Il comitato promotore accusa il sindaco, che risponde
Si ferma la raccolta firme per il referendum contro l’inceneritore di Livorno
Difetti formali portano a bloccare l’iniziativa, non la generazione di rifiuti che continua ogni giorno da parte di cittadini e imprese: come la gestiamo?
[4 Giugno 2021]
A Livorno l’ennesima “rivoluzione” sull’impiantistica per la gestione dei rifiuti che generiamo ogni giorno, e in particolare sul futuro dell’inceneritore cittadino, è deragliata prima di iniziare: la raccolta firme per l’annunciato quanto controverso referendum contro l’inceneritore si ferma, come annunciato direttamente dal comitato promotore e poi indirettamente confermato dal sindaco Luca Salvetti.
Un’iniziativa, a quanto pare, franata su sé stessa a causa di difetti di forma – con annessi rimpalli di responsabilità. Nello specifico dal comitato «lamentavano di aver ricevuto i moduli per la raccolta senza numerazione dei fogli», spiega il sindaco, e l’indisponibilità dei consiglieri comunali ad autenticare le firme. Entrambe problematiche per le quali dal comitato più volti si sono rivolti al sindaco, che però rimanda le accuse al mittente.
«Esprimo sorpresa per la decisione del Comitato “Oltre l’inceneritore” di sospendere la raccolta di firme per il referendum ma soprattutto per il contenuto del loro comunicato in cui si imputa la loro scelta ad una mancata risposta del Sindaco a loro comunicazioni – dichiara Salvetti – Sorprende anche il riferimento al fatto che si dica che io avrei garantito al Comitato dei nominativi di consiglieri del Pd disponibili per l’autentica delle firme, cosa che un sindaco non potrebbe mai fare».
Dal comitato parlano invece di «una grossa sconfitta per la democrazia a Livorno», accusando direttamente il sindaco: «Lei non ha finora obiettato né circa la difformità dei moduli consegnatici dal Segretario generale per la raccolta delle firme rispetto al Regolamento del 4 aprile 2019 (difformità per la quale chiedevamo di ripartire da zero o almeno una rettifica e una sanatoria), né circa la dipendenza del Comune di Livorno dalla maggioranza del 60% di Retiambiente attuatrice di politiche fiorentinocentriche in materia di impianti per il trattamento dei rifiuti nella zona di Livorno. Abbiamo constatato bene durante gli incontri con lei ed alcuni suoi collaboratori la sua personale propensione a favore del superamento della tecnica di incenerimento sia riguardo l’attuale impianto livornese sia riguardo il progetto Eni a Stagno, (a pochi metri dal Comune) denominato falsamente bioraffineria (è comunque un inceneritore). Tuttavia, è un fatto amaro prendere atto che non è seguita la reazione alla difformità dei moduli».
Al di là delle beghe formali, sono questi gli unici accenni rimasti a temi di politica industriale: la certezza Retiambiente e l’ipotesi bioraffineria, entrambi presentati però in modo paradossale.
Il Comune di Livorno sta infatti per entrare nel gestore unico dell’Ato Toscana costa (che niente ha a che vedere con l’Ato Toscana centro dove gravita Firenze, com’è evidente, e dove il gestore unico è Alia) con il 40% delle quote societarie, diventando il Comune con la maggioranza relativa in un Ambito dove sono presenti un centinaio di Amministrazioni. Livorno avrà dunque un ruolo di primaria importanza nella definizione delle politiche d’area – per quelle autarchiche non c’è più spazio da anni –, eppure si parla di «dipendenza del Comune di Livorno dalla maggioranza del 60%».
Poi c’è il progetto della bioraffineria, quello sì nato in ottica fiorentinocentrica con l’accordo siglato tra Regione, Alia ed Eni e presentato due anni fa, ma poi morto e sepolto nonostante le aperture all’approfondimento arrivate dal mondo sindacale come da quello ambientalista (con Legambiente e Cgil). ù
Il grande difetto allora fu presentare un progetto che sembrava pensato per rispondere alle esigenze dell’Ato centro più che di quello costiero, nonostante anche quest’ultimo abbia difficoltà a gestire i propri rifiuti non riciclabili, e che soprattutto ne avrà molte di più non appena chiuderà l’inceneritore (operazione già prevista per il 2023) come mostra proprio il piano industriale Retiambiente.
Resta dunque immutata l’impellente necessità di trovare una risposta sostenibile e di prossimità per la gestione di questi flussi, e una bioraffineria tarata sulle esigenze dell’Ato costa sarebbe un’opzione da valutare nel dettaglio per tenere insieme lavoro – come mostra da ultimo la riconversione della raffineria francese di Grandpuits, non a caso con tecnologia italiana – e ambiente. Su quanto sia percorribile una simile ipotesi però non è dato sapere, perché del progetto non si parla più da tempo in termini di politiche industriali. Resta in piedi solo il dibattito su inceneritori e referendum, ma non basta dire no ad un impianto perché spariscano anche i rifiuti, che restano da gestire.