Unctad: la crescita economica mondiale minacciata dal Coronavirus
L’Onu avverte: sarà una crisi costosa, un deficit di 2 trilioni di dollari nel reddito globale. L'Unctad: politiche pubbliche coordinate e coraggiose per prevenire un tracollo economico globale
[10 Marzo 2020]
Secondo l’United Nations conference on trade and devlopment (Unctad) «La crisi sanitaria provocata dall’epidemia di Coronavirus COVI-19 nel mondo potrebbe avere gravi ripercussioni economiche, con una mancanza di guadagni mondiali che arriva a 2 trilioni (2.000 miliardi) di dollari, dei quali 220 miliardi per i Paesi in via di sviluppo».
Si tratta di uno degli scenari più pessimistici – ma che purtroppo s diventano di ora in ora più realistici – presentato dall’Unctad nel suo report “The coronavirus shock: a story of another global crisis foretold – And what policymakers should be doing about it”, secondo il quale «la propagazione del Coronavirus è prima di tutto certamente un’emergenza sanitaria pubblica, ma è anche una minaccia economica importante. Lo shock del cosiddetto COVID-19 provocherà quest’anno una recessione in alcuni Psesi e farà calare la crescita annuale mondiale al di sotto del 2,5%, la soglia della recessione dell’economia mondiale». Tra le cause il report individua la perdita di fiducia dei consumatori e degli investitori che sono dei «segnali più immediati della propagazione del contagio», Ma l’Unctad avverte che «Tuttavia, una combinazione di deflazione dei prezzi degli asset, domanda aggregata più debole, maggiore sofferenza del debito e un peggioramento della distribuzione del reddito potrebbe innescare una spirale al ribasso ancora più viziosa. Non si può escludere che un’insolvenza diffusa e forse un altro “Minsky moment”, un improvviso, grande crollo dei valori degli asset, che segnerebbe la fine della fase di questo ciclo di crescita».
Secondo le previsioni preliminari dell’Unctad, ad essere più colpiti saranno i Paesi esportatori di petrolio (e qualche segno si vede già nella guerra commerciale petrolifera tra Russia ed Arabia Saudita), ma sono a rischio anche gli altri Paesi esportatori di materie prime che rischiano di perdere più dell’1% di crescita, e i Paesi che hanno forti legami commerciali con le economie che verranno colpite per prime.
Per questo l’Unctad ricorda che «La crisi finanziaria asiatica della fine degli anni ’90 presenta dei parallelismi con la situazione attuale», con la differenza che quelle crisi si produsse prima che «la Cina desse alla regione un’impronta economica mondiale molto più importante e quando le economie avanzate erano abbastanza in buona salute economica. Questo oggi non è più il caso».
Il report ipotizza che si possano avere dei rallentamenti nella crescita tra lo 0,9 e lo 0,7% in Paesi come il Canada e il Messico e in America Centrale, tutti Paesi «profondamente inseriti nelle catene di valore mondiali», nell’Asia orientale e meridionale e nei Paesi in emergenza dell’Unione europea (quindi anche l’Italia).
Richard Kozul-Wright, direttore delle strategie di globalizzazione e sviluppo dell’Unctad, sottolinea che anche questa crisi «Nessuno l’ha vista arrivare, ma fa parte di una storia più grande di un decennio di debiti, illusioni e deriva politica».
La Crisi COVID-19 arrivo proprio mentre «I livelli di debito aggregato pubblico e privato in molti Paesi in via di sviluppo sono già a livelli elevati e, in alcuni casi, acuti, di sofferenza – avverte Kozul-Wright – “Mentre il recente boom del debito societario, in gran parte di bassa qualità creditizia, rappresenta il pericolo più immediato nelle economie avanzate, i Paesi in via di sviluppo si trovano ad affrontare una serie di vulnerabilità finanziarie e del debito in rapido approfondimento che non promettono bene per la loro capacità di resistere a un altro shock esterno. Anche la Cina è diventata una fonte cruciale di prestiti a lungo termine per i Paesi in via di sviluppo e se le sue condizioni di prestito si restringono con il rallentamento economico, i Paesi con i più forti legami finanziari con la Cina potrebbero essere tra i più lenti a riprendersi dall’impatto economico della crisi COVID-19».
