini sottocosto. Lo spagnolo José María Ávila, del consiglio di amministrazione di Ewta, conferma: «Abbiamo dovuto licenziare alcune persone. E poiché continuiamo a vedere un trend negativo, potremmo aver bisogno di licenziare più persone. E’ una situazione davvero difficile per noi. E non sono solo i produttori di torri eoliche. Anche i nostri fornitori stanno iniziando a soffrire».
Con 153,7 GigaWatt installati, la produzione di energia eolica supera il carbone come seconda fonte di produzione di energia e la nuova direttiva Ue sulle energie rinnovabili punta a raggiungere il 32% di energia prodotta con fonti rinnovabili entro il 2030. In questo contesto, molti degli investimenti europei potrebbero finire in Asia.
Gonçalo Lobo Xavier, direttore esecutivo dell’Ewta ci tiene a dire che «L’ultima cosa che chiediamo è il protezionismo. Ma quando guardiamo ai prezzi che offrono alcune aziende asiatiche, viene da chiedersi: stanno forse ricevendo qualche forma di aiuto che crea concorrenza sleale con le aziende europee? Non lo sappiamo ma pensiamo che sia giusto chiederselo e indagare. E’ tutto ciò che chiediamo, che l’Ue esamini più da vicino questi punti. Vogliamo solo condizioni di parità. In Europa ci preoccupiamo per innovazione, qualità, sostenibilità e rispetto dei diritti sociali. Crediamo sia giusto che tutti i produttori rispettino le stesse regole. Questo fa parte di ciò che significa un mercato libero».
Ma anche i campioni del liberissimo mercato gli Usa hanno imposto con l’Amministrazione di Donald Trump tariffe che hanno colpito duramente l’acciaio europeo, con l’imposizione di dazi del 25% anche sui derivati.
A causa della pandemia di Covid-19, l’industria siderurgica europea nel periodo da marzo a ottobre ha avuto un calo della produzione del 17% e un meno 28% della forza lavoro impiegata. Attualmente abbondano solo i contratti a breve termine e la cassa integrazione e la disoccupazione, con casi ormai incancreniti come quelli italiani.
Anche per questo Eurofer invita la Commissione europea a «rivedere le misure di salvaguardia e a prolungarle oltre il giugno del prossimo anno». Euractiv spiega ancora che «Si tratta di misure che la Commissione ha prorogato il 30 giugno, comprese le quote di importazione specifiche per Paese volte a regolare i prezzi sul mercato Ue, che rischiavano di crollare a fronte del calo della domanda, oltre che per il dumping cinese».
Per Eggert «E’ importante che tutte le importazioni di acciaio abbiano un vincolo rispetto all’emissione di carbonio simile a quello che hanno i produttori europei «e chiede «Un vero e proprio “Green Deal per l’acciaio” che comprenda fino a 10 misure per promuovere la produzione di acciaio a basso tenore di carbonio».
Il direttore del dipartimento commerciale della Commissione Ue, Leopoldo Rubinacci, ricorda che «La Commissione europea ha riconosciuto l’esposizione dell’industria siderurgica al dumping ambientale: è un dato di fatto che l’industria siderurgica è in prima linea nella lotta alle emissioni di carbonio e non si può non tenerne conto. Nell’ottica della Commissione il Carbon Border Adjustment Mechanism è principalmente volto a garantire che il prezzo delle importazioni rifletta più accuratamente il loro contenuto di carbonio; il carbon border levy non ha solo lo scopo di proteggere la competitività dell’industria siderurgica europea, ma deve essere inteso come uno strumento di politica green».
Anche se può sembrare quel che dice Eggert non sono proprio le stesse cose che dicono gli ambientalisti. Infatti il segretario generale di Eurofer si lamenta del fatto che «I produttori siderurgici europei dovranno comunque sostenere un costo sulle emissioni di carbonio per ogni tonnellata di acciaio prodotta, mentre gli esportatori avranno costi di carbonio solo sui volumi che esporteranno nell’Ue». Il Green Deal dell’acciaio potrebbe quindi sembrare essere invocato soprattutto in funzione difensiva.
