Euric, Fead, Unicircular e Assoambiente scrivono alle istituzioni europee

L’Ue sta rivedendo il Regolamento sulla spedizione dei rifiuti, è allarme tra i riciclatori

L'autosufficienza nazionale per l'economia circolare è ancora lontana. «Il ricorso a mercati globali garantisce l’operatività degli impianti e la loro sostenibilità»

[10 Novembre 2021]

La Commissione europea sta lavorando ad una proposta di revisione del Regolamento 1013/2006 sulla spedizione dei rifiuti (Waste shipment regulation – Wsr), attesa per la metà di novembre, che dovrà poi essere sottoposta ai pareri del Consiglio e del Parlamento europeo.

Un passaggio che sta destando la preoccupazione dei gestori rifiuti e riciclatori – sia italiani sia dal resto d’Europa – a causa delle restrizioni in ipotesi al commercio transfrontaliero di rifiuti e materiali di recupero, che potrebbero mettere in crisi i Paesi non attrezzati a chiudere il ciclo entro i propri confini.

Per questo Euric (la Federazione europea delle imprese di riciclo) e Fead (la Federazione europea per la gestione dei rifiuti e dei servizi ambientali), insieme ai loro corrispondenti italiani – ovvero Fise Unicircular e Fise Assoambiente – e circa 300 tra associazioni e imprese dell’industria europea del riciclo dei rifiuti, hanno scritto a Commissione e Parlamento europei per chiedere che venga garantito «un commercio libero, equo e sostenibile delle materie prime provenienti da operazioni di riciclo».

Più nello specifico, come si riporta nelle lettere allegate, le federazioni firmatarie manifestano la loro preoccupazione per «l’introduzione di eventuali restrizioni all’export di rifiuti, sia intra che extra-Ue, senza alcuna distinzione sulla natura e tipologia degli stessi».

Secondo i firmatari delle due lettere va infatti tracciata una netta differenza tra rifiuti misti non selezionati, per i quali «le restrizioni sono comprensibili ed anzi opportune», e materiali che derivano da «operazioni di selezione e trattamento svolte da impianti autorizzati (spesso qualificati come rifiuti all’atto dell’esportazione, sulla base del diritto del Paese di destinazione), per la gestione e la collocazione dei quali il ricorso a mercati globali garantisce l’operatività degli impianti e la loro sostenibilità».

Guardare più in dettaglio ai dati disponibili per l’Italia può essere utile a chiarirei il contesto. L’ultimo report Ispra sui rifiuti speciali documenta – al netto della profonda incertezza che da sempre aleggia sui flussi della più importante frazione di rifiuti generati nel nostro Paese – un import pari a 5,5 mln di ton/anno e un export pari a 3,9 mln di ton anno.

Nel primo caso si tratta essenzialmente (78,4%) di rifiuti metallici, destinati principalmente alle acciaierie localizzate in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia, e dunque in grado di alimentare concretamente le capacità nazionali di riciclo. L’export è invece composto in parte preponderante (64%) da “rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti” e “impianti di trattamento delle acque reflue”, ovvero gli scarti dell’economia circolare che preferiamo non vedere e affidare ad altri Paesi, profumatamente pagati per gestirli al posto nostro.

Questo è il quadro ufficiale, anche se di fatto la situazione è molto più complessa di quanto appare. Da una parte l’Ispra, a causa della «carenza di informazioni derivanti dalle esenzioni previste dalla norma», non dispone di dati puntuali ma solo di stime per quanto riguarda il 47,2% dei rifiuti speciali; dall’altra, l’Ispra documenta “l’avvio a riciclo” dei rifiuti che non sempre collima con l’effettiva re-immisione sul mercato degli stessi, com’è particolarmente evidente nel segmento dei rifiuti da costruzione e demolizione (che da solo occupa il 45,5% di tutti i rifiuti speciali).

Non a caso, nei mesi scorsi, la forte esposizione dell’Italia all’export di rifiuti è stata sottolineata dal già presidente Cispel Toscana Alfredo De Girolamo: «Abbiamo deciso di usare il mercato globale per conferire il 65% dei rifiuti urbani e circa il 70% dei rifiuti speciali in Italia, una montagna fatta di oltre 100 milioni di tonnellate di materiali all’anno. Una decisione che diventa, quindi, per la sua dimensione, una variabile della sicurezza nazionale nella gestione ambientale. Se il mercato nazionale e globale non dovesse rispondere l’Italia rischierebbe emergenze rifiuti drammatiche. Da qui l’urgenza di una strategia nazionale, industriale nei settori del riciclo (carta, vetro, plastica, metalli, legno, organico), ma anche capace di dotare il Paese di una capacità impiantistica e di stoccaggio non solo in grado di garantire il flusso di rifiuti non riciclabili (inclusi gli scarti del riciclo), ma anche di “reggere” eventuali crisi di sistema (il blocco dei mercati esterni o gli effetti di una pandemia)».

Che fare, dunque? Di fronte alla revisione del Regolamento 1013/2006, Euric, Fead, Unicircular e Assoambiente avanzano una proposta in tre punti: «Eventuali restrizioni all’esportazione riguardino solo i flussi di rifiuti “problematici e non trattati”; si sostenga il commercio libero ed equo, intra ed extra-Ue, dei rifiuti trattati e selezionati, essenziale per la competitività dell’industria europea del riciclo; si implementi un quadro legislativo stabile, con uno status adeguato, per i materiali ottenuti dal trattamento dei rifiuti, a cui collegare incentivi per premiare i benefici ambientali dei materiali circolari».

Com’è evidente quest’ultimo punto risulta particolarmente importante per ridurre la necessità di commerciare rifiuti, e mantenere i vantaggi dell’economia circolare all’interno del Paese d’origine. La riforma fiscale che sta compiendo i primi passi nel Governo Draghi potrebbe essere l’ennesima occasione per introdurre incentivi al riciclo, anche se al momento le istituzioni non sembrano in grado di coglierla; per dotare il Paese di un’infrastruttura impiantistica adeguata a gestire tutte le frazioni di rifiuti che generiamo, invece, la speranza è sempre incardinata nel Programma nazionale per la gestione dei rifiuti in fase di redazione – una conseguenza arrivata dal recepimento delle ultime direttive Ue sull’economia circolare –, che dovrà essere pronto entro marzo 2022.