Il settore acqua in Italia è ancora un colabrodo

5 miliardi di euro l'anno gli investimenti necessari per le infrastrutture idriche, circa un quarto quelli effettivamente pianificati (la metà concentrati in 3 regioni)

[18 Luglio 2016]

L’acqua e la sua intelligente (prima ancora che sostenibile) gestione è ancora un tasto bollente per la seconda potenza manifatturiera d’Europa. In media, in Italia le perdite nelle reti sono stimate tra il 30-40%, gli acquedotti e le reti fognarie soffrono di vecchiaia, il 24% delle condotte e il 27% della rete fognaria ha più di 50 anni, ed ancora esiste un 8% di condotte in cemento amianto, meno della metà degli impianti di depurazione (45%) assicura un trattamento dei reflui almeno secondario e sul fronte qualità, il 2,2% dei campioni è risultato fuori norma con un 9% sulle isole.

Sono questi alcuni dati emersi durante il seminario “I servizi idrici e la sfida della green economy: opportunità e difficoltà nella governance del servizio idrico in Italia”, organizzato dal Consiglio nazionale della green economy (in preparazione degli Stati generali 2016 in programma a Rimini dall’8 al 9 novembre). È stata la (nuova) occasione per affrontare in un sol colpo le novità avviate sul fronte della governance istituzionale dei servizi idrici in Italia, dell’impatto del referendum sull’acqua e per discutere delle opportunità e delle difficoltà legate allo sviluppo del settore in linea con i principi della green economy.

A partire dal settore agricolo, di fondamentale importanza per la gestione idrica in un Paese come il nostro dove il 70% dell’acqua prelevata serve per l’agricoltura; anche la nuova Pac (Politica agricola comunitaria) promuove un uso sostenibile delle risorse idriche, in linea con i principi economici e ambientali contenuti della Direttiva quadro in materia di acque. Durante il seminario si è affrontato il tema presentando alcune proposte operative volte a favorire l’uso sostenibile delle risorse idriche in agricoltura: dalla necessità di individuare nei Piani di gestione dei distretti idrografici lo stato quantitativo dei corpi d’acqua superficiali e sotterranei all’assicurare che alla tariffazione si affianchino sistemi complementari, come ad esempio la promozione di pratiche e di strumenti volti al risparmio idrico; dalla riduzione delle perdite nella distribuzione a interventi sulla contribuzione degli utenti dei Consorzi di Bonifica, sistema ancora molto squilibrato, tanto che ad esempio sulla contribuzione totale, da dati Anbi, risulta che il settentrione partecipa per il 72%, il Centro per il 3% e il meridione per il 25%.

Per quanto riguarda invece le novità normative, durante il seminario si è ricordato come di recente la Camera dei deputati abbia esaminato un disegno di legge di iniziativa parlamentare del 2014 (che riprendeva una proposta di legge popolare del 2007 e del referendum del 2011 ) che si proponeva tra i suoi obbiettivi di sancire il riconoscimento del diritto all’acqua come diritto umano universale da garantire ad ogni cittadino stabilendo una quantità minima garantita a carico della fiscalità generale; tutelare il patrimonio idrico come bene comune pubblico inalienabile, a protezione delle future generazioni ; classificare il servizio idrico integrato come servizio pubblico locale di interesse generale, non di rilevanza economica; identificare alcune fonti di finanziamento a sostegno dei processi di ripubblicizzazione.

«La green economy – ha osservato Gianni Squitieri, membro del gruppo di lavoro Risorse idriche del Consiglio generale della Green economy – qualsiasi siano le sensibilità e le posizioni in gioco, appare come l’unica via di uscita per questo settore». Nel documento discusso nel corso del seminario è stato sottolineato come alcune azioni di notevole utilità ai fini di una gestione sostenibile della risorsa idrica siano in forte ritardo, soprattutto in alcune aree del paese, in particolare gli interventi per il contenimento delle perdite negli acquedotti e per l’abbattimento dell’evasione ed elusione della tariffa.

Per quanto riguarda invece gli investimenti necessari per “aggiornare” le infrastrutture idriche nazionali, che sono stati stimati in oltre 5 miliardi di euro l’anno, l’Authority nella sua ultima relazione sottolinea che nel periodo 2014-2017 gli investimenti pianificati sono stati pari a circa 5,8 miliardi, più della metà concentrati in 3 regioni, Lombardia, Lazio e Toscana; eppure investire nel settore dell’acqua potrebbe avere non solo fare bene all’ambiente, ma anche servire da volano per l’occupazione. Secondo l’Onu, infatti, la forza lavoro impegnata nel settore idrico in Europa è di ben 600.000 unità e negli Usa ciascun posto di lavoro creato a livello locale nel settore idrico comporta la creazione di 3,68 posti di lavoro indiretti nell’economia nazionale.

«Per garantire insieme alla tutela di questo bene comune di fondamentale interesse pubblico insieme alla disponibilità di acqua in quantità e qualità sufficiente per soddisfare le esigenze dei cittadini e degli utilizzi nei settori produttivi – ha commentato il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Edo Ronchi – è necessario mettere in atto un sistema di azioni e strumenti realmente efficaci di tutela e utilizzi sostenibili di questa risorsa con investimenti adeguati e un quadro normativo coerente che potranno permettere di avviare il settore sulla strada della green economy. Un settore che già sta affrontando e dovrà affrontare ancora di più nei prossimi anni gli effetti dei cambiamenti climatici».