Inge Andresen: “Dobbiamo trovare modi per alleviare la pressione sul pianeta”

Unep, necessaria una svolta verde negli accordi commerciali internazionali

Nuovo rapporto: “L'estrazione di risorse per fini commerciali è stata responsabile del 90% della perdita di specie”

[30 Novembre 2020]

“Riorientare l’economia globale non è un lavoro facile. Ci sono molti interessi acquisiti con cui dobbiamo lottare. Ma con la popolazione della Terra che dovrebbe raggiungere quasi i 10 miliardi entro il 2050, dobbiamo trovare modi per alleviare la pressione sul pianeta”. Non si può certo dare torto a Inger Andersen, la direttrice esecutiva dell’Unep, che ha rilasciato queste affermazioni in occasione del nuovo rapporto elaborato dall’ente che dirige in collaborazione con l’International resource panel (Irp). Parole che poi – quasi che fossero d’accordo – fanno rima con quelle di Papa Francesco, che all’incontro di Assisi “Economy of Francesco” ha detto ai giovani che l’attuale sistema economico mondiale è «insostenibile» perché produce danni ambientali e provoca esclusione e povertà.

Sul banco degli imputati del report Unep-Irp finiscono le attuali regole commerciali, che poco hanno a che vedere con la sostenibilità. A partire dall’inizio, con “l’estrazione di risorse naturali che potrebbe innescare carenze idriche, portare gli animali all’estinzione e accelerare il cambiamento climatico, il che sarebbe rovinoso per l’economia globale”.

E che, è un concetto che Anderson ha molto chiaro, sono le concause che hanno portato alla pandemia da Covid-19. Solo pochi mesi fa aveva infatti chiarito che a suo modo di vedere “non ci sono mai state così tante occasioni per i patogeni di passare dalla natura selvaggia alle persone. La nostra continua erosione della natura ci ha portati pericolosamente vicini agli animali e alle piante che ospitano malattie che possono facilmente passare agli esseri umani”.

“La ricaduta economica delle conseguenze dell’epidemia Covid-19 – spiega adesso la direttrice Unep –  è solo l’inizio di ciò che vedremmo se i sistemi naturali della Terra si dovessero rompere. Dobbiamo assicurarci che le nostre politiche commerciali globali proteggano l’ambiente non solo per il bene del nostro pianeta, ma anche per la salute a lungo termine delle nostre economie”.

Ma entriamo nei numeri che offre lo studio a supporto di queste affermazioni, premettendo che fanno riferimento al 2017 ma rimangono di stretta attualità. Il nuovo rapporto, che si intitolato il Commercio sostenibile delle risorse , mostra che nel 2017 “35 miliardi di tonnellate di risorse materiali, dal petrolio al ferro alle patate, sono state estratte dalla terra appositamente per scopi commerciali”.

Sebbene ciò “abbia contribuito a creare milioni di posti di lavoro, soprattutto nelle comunità povere”, il rapporto ha scoperto che ha avuto anche un profondo effetto sul pianeta: l’estrazione di risorse è stata responsabile del 90% della perdita di specie, del 90% dello stress idrico e del 50% delle emissioni di gas serra nel 2017.

Con la domanda di risorse naturali destinata a raddoppiare entro il 2060, il rapporto invita i responsabili politici ad abbracciare quello che è noto come un modello economico “circolare” . Un modello che consentirebbe alle aziende di utilizzare meno risorse, riciclare di più e prolungare la durata dei loro prodotti. Inoltre, imporrebbe ai consumatori di acquistare di meno, risparmiare energia e riparare cose rotte invece di buttarle via. E il beneficio sarebbe per tutti: conservando le risorse, l’umanità potrebbe ridurre le proprie emissioni di gas serra del 90%.

Mentre il modello circolare potrebbe avere “implicazioni economiche” per i paesi che dipendono dalle risorse naturali, darebbe origine a nuove industrie dedite al riciclaggio e alla riparazione. Nel complesso, il rapporto prevede che un modello economico più verde stimolerebbe la crescita dell’8% da qui al 2060. Ecco perché per Andersen “abbracciando la circolarità e riutilizzando i materiali possiamo ancora guidare la crescita economica proteggendo il pianeta per le generazioni future “.

Il rapporto, con grande onestà, riconosce che “alcuni paesi, sia nel mondo sviluppato che in quello in via di sviluppo, hanno abbracciato il concetto di economia circolare”. Il punto però è che lo hanno fatto solo in piccola parte, e una via importante per accelerare questa tendenza sarebbe quella di cambiare “gli accordi commerciali internazionali”, in quanto “possono svolgere un ruolo importante nel rendere questi sistemi più comuni”. Il rapporto quindi invita l’Organizzazione mondiale del commercio, che conta 164 paesi membri, a “tenere in considerazione l’ambiente nella definizione dei regolamenti” e raccomanda che “i patti commerciali regionali promuovano gli investimenti in industrie favorevoli al pianeta, eliminino i sussidi “dannosi”, come quelli per i combustibili fossili, ed evitino di ridurre gli accordi ambientali globali”.