A Roma il convegno Fit-Cisl, con la partecipazione tra gli altri di Assoambiente e Utilitalia
Una Strategia nazionale sui rifiuti per dare gambe all’economia circolare
Perrotta: il settore oggi si trova ad affrontare «un quadro normativo farraginoso quanto lacunoso e un clima ostile nell’opinione pubblica, cavalcato da decisori politici Nimby»
[17 Aprile 2019]
La mancanza di una politica industriale coerente in fatto di economia circolare sta producendo un amaro paradosso nel nostro Paese: proprio mentre si invoca a gran voce un modello di sviluppo più sostenibile, in concreto sono molto pochi i progressi effettivamente conseguiti sia sul piano della sostenibilità ambientale sia su quello occupazionale. Temi che sono stati entrambi affrontati con profondità all’interno del convegno La gestione del sistema dei rifiuti tra complessità e sfide future organizzato oggi a Roma dalla Fit-Cisl, che ha visto la partecipazione tra gli altri di Assoambiente e Utilitalia come rappresentanti delle imprese di settore.
«Il tema dell’economia circolare è ancora poco affrontato in modo organico. Chiediamo al Governo di fare di più per questo settore – argomenta Salvatore Pellecchia, segretario generale della Fit-Cisl – Secondo il consorzio Conai sviluppare l’economia circolare in italia può portare quasi 600mila nuovi posti di lavoro, un fatturato di 88 miliardi di euro e un valore aggiunto di 22 miliardi. Bisogna sottolineare anche il fatto che l’Italia può trarre più guadagno dall’economia circolare rispetto ad altri Stati, se consideriamo che siamo un Paese trasformatore ma con poche materie prime».
Come concretizzare questo potenziale? Il vicepresidente di Utilitalia Filippo Brandolini evidenzia in primis la necessità di una «Strategia nazionale sui rifiuti, che individui fabbisogni e capacità», nel settore; una prospettiva condivisa anche da Assoambiente, con il segretario Elisabetta Perrotta che sottolinea come «l’ambiente non è tema di campagna elettorale ma di sviluppo industriale. Paesi considerati virtuosi come Germania, Olanda e Svezia hanno fatto scelte industriali idonee per loro territorio», una modalità di gestione ancora molto carente nel nostro Paese, dove emergono ancora due principali problemi: «Un quadro normativo farraginoso quanto lacunoso e un clima ostile nell’opinione pubblica, cavalcato da decisori politici Nimby». Da questo punto di vista non è facile comunicare – e al proposito il ruolo esercitato dai media è fondamentale – come economia circolare significhi la presenza sul territorio di «impianti di riciclo e impianti per la chiusura del ciclo (recupero di energia e conferimento in discarica) per quei rifiuti che non sono riciclabili e per gli scarti del riciclo: il riciclo al 100% non esiste per tutte le filiere. Non è più tempo per gli slogan – conclude Perrotta – è necessario un approccio pragmatico e programmatico. Tutto il sistema va ripensato, da produzione a gestione rifiuti, passando per il consumo».
Anche tra i punti fondanti indicati dalla Fit-Cisl c’è «un piano nazionale per la gestione dei rifiuti, da stilarsi il prima possibile», oltre ad aspetti «più sindacali e il discorso contrattuale. La Fit-Cisl – precisa Pellecchia – è per il contratto unico di settore e per mettere clausole ristrette in materia di appalti e subappalti, perché secondo noi si può appaltare ma garantendo la clausola sociale e quella contrattuale. L’ultimo punto riguarda la normativa sugli scioperi. La maggior parte di questo tipo di proteste nei servizi ambientali riguarda gli stipendi non pagati. Ad oggi le norme colpiscono soprattutto le lavoratrici e i lavoratori, ma non chi li mette in condizioni di protestare non pagando gli stipendi. Un sistema sano esige che anche le aziende siano sanzionate dalla Commissione di garanzia se, con i loro comportamenti scorretti, causano le proteste dei lavoratori».
L. A.