Price cap o disaccoppiamento? La soluzione alla crisi energetica passa dalle rinnovabili

von der Leyen: «Ogni chilowattora di elettricità che l'Europa genera da energia solare, eolica, idroelettrica, da biomasse dal geotermico o dall'idrogeno verde ci rende meno dipendenti dal gas russo»

[30 Agosto 2022]

Per dare un’idea di quanto la speculazione pesi sul mercato del gas, più che l’effettiva disponibilità di materia prima, basti osservare perché il prezzo è appena calato del 20% da un giorno all’altro. È bastato l’effetto annuncio di un possibile accordo europeo su un price cap (tetto al prezzo) e sul disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità, oggi fortemente legati.

Intervenendo ieri a Bled, Ursula von der Leyen ha ribadito come l’unica soluzione strutturale alla crisi energetica in corso passi per le rinnovabili. «Ogni chilowattora di elettricità che l’Europa genera da energia solare, eolica, idroelettrica, da biomasse dal geotermico o dall’idrogeno verde ci rende meno dipendenti dal gas russo – ha spiegato la presidente della Commissione Ue – Oggi il prezzo dell’energia solare ed eolica è più conveniente dei combustibili fossili inquinanti». Perché questa differenza si noti in bolletta, però, è necessario che cambi il funzionamento del mercato elettrico.

Ad oggi circa il 50% dell’elettricità (e il 40% di tutta l’energia) che serve all’Italia è prodotta bruciando gas. Che importiamo per oltre il 90%, in quanto le riserve italiane sono molto ridotte: immaginando di attingere a piene mani da quelle certe copriremmo i consumi nazionali per 7 mesi, e aggiungendo anche quelle probabili e possibili avremmo 11 mesi in più.

In ogni caso, che il gas sia estratto sul territorio italiano o meno, il prezzo – in attesa del socialismo reale – lo fa il mercato. Quello olandese per la precisione, attraverso il Title transfer facility (Ttf): è il punto di scambio virtuale che fa da riferimento per il prezzo del gas in tutta Europa. Qui i contratti scambiati sono prevalentemente futures, per consegne (virtuali) di gas che avverranno dopo un tot di tempo, al prezzo fissato; se nel mentre il prezzo del gas sale, però, lo speculatore può rivendere sul mercato secondario e passare all’incasso.

Da qui la corsa dei prezzi, che è iniziata ben prima dell’invasione russa in Ucraina, affondando le radici nei colli di bottiglia che si sono creati dopo la rapida ripresa delle attività economiche a valle dello stop determinato dalla prima fase della pandemia. Un contesto oggi esacerbato non solo dalla guerra, ma appunto dalla speculazione e dalla struttura stessa dei mercati europei.

Guardiamo infatti al caso italiano. Il Prezzo unico nazionale (Pun) dell’energia elettrica, che fa da prezzo di riferimento per il costo delle bollette, si forma sul Mercato del giorno prima (Mgp) della Borsa elettrica, che a sua volta funziona secondo il criterio del prezzo marginale.

Individuate le necessità della domanda elettrica per un determinato giorno, ogni produttore indica quanta elettricità può offrire, ed entrano nel pacchetto le offerte più economiche necessarie per arrivare a coprire la domanda. Il nodo del problema sta nel fatto che tutti gli impianti vengono però remunerati al prezzo dell’impianto più costoso tra quello selezionati nel Mgp. Nel caso italiano, l’impianto più costoso è in genere alimentato a gas.

In questo modo, il prezzo del gas formatosi sul Ttf olandese arriva a cascata a influenzare le bollette elettriche italiane. Oltre a quello delle bollette del gas, naturalmente. Anche per queste ultime, infatti, il prezzo di riferimento della materia prima è quello che si forma sul Ttf.

Le cose cambieranno tra un mese, ma non di molto. L’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) ha stabilito che dal 1 ottobre le tariffe del mercato tutelato del gas – che ad oggi riguardano circa un terzo delle utenze domestiche – non avranno più come riferimento il Ttf, ma il suo analogo italiano (l’indice Psv, che sta per Punto di scambio virtuale). L’andamento del Psv però non si distanzia granché da quello del Ttf, in quanto di fatto resta quest’ultimo l’indice di riferimento per tutto il mercato europeo.

Come se ne esce, dunque? Al netto delle difficoltà tecniche legate alla possibile introduzione di un tetto al prezzo del gas, il cap potrebbe sì far scendere il prezzo delle bollette, ma l’impatto sulle casse pubbliche potrebbe essere altrettanto elevato. La differenza tra il massimale di prezzo e il prezzo di mercato graverebbe infatti sullo Stato, che a sua volta potrebbe però tutelarsi tramite nuove tasse, che siano sugli extraprofitti delle compagnie energetiche sia sulla ricchezza finanziaria degli italiani (stimata in 5.256 miliardi di euro), caratterizzata da crescenti livelli di disuguaglianza.

Un intervento di disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità potrebbe invece far emergere con maggiore chiarezza l’economicità delle fonti rinnovabili: una volta ammortizzati gli impianti industriali necessari per catturarle, nel loro caso la materia prima è gratis.

In questo modo acquistare elettricità prodotta (solo) da fonti rinnovabili sarebbe molto economico, mentre l’elettricità da fonti fossili sarebbe molto costosa. In realtà esistono già dei meccanismi utili per intraprendere questa strada: i Ppa (Power purchase agreement, ovvero contratti a lungo termine per l’acquisto di energia rinnovabile) e le aste per l’acquisto dell’elettricità, gestite dal Gse.

Peccato però che entrambi questi meccanismi stiano marciando col freno a mano tirato a causa della carenza d’impianti rinnovabili presenti sul territorio. Le richieste d’installazione non mancano, ma gli impianti non vengono autorizzati: per rispettare la tabella di marcia europea indicata dal RePowerEu dovremmo installare circa 10 GW di nuovi impianti l’anno, mentre nei primi 4 mesi di quest’anno ci siamo fermati a 0,64 GW. Così a rimetterci in un colpo solo sono sia il clima sia le tasche dei cittadini.