Ad oggi il Rei non dà alcun sostegno a 2,5 milioni di persone
Per cancellare la povertà assoluta in Italia servono altri 4,3 miliardi di euro l’anno
La proposta dell’Alleanza contro la povertà al nuovo governo: «Dovrebbe seguire la logica del “costruire correggendo”» migliorando il Reddito d’inclusione, non ripartendo da zero
[7 Giugno 2018]
In Italia vivono in povertà assoluta 5 milioni di individui, ovvero l’8,3% della popolazione. Un oceano di sofferenza che probabilmente ha contato non poco nel risultato elettorale guadagnato il 4 marzo dal M5S, che con la sua proposta di reddito “di cittadinanza” – si tratta in realtà di un reddito minimo condizionato al rispetto di alcune condizioni, elencate all’interno del “contratto di governo” – ha saputo intercettare la richiesta d’aiuto. Il problema, non da poco, sta ora nel soddisfarla davvero.
L’Alleanza contro la povertà in Italia, nata nel 2013 raggruppando 35 diverse organizzazioni, dopo aver espresso «apprezzamento per gli impegni assunti dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella lotta alle disuguaglianze e alla povertà» fa la sua mossa suggerendo al nuovo esecutivo di proseguire il cammino cominciato con l’introduzione del Reddito d’inclusione (il Rei, anch’esso una forma di reddito minimo), che riprende a sua volta «in ampia parte» il Reddito d’inclusione sociale (Reis) proposto dall’Alleanza stessa.
«Il Rei – argomenta l’Alleanza contro la povertà – è da poco entrato nella sua fase attuativa. Si tratta di una riforma ambiziosa in un settore, quello delle politiche contro la povertà, sinora poco sviluppato in Italia. Non stupisce, dunque, che la sua realizzazione stia risultando piuttosto complessa per i soggetti del welfare locale coinvolti, a partire dai Comuni. È necessario, pertanto, innanzitutto evitare la tentazione della “riforma della riforma”, che porterebbe a dichiarare superato il Rei – insieme all’articolato delle sue disposizioni realizzative che i territori stanno faticosamente attuando – per dar vita ad una nuova misura contro la povertà assoluta. Il sistema di welfare locale, invece, ha bisogno di stabilità per poter costruire adeguate risposte destinate agli indigenti. Il nuovo Governo dovrebbe seguire la logica del “costruire correggendo”».
In che modo? Intervenendo innanzitutto sull’utenza, l’importo, la durata, l’equità distributiva e – soprattutto – sugli stanziamenti del Reddito d’inclusione. Ad oggi il Rei lasciato in eredità dal governo Gentiloni è una riforma monca. A partire dal 1 luglio, quando avverrà il previsto allargamento dell’utenza, avranno diritto di ricevere il Rei – secondo le stime del Governo – circa 2,5 milioni di soggetti, il che significa che appena la metà dei poveri assoluti beneficerebbe del Reddito d’inclusione, e ad oggi «non previsti ampliamenti ulteriori». Per l’Alleanza la prima cosa da fare sarebbe dunque raddoppiare la platea dei beneficiari. Inoltre, l’assegno dovrebbe essere marcatamente più robusto, in quanto con l’attuale valore monetario il Rei non consente alle famiglie interessate di uscire dalla condizione di povertà: «Mentre l’importo medio mensile stimato (il riferimento è qui alla misura oggi definitiva, ovvero quella che sarà in vigore dal 1 luglio, ndr) ammonta a 210 euro, secondo i nostri calcoli deve salire a 400; si tratta, ad esempio, nel caso di un single, di passare da 150 a 316 euro mensili, e, per una famiglia di quattro persone, da 263 a 454 euro». Anche «la prevista interruzione per 6 mesi della possibilità di ricevere il Rei, dopo i primi 18 di fruizione, è da abolire». Infine, il diritto a ricevere il Reddito d’inclusione dovrebbe naturalmente «essere garantito – per ogni gruppo di popolazione – in maniera corrispondente alla presenza della povertà assoluta», mentre ad oggi «in alcuni segmenti di popolazione hanno diritto al Rei meno persone di quelle, in povertà assoluta, che dovrebbero rientrare nel suo target».
Per realizzare gli interventi elencati serve a regime – secondo una stima dell’Alleanza condivisa dai principali centri di ricerca – un «investimento pubblico annuo intorno ai 7 miliardi di euro, a carico dello Stato», a fronte dei 17 miliardi di euro stimati dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano per il reddito e la pensione “di cittadinanza” presenti nel “patto di governo”.
Dato che finora sono stati resi disponibili per il Rei appena «2.059 milioni nel 2018, 2.545 nel 2019 e 2.745 a partire dal 2020», questo significherebbe arrivare «ad una dotazione aggiuntiva di circa 4,3 miliardi annui».
«Si può giungere al risultato gradualmente, in due o tre annualità. È cruciale, però – argomentano dall’Alleanza – che nella prossima legge di Bilancio vengano assunti precisi impegni riguardanti il punto di arrivo e le tappe intermedie, stanziando le risorse necessarie nella loro interezza. Bisognerà indicare qui, in altre parole, quale annualità corrisponde al primo anno del Rei completo a regime, sia essa il 2020 o il 2021, specificare i passi in avanti previsti in ogni annualità intermedia, a partire da quelli riguardanti l’ampliamento dell’utenza e l’incremento degli importi dei contributi erogati, e prevedere il progressivo incremento delle risorse dedicate».
L. A.