Dall’Argentina, al Mozambico, dal Libano al Pakistan… Paesi in via di sviluppo che appartengono a diverse categorie di reddito e presentano caratteristiche strutturali molto diverse sono alle prese con quello che l’Unctad definisce «un fardello del debito insostenibile» e il Fondo monetario internazionale dice circa la metà dei Paesi più poveri che fanno parte del suo Poverty Reduction and Growth Facility (PRGF) presentano un rischio elevato di sovra-indebitamento estero o erano già in questa condizione alla fine del 2019. L’Unctad precisa che nel 2018 «Il debito totale dei Paesi in via di sviluppo – privato, pubblico, interno ed estero – ha raggiunto il 191% del loro PIL combinato, cioè il livello più elevato mai registrato».
I dati Unctad su 117 Paesi in via di sviluppo mostrano che «Circa un quinto di queste economie sono molto vulnerabili agli impatti diretti dello shock COVID-19 a causa di una combinazione di deterioramento della sostenibilità del debito con una forte esposizione delle loro economie al commercio e a delle relazioni economiche più ampie con la Cina». Si tratta in particolare di Mongolia, Angola, Gabon, Filippine, Mozambico, Vietnam, Cambogia e Zambia. Secondo l’Agenzia Onu, «Queste economie in via di sviluppo sono strettamente legate all’economia cinese dalla loro partecipazione alle catene di valore mondiali gestite dalla Cina e dipendono anche dalle esportazioni di materie prime verso la Cina».
Inoltre, Pechino è diventata una importante fonte di finanziamento per i Paesi in via di sviluppo: i prestiti della Cina alle economie di mercato e alle economie emergenti si sono moltiplicati per 10, passando dai 40 miliardi di dollari nel 2008 ai 400 miliardi di dollari nel 2017. L’Unctad fa notare che «Per dei Paesi come lo Zambia, la Mongolia, l’Ecuador, il Venezuela, l’Angola, il Kenya, il Pakistan, lo Sri Lanka, la Bolivia e la Jamaica, la Cina è ormai il principale finanziatore ufficiale» e, in queste condizioni, stima che con i cordoni della borsa cinese che si chiuderanno a causa del rallentamento economico, i Paesi che hanno legami finanziari più forti con la Cina potrebbero faticare molto a rimettersi dall’impatto economico della crisi del COVID-19.
Kozul-Wright ricorda che «A settembre, tenuto conto delle fragilità finanziarie restate senza risposta dalla crisi finanziaria del 2008 e della debolezza persistente della domanda, scrutavamo ansiosi l’orizzonte alla ricerca di eventuali shock», ma nessuno pensava che si materializzasse in un virus. Di fronte a questo inquietante scenario, l’Unctad è convinto che da sole le banche centrali non saranno in grado di risolvere questa crisi e per questo chiede «Una risposta appropriata di politica macro-economica che necessiterà di spese di bilancio aggressive con degli investimenti pubblici importanti, compreso nell’economia di cura e nel sostegno sociale mirato per i lavoratori, le imprese e le comunità colpite. Sarà necessario un coordinamento internazionale di questi programmi».
L’agenzia Onu avverte ancora che «Da questo punto di vista, se l’epidemia sarà di breve durata, un mix familiare di politiche monetarie accomodanti (idealmente limitate e delle riduzioni dei tassi della banca centrale ma comprendenti eventualmente delle misure molto meno ortodosse per abbassare i tassi di interesse a lungo termine) e degli stabilizzatori di bilancio automatici dovrebbero essere sufficienti a salvare la situazione. La ripresa prenderebbe la forma di una “V” che ha seguito, per esempio, lo shock della SARS ne 2003».
Kozul-Wright, conclude «Alla fine dei conti, sono necessarie una serie di risposte politiche specifiche e di riforme per evitare che un problema di salute localizzato in un mercato alimentare nella Cina centrale si trasformi in un crollo economico mondiale».
E’ la globalizzazione neoliberista al tempo del Coronavirus, ragazzo.