Anche se lo stesso Eggert, commentando il nuovo target di riduzione delle emissioni di gas serra europee del 55% aveva detto che «Il successo della leadership climatica dell’Ue non dipende dal suo livello di ambizione, già impareggiabile da nessun altro grande partner globale, ma principalmente dalla sua capacità di dimostrare che è possibile coniugare la sostenibilità ambientale con la crescita economica e l’accettazione sociale. L’acciaio europeo ha già sottolineato la sua ambizione di ridurre le emissioni di CO2 del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2018 – o del 55% rispetto al 1990 – e di avvicinarsi alla carbon neutrality entro il 2050». Ma ha aggiunto che «Questo sarà realizzabile solo nelle giuste condizioni e con il giusto quadro in atto. Questo quadro consiste nel sostegno agli investimenti nell’innovazione e nella diffusione, la creazione di un mercato per i materiali verdi, la disponibilità di fonti di energia rinnovabile appropriate, una parità di condizioni a livello internazionale e l’applicazione degli strumenti di difesa commerciale dell’Ue senza distorsioni commerciali di Paesi terzi. Questo quadro deve essere istituito con urgenza. La Commissione, nella sua comunicazione, riconosce che il raggiungimento di un obiettivo di riduzione delle emissioni del 55% rappresenterà una sfida significativa per gli investimenti per l’industria dell’Ue. Le istituzioni dell’Ue devono ora fornire risposte e soluzioni concrete per affrontare questa sfida. L’industria siderurgica europea è uno dei settori più avanzati in termini di progetti low carbon. Tuttavia, il successo sarà misurato col risultato: l’esistenza di un’industria siderurgica nazionale fiorente, innovativa e decarbonizzata nel 2050. L’Ue ha bisogno di un quadro politico stabile e prevedibile che consegua gli obiettivi climatici e preservi la competitività della sua base industriale fornendo al contempo sicurezza per la pianificazione e gli investimenti. Da questo punto di vista, siamo preoccupati per le proposte di aumentare il fattore di riduzione dell’EU ETS e per una cancellazione one-off delle quote, il che esporrebbe il settore a costi del carbonio più elevati in un momento in cui sono disperatamente necessari investimenti low-carbon. In assenza di sforzi comparabili da parte dei partner commerciali, è importante sviluppare un quadro rafforzato di misure per affrontare il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, con assegnazione gratuita basata su parametri di riferimento e compensazione dei costi indiretti, nonché un efficace meccanismo di regolamentazione delle importazioni di carbonio al confine».
In pratica, con la carbon tax europea alle frontiere si punta a impedire la concorrenza leale con i produttori stranieri che non hanno vincoli come quelli europei e si tratta di scoraggiare la “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”, un “trucco” attraverso il quale le industrie si trasferiscono in Paesi stranieri dove il vincolo sulle emissioni è più basso.
Eggert conclude: «Eurofer, proprio per guidare questo processo, ha proposto un Green Deal on Steel che dovrebbe diventare il fiore all’occhiello per l’attuazione del più ampio programma di decarbonizzazione. In particolare, il Green Deal on Steel definirà esplicitamente i più ampi aggiornamenti politici che devono essere realizzati per il clima, l’energia, l’ambiente, il commercio e le politiche sociali, nonché l’allocazione degli investimenti necessari per trasformare l’aspirazione in risultati. Eurofer ha già stabilito i parametri di questo potenziale quadro. L’industria siderurgica europea attende con impazienza di collaborare con la Commissione per realizzare con successo questa maggiore ambizione climatica».
Euractiv fa notare che «La questione è comunque molto delicata e si sta cercando di evitare che l’applicazione degli strumenti di difesa commerciale e le misure di protezione dei produttori siderurgici dalla concorrenza sleale non finiscano per penalizzare le industrie a valle, sempre europee, tra cui proprio quella eolica».