Una carbon tax per il governo giallo-rosso

Una tassa sulle emissioni di CO2 darebbe il senso del cambiamento, 8 miliardi di euro da poter re-investire sullo sviluppo sostenibile e spingerebbe l’efficienza energetica. Perché non provarci?

[28 Agosto 2019]

Dopo giorni di schizofreniche trattative tra M5S e Pd sembra ormai alle porte la nascita del primo governo giallo-rosso, dove il verde finora rappresentato dalla Lega di Matteo Salvini dovrà cambiare significato: per cambiare marcia rispetto al governo giallo-verde che ha nutrito 14 mesi carichi di risentimento – non a caso aveva lo stesso colore della bile – il nuovo esecutivo avrà successo se punterà su uno sviluppo sostenibile e (dunque) inclusivo. Un obiettivo per il quale urgono programmi e risorse adeguate. Da dove iniziare? Pochi provvedimenti darebbero rapidamente il senso del cambiamento come l’introduzione di una carbon tax ben congeniata, auspicata da tempo da più parti ma mai realizzata.

La ricerca Induced Energy-Saving Efficiency Improvements Amplify Effectiveness of Climate Change Mitigation, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Joule da un team internazionale di ricerca, offre un motivo in più per suggerire l’introduzione di una carbon tax: una tassa sulle emissioni di carbonio contribuirebbe a promuovere l’innovazione e un uso più efficiente dell’energia, con una conseguente riduzione dei costi.

«È stato a lungo teorizzato che l’aumento dei prezzi del carbonio fornirebbe un incentivo per ridurre le emissioni attraverso miglioramenti dell’efficienza energetica – spiega il principale autore della ricerca, Rong Wang – Quindi abbiamo guardato alla storia per determinare in che modo gli aumenti dei costi hanno influito in passato sull’efficienza nell’uso dell’energia», per poi chiedersi cosa accadrebbe se queste relazioni storiche tra costi energetici e miglioramenti dell’efficienza continuassero nel futuro: dato che un aumento dell’1% della quota dei costi energetici ha migliorato l’efficienza energetica dell’1,2% in un arco di 20 anni – un guadagno più significativo rispetto a quanto finora stimato –, dare un prezzo al carbonio potrebbe permetterci di risparmiare il 30% dell’energia entro il 2120. «Una carbon tax induce miglioramenti nell’uso e nel risparmio di energia – concludono i ricercatori – e potrebbe quindi essere uno strumento di mitigazione più efficace di quanto precedentemente riconosciuto».

Nel caso italiano, dove mantenere un orizzonte lungo al 2120 è attualmente fantapolitica, più prosaicamente l’introduzione di una carbon tax potrebbe portare da subito anche risorse fresche da investire per lo sviluppo sostenibile del Paese: recentemente l’ex ministro dell’Ambiente e presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Edo Ronchi, ha stimato che «applicando una carbon tax, inizialmente bassa, anche ai settori non regolati dal sistema Ets europeo – che riguarda i grandi impianti, grandi emettitori di CO2 che oggi pagano circa 28 euro a tonnellata per la CO2 che emettono – anche agli altri settori non regolati da tale sistema, avremmo un’entrata aggiuntiva di circa 8 miliardi» di euro l’anno.

Funzionerebbe davvero? Quel che è certo è che la carbon tax ha già case history d’eccellenza da poter vantare, come quello della Svezia: nel Paese scandinavo dall’introduzione della carbon tax negli anni ’90 il Pil è cresciuto del 58% mentre le emissioni di gas serra sono calate del 23%, tanche che adesso la Svezia ha già approvato una legge che impegna la nazione a divenire carbon neutral entro il 2045. Una strada che potrebbe percorrere anche l’Italia se solo lo volesse, badando però bene a non fare l’errore compiuto dalla Francia che ha innescato le proteste dei Gilet gialli: le tasse verdi – così come l’Iva – tendono ad essere regressive, ovvero gravano più sui redditi bassi di quelli alti, e per renderle sia eque che socialmente accettabili è necessario prevedere interventi correttivi o destinazioni del gettito adeguate (ad esempio a favore di interventi contro la povertà).