Per il premio Nobel Joseph Stiglitz la disuguaglianza è una scelta politica, anche in Italia
Nel nostro Paese in 40 anni il reddito medio dell’1% più ricco è passato da 150mila a oltre 250mila euro l’anno. Per il 90% più povero invece è rimasto pressoché stabile
[19 Maggio 2017]
L’inadeguatezza con la quale classe politica e (dunque) Stato italiano stanno affrontando la crescente disuguaglianza economica palpabile tra i cittadini residenti entro gli stessi confini è tornata alla ribalta a seguito dei dati pubblicato dall’Istat, all’interno del proprio 25esimo rapporto annuale.
Dall’analisi dei dati risulta che, sebbene l’aumento della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi sia stato un fenomeno comune a gran parte dell’Unione europea negli ultimi anni di crisi, lo Stato italiano si è dimostrato il peggiore nell’impiegare i propri strumenti redistributivi. Sarebbe potuto andare diversamente? Per rispondere in modo più adeguato è utile assumere una prospettiva più ampia. Ne offre l’occasione il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, recentemente intervenuto sul tema “Inequality and Rents” presso la facoltà di Economia dell’Università La Sapienza: a fornirne un dettagliato resoconto sono le economiste Alessandra Cataldi ed Eleonora Romano, per conto di eticaeconomia.
«La questione affrontata nella lezione – esordiscono le economiste – è se le crescenti disuguaglianze dei redditi che si osservano negli Stati Uniti e in Europa (anche se in modo meno accentuato) siano il frutto di “leggi economiche naturali” o, piuttosto, di deliberate scelte di politica economica che hanno favorito l’accumularsi di rendite ingiustificate. Come vedremo, la risposta di Stiglitz è che le crescenti disuguaglianze originano dal modo in cui sono state definite le regole del gioco e la struttura dei mercati. La questione va affrontata sia per i suoi risvolti sociali e morali, sia perché le disuguaglianze comportano performance economiche peggiori».
A partire dagli anni ’70 del secolo scorso sia negli Usa sia in Europa (anche se in modo meno accentuato) la «dinamica dei redditi del 90% meno ricco della popolazione è rimasta sostanzialmente stagnante, mentre i redditi dell’1% più ricco» sono cresciuti in modo più che considerevole. Nel caso italiano, come si evidenzia nel grafico a fianco, passando cioè in meno di quarant’anni dai 150mila agli oltre 250mila euro di reddito medio (a parità di potere d’acquisto). La stragrande maggioranza della popolazione italiana invece – il 90% più povero – ha visto il suo reddito medio galleggiare in modo sostanzialmente stabile attorno ai 25mila euro l’anno. Da notare «la disuguaglianza dei redditi non implica solo ingiustificate sperequazioni di reddito, ma si traduce anche in disuguaglianze di opportunità».
«La spiegazione proposta da Stiglitz delle crescenti disuguaglianze – continuano le economiste – fa capo al processo di “riscrittura delle regole del gioco”, iniziata tra gli anni ’70 e ’80, che ha consentito la creazione di rendite. In generale, abbiamo assistito ad una “finanziarizzazione dell’economia”, a una cattiva gestione della globalizzazione e a una riduzione della concorrenza. Conseguenze rilevanti si sono quindi avute in termini di instabilità finanziaria ed economica e maggiore concentrazione delle risorse economiche. Una delle forme più evidenti di rendita creatasi in questo processo ha riguardato le grandi corporations, nelle quali il top management ha sfruttato il proprio potere per accaparrarsi vantaggi, spesso in nome di retribuzioni incentivanti che hanno sottratto risorse agli investimenti. Al contempo, le modifiche dei sistemi fiscali e la deregolamentazione dei mercati hanno portato benefici soltanto ad una esigua minoranza, accrescendo le disuguaglianze e rallentando la crescita. In termini di coesione sociale, l’inasprirsi delle disuguaglianze ha condotto alla perdita di fiducia nelle istituzioni, nel sistema economico e politico».
C’è però una possibile lettura positiva di dati altrimenti drammatici. «Il messaggio della lezione di Stiglitz è che la disuguaglianza attuale è una scelta – concludono le economiste – volontariamente perseguita attraverso i sistemi politici ed economici. Di conseguenza, possiamo affrancarci da tale scelta soltanto ripensando le regole del gioco, considerando non solo politiche redistributive ma anche strategie di pre-distribution, fondate su interventi che prevengano ex ante il formarsi di disuguaglianze sui mercati, in una visione di insieme che concepisca il benessere oltre il Pil e consenta di innovare profondamente le istituzioni che regolano economia e società».
L. A.