Le 12 compagnie petrolifere leader in Europa producono solo lo 0,3% dalle energie rinnovabili
Greenpeace: dall’industria del petrolio e del gas solo greenwashing e vuote promesse sul clima
[23 Agosto 2023]
Secondo il nuovo rapporto “The Dirty Dozen – The Climate Greenwashing of 12 European Oil Companies», pubblicato da Greenpeace in Zentral- und Osteuropa (Greenpeace CEE), «12 delle principali compagnie energetiche europee sono bloccate in un vicolo cieco sui combustibili fossili e non hanno strategie convincenti su come raggiungere i loro obiettivi climatici».
Steffen Bukold, EnergyComment Hamburg, analizza per Greenpeace CEE i rapporti annuali 2022 di 6 compagnie petrolifere e del gas internazionali e di 6 europee – BP, Eni, Equinor, Ina Croatia, MOL Group, OMV, Petrol Group, PKN Orlen, Repsol, Shell, TotalEnergies, Wintershall Dea – e ne emerge che «Nel 2022, solo lo 0,3% dell’energia totale prodotta da queste 12 aziende proveniva da fonti rinnovabili. Inoltre, oltre il 92% degli investimenti è stato destinato al mantenimento e all’espansione dei modelli di business dei combustibili fossili».
Per Marc Dengler, esperto di clima ed energia di Greenpeace Österreich, «A parte le belle parole, le grandi compagnie petrolifere e del gas hanno poco da offrire per mantenere i loro impegni sul clima. Invece di promuovere attivamente la transizione energetica, stanno investendo i loro soldi nei combustibili fossili, nonostante l’escalation della crisi climatica. I nuovi progetti relativi al petrolio e al gas non sono compatibili con alcun obiettivo climatico e quindi finanziarli è un investimento a perdere. Per mettere l’Austria sulla buona strada climatica, il governo federale deve finalmente adottare una roadmap legale per l’eliminazione graduale di petrolio e gas entro il 2035»
Nonostante nel 2022 i profitti di queste aziende siano cresciuti in media del 75%, gli investimenti sono aumentati solo del 37%.e il rapporto denuncia che «Nel 2022 solo il 7,3% (6,57 miliardi di euro) degli investimenti delle 12 compagnie è andato nelle energie rinnovabili, il restante 92,7% (81,52 miliardi di euro) ha finanziato il business fossile delle compagnie e in alcuni casi anche la sua espansione.
Simona Abbate, campaigner energia e clima di Greenpeace Italia, ribadisce che «Sebbene la crisi climatica sia sempre più grave, l’industria dei combustibili fossili continua ad aggrapparsi a un modello di business distruttivo. I piani di decarbonizzazione delle aziende fossili, oltre a essere inadeguati, si rivelano solo parole vuote: invece di investire davvero nell’energia rinnovabile di cui abbiamo bisogno, ci inondano di pubblicità ingannevoli infarcite di greenwashing. Continuare a investire in gas e petrolio è un crimine contro il clima e le generazioni future. I governi hanno la responsabilità di guidare la transizione energetica, incentivando le fonti rinnovabili e pianificando un rapido abbandono dei combustibili fossili».
E fra le compagnie esaminate c’è anche l’italiana ENI che, sottolinea Greenpeace, «Nel 2022 ha registrato entrate record per 132,5 miliardi di euro, il 109% in più rispetto al 2019-2021, e i profitti più alti di sempre, con un utile operativo adjusted pari a 20,4 miliardi di euro, più che raddoppiato rispetto all’anno precedente. Solo le briciole sono però state destinate allo sviluppo delle rinnovabili. Degli 8,1 miliardi di euro di investimenti in conto capitale, infatti, ben il 90% è stato destinato al comparto fossile e appena 0,6 miliardi di euro, pari a poco meno dell’8%, sono stati investiti nella generazione e vendita di energia, e di questi solo una parte in energie rinnovabili».
La Abbate fa notare che «Oltre a questo enorme sbilanciamento degli investimenti a favore delle fonti fossili, si aggiunge il fatto che i piani industriali di ENI prevedono significative emissioni di gas serra ben oltre il 2050. Per questo abbiamo deciso di fare causa all’azienda, affinché siano riconosciute le sue responsabilità nella crisi climatica e per costringere i vertici di ENI ad adottare una vera strategia di decarbonizzazione in linea con l’Accordo di Parigi».
Infatti, il 9 maggio Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadini italiani hanno notificato a ENI un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei confronti della società, del ministero dell’economia e delle finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. «Per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui ENI ha consapevolmente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni».